domenica 7 marzo 2021

Hokuto no Ken [ Ken il Guerriero ]: Recensione

Titolo originale: Seikimatsu Kyuuseishu Densetsu - Hokuto no Ken
Regia: Toyoo Ashida
Soggetto: basato sul fumetto originale di Buronson & Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Hiroshi Toda, Shozo Uehara, Tokio Tsuchiya, Toshiki Inoue, Yuho Hanazono, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Masami Suda
Musiche: Nozomi Aoki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 109 episodi
Anni di trasmissione: 1984 - 1987


Alla pari di Natsume Soseki, figlio di samurai che avvertiva il crollo dei valori tradizionali giapponesi a causa dell'occidentalizzazione sfrenata della sua epoca, Buronson, proveniente dalla Marina Militare Giapponese, nel feroce boom economico degli anni ottanta vide una sorta di Wasteland (volendo citare T.S. Eliot più che Mad Max ) nella quale un popolo di guerrieri aveva definitivamente perso la sua identità. Nasce quindi Hokuto no Ken, uno dei manga - qui recensirò l'adattamento animato - più iconici del media, uno shounen da combattimento (e quindi rivolto ad un pubblico infantile) dal contenuto drammatico e truculento. Più che il vario citazionismo rimandante alla cultura pop americana, che rimane soltanto nella patina dell'opera (profondamente e arcaicamente giapponese nella sostanza), la vera fonte di ispirazione di Hokuto no Ken è il Violence Jack Nagaiano, manga post-apocalittico nel quale si consumavano le peggiori bassezze umane. Anche lo stesso protagonista Kenshiro (fortemente ispirato a Bruce Lee), che da come asserisce il titolo dell'opera è il messia, il salvatore, ha un po' la stessa ambivalenza di Jack, tant'è che non mostra mai pietà nei confronti di nemici che chiedono di essere risparmiati, e li fa esplodere come palloncini a furia di calci e pugni.

La trama è quasi un archetipo: dopo una guerra atomica di portata mondiale, la civiltà umana è distrutta, e pertanto tornata alle barbarie, con predoni senza legge che usano la forza per ottenere ciò che vogliono (il piacere e la comodità). In questo panorama spettrale e privo di senso, dei guerrieri/superuomini appartenenti a diverse scuole millenarie di combattimento, mossi da ragioni diverse, compiono le loro gesta elevandosi al di sopra della massa informe, composta o dai suddetti subumani o da pecore smarrite (e qui per forza di cose mi viene da citare Soseki).

Il processo fondamentale di questa tragedia è l'elevarsi dello spirito del guerriero sul corpo - lo scriveva anche Ruth Benedict quando parlava dei Kamikaze della WWII - una volta fatta incetta di valori quali il bushido dei samurai, l'amore incondizionato e la "tristezza" derivante dalla consapevolezza dell'impermanenza delle cose (la "Kanashimi" a cui si riferisce Ryuken quando parla a Raoh della Trasmigrazione Inconscia, la tecnica finale della scuola di Hokuto, ossia la scuola di combattimento di Kenshiro e dei suoi fratelli). Fatto salvo ciò, la morte del guerriero è più fondamentale del modo stesso in cui egli ha vissuto, perché è il ritorno del suo spirito eterno alla Natura (si pensi all'intro che precede la seconda sigla originale giapponese: due divinità guerriere shinto danzano nel cosmo). Da qui tutta la mitologia delle costellazioni ("il pugno del grande carro", la stella del nord e la stella del sud, la stella del presagio di morte ecc.), che contribuisce ad accrescere il fascino di un picchiaduro iconico.

Di certo, il successo che ha avuto Hokuto no Ken anche in Italia, in cui è un cult senza tempo, è in parte dovuto al suo essere profondamente vicino all'immaginario cristiano. Il cristianesimo shintoista di Miyazawa Kenji, al di là di quanto accade esplicitamente nella serie, è evidente sin dalla prima sigla di chiusura originale, nella quale, in contrapposizione alla Wasteland post-apocalittica cui lo spettatore è abituato, viene mostrata la natura, le montagne, le campagne giapponesi, e infine Yuria, l'amore di Kenshiro, che invero è l'analogo della Kannon/Madonna cristiana ("Amore cura e maternità, la stella del sud è la stella della madre misericordiosa" ). 
 

La pietà di Toki, fratello di Kenshiro e Raoh, il cui aspetto ricalca Gesù Cristo, che guarisce i malati con le tecniche Hokuto; la Via Crucis di Shu (la punta della piramide di Thouther è volutamente a forma di croce), che viene trafitto da una lancia di Longino e aiutato per compassione da un passante; i vari pentimenti ed espiazioni dei guerrieri in punto di morte. In particolare, Thouther e Raoh si macchiano del peccato di volersi sostituire a Dio (e su questo spunto, davvero molto profondo, non mi dilungo). A tutto ciò si aggiunge la loro incapacità, così come accade per altri personaggi, di accettare il dolore e la tristezza che inevitabilmente derivano dall'amare - la malattia di Yuria in fondo è l'impermanenza delle cose belle della natura. I "cattivi" di Hokuto no Ken amano come dei bambini, e pretendono amore incondizionato con la forza (si pensi a Shin e Ken-Oh). Sono degli orfani che devono sovracompensare l'assenza di calore materno - come spiega la tragica Tou a Raoh -, un po' come i giapponesi del dopoguerra. Ma anche i ragazzini che negli anni ottanta consumavano l'opera, dati i mutamenti sociali innescati dal sessantotto in una società fortemente familistica, potevano avere problemi simili.

Ai fini di una accurata comprensione dell'opera, dei tratti carattestici che è possibile notare nel ripetitivo andirivieni della serie - tipico degli adattamenti televisivi di shounen manga in serializzazione durante la messa in onda del relativo anime - sono i seguenti: quando viene ucciso il capo di una banda di predoni, essi scappano via incuranti dello spirito di gruppo; i capovillaggio saggi e anziani vengono quasi sempre umiliati e pestati. In pratica, sia la gerarchia che lo spirito di coesione sociale tipici del modo di essere giapponesi vengono ignorati: il Confucianesimo e i valori ad esso annessi vengono distrutti dai predoni/bulli/punk del nonsenso, almeno fino a quando non interviene Kenshiro, che ristabilisce l'ordine, la morale e la legge, spesso invocando la tradizione millenaria dell'Hokuto, la sua arte marziale suprema. E' davvero significativo quando uno sgherro di Ken-Oh tenta di uccidere un bambino che appartiene al suo stesso clan asserendo che nell'epoca in cui sta vivendo non esistono più i legami di sangue, e che quindi è giustificato a farlo. Questa era un po' la stessa cosa che faceva notare Oshii nel suo Gosenzosama Banbanzai, ed è un leit motiv di numerose opere visive giapponesi moderne: il sistema del gruppo/clan di guerrieri, cosa naturale su cui basare una cultura familistica di matrice guerresca, con la postmodernità e la sua relativa Wasteland è ormai in profonda crisi (un po' come le nascite). La cosa che insegue Raoh, dato comunque il suo background di "samurai infelice", è lo stesso individualismo sfrenato tipico di un'epoca di anarchia e mancanza di valori e punti di condivisione. Juza delle nuvole invece, dal canto suo, una volta avuta la visione "mistica" della Kannon Yuria, si risolleva dal suo "congelamento" edonistico e si batte come un vero guerriero (in fondo Raoh andrà incontro a qualcosa di simile, anche se in modo più psicotico). In pratica, contrariamente a Raoh, Juza non ha "ucciso Dio".

 Il primo arco della serie di fatto è una storia di vendetta (Shin che ruba la donna di Kenshiro usando la forza), e in seguito si trasformerà in un dramma familiare dal sapore fratricida (pura epica samurai). Un punto di condivisione con Violence Jack, che questa volta non riguarda il setting o quant'altro, è la modalità di stesura della storia, che allo stesso modo del modus operandi di Nagai, viene improvvisata arco per arco, mantenendo comunque un'ottima coerenza interna (il prezzo da pagare per tutto ciò sono i filler e i numerosi episodi di recap della serie televisiva).

L'ossessione dei giapponesi per le mutazioni del corpo è evidente anche in questo classico, dacché premendo gli tsubo (i punti di pressione), Kenshiro fa esplodere i suoi nemici in famelici e contorti spasmi di dolore. Se si ripensa a Tetsuo (sia il personaggio di Akira che l'omonimo film di Tsukamoto Shin'ya), il discorso quadra: tralasciando il discorso che le mutazioni corporali dei suddetti fossero in qualche modo cyber, il comun denominatore  è che il corpo di un giapponese "privo di spirito" viene rappresentato come deformabile e "liquido", un po' come la società di cui parlava Bauman. Non a caso i guerrieri più valorosi della serie, una volta che vengono premuti i loro tsubo, non esplodono: hanno una volontà e uno spirito che prevengono l'umiliante cedimento all'entropia (fisica, ma anche metaforicamente esistenziale).


Nel melodramma virile si intravedono poi influenze della cinematografia occidentale, specialmente quella più affine al western - Kenshiro nascosto in un carro, sotto della paglia, con Fudo e Bat travestiti che se lo portano appresso, in modo tale da ingannare le guardie; i primi piani intensi con musiche à la Morricone; le battute lapidarie e mortifere del messia di fine secolo. Alla fin fine, ridotta all'osso, la storia narrata in Hokuto no Ken è il classico scontro tra ordine e disordine, virtù e perdizione, rompimento e risoluzione, il tutto con personaggi davvero memorabili e carismatici, dei quali viene sempre mostrato anche il lato più umano e credibile - anche se gli attori di Hokuto no Ken 2, che reputo un po' un more of the same della prima serie, hanno molto meno mordente rispetto ai vari Toki, Raoh, Shu, Rei etc.).

Di certo, per concludere, la cosa più vera di Hokuto no Ken, al di là della sostanza di opera profondamente giapponese e iconica, è la rappresentazione della miseria umana: povertà, malattia, disperazione (le immagini della prima sigla di apertura, con la piccola Lynn che piange, e Bat che cammina affaticato in mezzo agli indigenti, parlano da sole). Ma anche la cattiveria e l'ignoranza dei predoni in fondo è semplice umana miseria, così come la tristezza e la solitudine dei guerrieri superuomini di Nanto o di Hokuto o che dir si voglia. Ed è proprio da questa premessa che nasce tutto il substrato religioso dello shounen, che invita a pietà e misericordia, nonché ad accettazione della sofferenza con conseguente elevazione dello Spirito in un mondo più desolato che mai, sopratutto a livello di valori e sentimenti. Se partendo da queste premesse Hokuto no Ken può risultare addirittura educativo, oltre che evocativo, allora ha tutto il merito di essere e rimanere un cult senza tempo. In Italia come in Giappone (anche se consiglio vivamente di vederlo in lingua originale con i sottotitoli fedeli, dato che l'adattamento italiano contiene molte frasi inventate che lo snaturano).




2 commenti:

  1. Ottima recensione, mi è piaciuta molto. È un anime con una profonda etica morale e personaggi ben caratterizzati (tutti ci siamo senti affini a un qualche personaggio. Io Shin e Rei per dire), tanto che ancora oggi viene ricordato con affetto e stima da chi lo vide all'epoca.

    Certo poi non mancavano i piccoli difetti: tipo quasi tutti i personaggi principali erano innamorati di Julia (anche se poi nelle opere successive come dici tu viene virato verso un amore materno/divino) o un cast formato per 3/4 da fratelli/fratellastri/cugini.

    P.S. Però dai il doppiaggio italiano nella sua povertà di voci e traduzione rimane per me un pozzo di ricordi (Shin con la voce nasale per dirne una).

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    1. Grazie per l'apprezzamento!

      "anche se poi nelle opere successive come dici tu viene virato verso un amore materno/divino"

      Già nel dialogo originale tra Raoh e Tou questa cosa si palesa, al di là dei vari riferimenti a questa Kannon: Kannon come lo poteva essere anche Nausicaa (di cui nuovamente tutti i personaggi/giapponesi erano innamorati).

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