Dato quello che sta succedendo in giro per il mondo, ho deciso di rispolverare una vecchia lettura sconosciuta ai più, ma ben nota a mia madre, che da giovane, un po' come me, era un'avida lettrice con una discreta sensibilità verso il sociale. Quindi, per ovvi motivi, lessi "Io, il mio nemico" da ragazzino, anche se all'epoca non avevo ancora la maturità necessaria per poterlo veramente capire, nonostante comunque, in qualche modo, lo avessi visceralmente assorbito e fatto mio (mi sembra di ricordare una fase della mia vita in cui volevo fare il militare e il giornalista). Fatte queste premesse, l'opera è appunto un capolavoro di giornalismo, quando il giornalismo ancora esisteva e non era perlopiù fake news o l'emblema dello sputtanamento e del partito preso come oggi. In sostanza, l'autore è un giornalista ebreo con un passato nell'esercito israeliano (paracadutisti, antiterrorismo), che nel 1986, di comune accordo con il suo giornale, decide di sfruttare il suo aspetto fisico e la sua profonda conoscenza della lingua e della cultura araba per fingersi palestinese.
Yoram, divenuto quindi Fat'hi grazie alla carta d'identità di un defunto giordano dai connotati molto simili ai suoi, mettendo a rischio la sua stessa vita, finirà a fare lo schiavo sotto i datori di lavoro ebrei, che lo tratteranno come un subumano soltanto perché "arabo"; dormirà in stamberghe piene di topi e scarafaggi in cui non è nemmeno presente la doccia per lavarsi, insieme ad altri lavoranti palestinesi; presterà servizio da "arabo" in un Kibbutz, con tutte le conseguenze del caso; avrà, sempre da "arabo", una relazione con una ragazza ebrea, che ovviamente finirà male per ovvie motivazioni. Sul finale, Yoram andrà a vivere per un breve periodo nei campi profughi palestinesi, diventando testimone in prima persona delle ragioni di coloro i quali l'occidente chiama "terroristi" (all'epoca non c'era Hamas ma l'FPLP, un'organizzazione di resistenza di stampo Marxista-Leninista). L'inchiesta terminerà nell'87, con l'avvento dell'Intifada, e scuoterà l'opinione pubblica israeliana per poi venire insabbiata (lo stesso libro è abbastanza difficile da trovare, ha avuto pochissime ristampe e al giorno d'oggi, nel mondo del 2023, se "My Enemy, Myself" venisse riscritto da un novello Yoram Binur 2.0, non verrebbe mai pubblicato).
Prima di scrivere qualcosa su questo capolavoro, è bene ricordare l'inizio di ciò che attualmente sembra stia traghettando il mondo verso la WW3: nel 1948, in seguito alla Shoah, dopo una decisione dell'AGNU venne forzatamente creato lo Stato d'Israele in territorio arabo tramite l'espropriazione di terreni, invasioni a mano armata e il confinamento dei profughi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Da qui in poi la convivenza tra arabi ed ebrei è andata avanti grazie, in soldoni, all'orecchio dello Shin Bet, l'intelligence dello Stato Ebraico, che al giorno d'oggi, per ovvi motivi, è l'organismo di spionaggio più avanzato del mondo (non vorrei passare per complottista, ma ho i miei dubbi che gli 007 israeliani non siano riusciti a predire la carneficina del 7 ottobre). Anche l'esercito dello Stato d'Israele ha un'ottimo primato mondiale, dato che per decadi ha avuto molto da fare nel reprimere le insurrezioni armate dei "terroristi" e nel gestire una quotidianità di violenti attriti sociali e culturali. Detto questo, la prima cosa che Yoram mette in chiaro è che i cittadini non sono i loro governi: esiste una estrema destra israeliana, quella che oggigiorno sta radendo al suolo la striscia di Gaza e che crede nel primato di Israele su tutto il resto del mondo, così come esiste una sinistra israeliana di cui lui fa parte, che si dimostra più progressista e comprensiva nei confronti degli arabi e, in generale, dei non-ebrei (i Kibbutz, ad esempio, sono organizzazioni comunitarie di sinistra, che accolgono anche cittadini dalle altre parti del mondo). D'altro canto, la superiorità tecnologica di Israele nei confronti degli occupati è palese, nonché fonte di un pesante squilibrio sociale che di fatto mette il coltello nelle mani degli israeliani, ovviamente dalla parte del manico. Da un lato abbiamo quindi una potenza democratica in cui si vive all'occidentale e con tutti i vizietti degli occidentali (il materialismo, la promiscuità sessuale, il carrierismo), vizietti che ovviamente non tardano a diventare nevrosi (Yoram, nonostante il coraggio e l'intelligenza, è un depresso, tant'è che in un'episodio del libro soffoca il suo disagio nell'alcool; Miri, la ragazza israeliana con cui lui si mette insieme da "arabo", viene sfruttata come un oggetto sessuale e poi liquidata senza troppi complimenti). Dall'altro lato, invece, ci sono gli schiavi arabi, che sopravvivono grazie alla disciplina ascetica dell'Islam e alla pratica del Sumud, che come ci spiega Yoram è "una forma di resistenza più fondamentale di quella passiva predicata da Gandhi, che prende avvio dall'idea che il semplice fatto di esistere, di sopravvivere rimanendo nella propria terra, è un atto di sfida, soprattutto quando la deportazione è il pericolo più temuto dai palestinesi".
Oltre a essere un reportage, "Io, il mio nemico" è altresì un'autoanalisi del suo autore (anche in questo caso, la scrittura non è altro che un sollievo autoriparativo). Nella parte iniziale, infatti, Yoram fornisce al lettore una calda autobiografia in cui racconta della sua crescita nei difficili sobborghi di Gerusalemme, dopodiché la sua carriera di militare e i sensi di colpa a essa annessi. Di mio, penso che sia stato proprio il senso di colpa la spinta primigenia che ha permesso a quest'uomo (anzi, Uomo, con la u maiuscola) di andare a rischiare la vita in mezzo agli arabi (come fa notare lui stesso, una minima falla nella costruzione della propria storia personale di "palestinese", o anche soltanto una parola araba mal pronunciata, e la copertura può saltare, con ovvie, tremende conseguenze). I sensi di colpa di Yoram, comunque, sono ben comprensibili: i suoi colleghi non si facevano problemi a violentare ragazze palestinesi con la scusa dei controlli nei campi profughi; i metodi dell'esercito israeliano, in generale, sono violenti e disumani, come l'autore ha da testimoniare sia quando è dalla parte degli oppressori, sia quando è dalla parte degli oppressi (in un capitolo del libro viene maltrattato dalla polizia di frontiera soltanto per via del suo indossare la Kefiah nel bel mezzo di una manifestazione ebraica; all'aeroporto di Ben Gurion Yoram finirà nuovamente nei guai per via della sua identità fasulla di "arabo": riuscirà a schivare l'arresto per il rotto della cuffia, grazie alla sua carta d'identità israeliana di emergenza e al fatto che i poliziotti, dopo tutto un teatrino di interrogatori e controinterrogatori, arriveranno a scambiarlo per un agente del Mossad in missione super segreta).
"Il personale del carcere di Faraa dedica molti sforzi al tentativo di fiaccare lo spirito dei ragazzi e convincerli a firmare confessioni in cui dichiarano di aver compiuto atti di violenza e sabotaggio [...] La giovane età dei prigionieri e le dure tecniche adoperate negli interrogatori hanno guadagnato al luogo una triste fama, tanto che i locali lo chiamano il maslah lashabab, il mattatoio della gioventù". [Yoram Binur sui metodi dell'esercito israeliano]
Le parti più violente del libro, a parer mio, sono tuttavia quelle in cui Yoram/Fat'hi lavora in due ristoranti gestiti da ebrei. Le tristi esperienze con la polizia, i campi profughi e i membri dell'FPLP, il melodramma secco del fidanzamento con Miri eccetera eccetera, sono narrazioni ancora dignitose nella loro durezza. Ma nel caso dei ristoranti, che poi sono i luoghi in cui finivano (e finiscono) moltissimi giovani palestinesi nullatenenti per poter guadagnarsi da vivere, la sua dignità umana viene del tutto calpestata. L'alter ego "arabo" di Yoram viene infatti sfruttato e fatto lavorare pressoché quindici ore al giorno; il datore di lavoro arriva addirittura a privarlo del suo stesso nome e prende a chiamarlo come vuole lui, tanto "voi arabi vi chiamate tutti uguali"; un giorno, mentre il giornalista sotto copertura sta lavando i piatti, la figlia del padrone del locale si porta il suo fidanzato benestante in cucina e se lo scopa proprio lì, davanti ai suoi occhi: tanto Yoram/Fat'hi è un "arabo", uno schiavo, un essere inferiore, un cane da umiliare (non so se è peggio questo o i video che girano ora come ora su TikTok, in cui gli israeliani prendono in giro i civili palestinesi uccisi dalle bombe). Ciò detto, dopo l'inferno dei ristoranti, Yoram crollerà psicologicamente e sospenderà il supplizio, facendosi aiutare a fuggire dal suo collega fotografo, Ysrael, un ex militare che lo assiste allo stesso modo di un cinico e scaltro angelo custode invisibile ai più.
"Se un palestinese o un abitante della striscia di Gaza partecipa a un grave atto di aggressione, la sua casa viene distrutta. Poiché la maggiorparte dei sabotatori ("terroristi" o "combattenti per la libertà", dipende dal partito preso) sono ragazzi o giovani che ancora vivono in famiglia, o che sono in affitto in una casa che non è la loro, una punizione di questo tipo ha senz'altro carattere collettivo e danneggia specialmente la famiglia degli accusati. La proprietà demolita viene confiscata dall'esercito e alla famiglia è vietato costruirsene un'altra. Di solito, le famiglie che incombono in questo tipo di sventura, ricevono una somma di denaro dalla Gordania o da una delle varie organizzazioni palestiensi, allo scopo di aiutarle a trasferirsi in qualche altro luogo".
"Qualsiasi ragazzo che non ha mai conosciuto altra esistenza di quella miserevole delle baracche del campo, quando gli si chiede da dove viene, è in grado di nominare con orgoglio il villaggio di origine della famiglia, che spesso ha cessato di esistere ancora prima che il ragazzo venisse al mondo".
Paradossalmente, dopo innumerevoli testimonianze di questo tipo, nonché un'esperienza di vita sempre più difficile, Yoram, stremato e sull'orlo della crisi d'identità, assisterà a un matrimonio di due membri dell'FPLP in un campo profughi. Così finisce il libro, con l'Intifada che prende piede e questo matrimonio a cui il giornalista dà connotati vitalistici e positivi, a suo scrivere una forma estrema di Sumud, di resistenza delle forze della vita su quelle della morte.
- La mia opinione su cosa sta succedendo ora nel mondo -
Termino l'articolo con una piccola riflessione personale che potete anche saltare, di certo io non sono Yoram Binur. Ciò premesso, secondo me il vero problema, tralasciando l'ignoranza della gente, che si schiera da una o dall'altra parte senza avere una vera coscienza di cosa stia realmente accadendo e di cosa sia accaduto in quelle terre così distanti dalla nostra bella e provinciale Italietta, a parer mio è la politica. Nel senso che non esistono più dei veri uomini di Stato, come potevano esserlo un Craxi, un Andreotti o un Berlinguer: dato che siamo una colonia americana e che la URSS è crollata, gli americani e i loro alleati hanno sempre ragione, fine. "Autodifesa" significa quindi uccidere indiscriminatamente donne e bambini, bombardare ospedali e così via, e va tutto bene, tanto "tutti i palestinesi sono Hamas e quindi sono cattivih", e quindi anche le ragazzine smembrate che i genitori portano in giro per le macerie di Gaza in sacchetti dell'immondizia grondanti di sangue lo sono; "gli ebrei hanno subito la Shoah e quindi sono bravih: se dissenti sei antisemitah". Insomma, la politica, e non soltanto per quanto riguarda la carneficina compiuta da Hamas il 7 ottobre e tutto ciò che ne è conseguito, è ormai pure lei un asilo nido a cielo aperto, un luogo di infanti affetti da vittimismo compulsivo che sbraitano, fanno un po' di campagna elettorale acchiappa-like sui social e poi se ne tornano a casa con la pancia piena, a eclissarsi nei loro vizietti post-consumistici di massa. Quella postmoderna, a mio modo di vedere le cose, è di fatto una politica otaku, nel senso di infantile e "aggressivo passiva" a tutto tondo. E questo è un problema molto grave per l'occidente: gli americani si sentono supereroi Marvel, gli europei sbraitano come bimbetti senza concludere nulla, ma dall'altro lato, a est, c'è gente adulta che non scherza affatto. Per di più, la politica e i governi occidentali, che si vantano di essere democratici ed egualitari, sono sempre più distaccati dal popolo, sempre più lontani dalle difficoltà della gente comune. Non c'è quindi da stupirsi che le cose, quando si arriva a un punto di rottura, sfuggano poi di mano: fa parte della natura umana dormicchiare per poi svegliarsi quando ormai è troppo tardi. Non per nulla, anche in occidente, e soprattutto in America, il terrorismo interno è un qualcosa di molto significativo. Quando un ragazzino americano imbraccia il mitra e trucida tutti i compagni di classe, di certo non lo fa perché è brutto e cattivo o ha letto il Corano. Lo fa perché a monte ci sono delle ragioni sociali, e quindi psicologiche - ricordo che l'essere umano non è un atomo separato da tutto ciò che lo circonda, ma un essere contingente: la sua psiche è inscindibile dall'enviroment circostante - ben precise, che si fa finta di non vedere perché altrimenti TUTTO il sistema occidentale americanizzato, ma proprio TUTTO, andrebbe ripensato. In conclusione, ripeto nuovamente il mio mantra: senza amore, la razza umana va in autoconsunzione, si svaluta e squalifica da sé. Tutta l'umanità, di tutte le etnie e religioni e senza alcuna distinzione, dato che, anche se facciamo finta di non saperlo, siamo tutti piccole formichine che abitano su un pianeta insignificante sperduto nei meandri dello spazio siderale, un'oscuro abisso infinitamente più grande di tutti noi.
"Insomma, la politica, e non soltanto per quanto riguarda la carneficina compiuta da Hamas il 7 ottobre e tutto ciò che ne è conseguito, è ormai pure lei un asilo nido a cielo aperto, un luogo di infanti affetti da vittimismo compulsivo che sbraitano, fanno un po' di campagna elettorale acchiappa-like sui social e poi se ne tornano a casa con la pancia piena, a eclissarsi nei loro vizietti post-consumistici di massa". Con il passare del tempo ho perso l'interesse verso la politica e ogni volta che sento/vedo qualcosa di inerente ad essa mi sembra di essere dentro ad un loop infinito di una Visual Novel.
RispondiEliminaMa infatti ormai dei politici interessa soltanto più il drama sentimentale, non c'è altro.
EliminaStupefacente, non conoscevo proprio questo libro; supera perfino il livello dello scomparso giornalismo d'inchiesta che giustamente menzioni.
RispondiEliminaPosso aggiungere solo che dal punto di vista politico bisognerebbe cercare chi esprime posizioni alternative e prova a farlo in onestà e senza cadere nel vittimismo; e (con tutti i distinguo che non posso evitare) direi che ci siano, ma ognuno nella propria precisa bolla.
La roba buona si nasconde nella vastità del blablablà, come anche questo blogghino, d'altronde... :D
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