giovedì 25 luglio 2024

Il punto terminale dell'evoluzione è l'autoestinzione, la morte stessa



Siamo arrivati a un punto in cui la solita solfa sull'intelligenza artificiale, che andava già di moda qualche anno fa, è ormai sulla bocca di tutti (o quasi). In pratica nel giro di vent'anni la maggiorparte dei lavori umani verrà sostituito dalle IA, arte inclusa (non per nulla ci sono già editori che spingono giornalisti e scrittori a usare l'IA e artisti/e che protestano cancellandosi i profili Instagram). Questo ovviamente significa che le persone medie si troveranno senza lavoro, sicché gli industriali, micro o macro che siano, le licenzieranno in massa per aumentare i profitti. La soluzione suggerita da tutti i manager del mondo, ovviamente, è che gli Stati debbano stanziare un reddito universale di cittadinanza in modo tale da tamponare il disastro sociale che verrà. Questa a parer mio è la tipica contraddizione neoliberale per la quale lo Stato sociale, dapprima demonizzato e poi demolito, viene infine invocato, un po' per ingenuità e un po' per malizia, come il deus ex machina che tutto risolve Mi viene in mente ad esempio la vicenda Fiat in Italia o tutti i vari salvataggi di carrozzoni parastatali con lo sperpero di denaro pubblico, sebbene nel nostro caso la questione sia ben più sottile. Quando ancora lavoravo in ambiente accademico iniziavano a venir fuori i primi studi sull'IA applicata alla fisica dei Black Hole: erano paper allucinanti, il solito ravanare sul fondo del barile di una scienza tanto divinizzata ma invero in stagnazione dal punto di vista dei suoi principi fondamentali; eppure in essi avevo scorto il seme del dominio della tecnica su un umano divenuto fin troppo debole e macchiettistico. Mi vengono in mente le parole un'anziana professoressa che dopo aver letto uno di questi articoli, disse: "Ma io a cosa a servo?" e se ne andò via. C'è già da inquietarsi? Di mio penso che l'IA al momento sia un po' sopravvalutata; ma nel contesto del post umanesimo, nel quale le persone sono tutte ben vestite e attente all'immagine ma con sempre più difficoltà a scrivere o a ragionare, perennemente alla ricerca del piacere e del minimo sforzo possibile, l'IA abbia un enorme potere su di loro.  La colpa ovviamente non credo sia delle "masse" in loro stesse, che semplicemente seguono il flusso, le "influenze esterne" di cui Gurdjieff; a parer mio i modi di essere della società senza dolore sono incoraggiati dall'intrattenimento, da una psicologia che da socratica si è fatta puramente sedativa, da un disastro sociale in corso ancora attenuato, almeno in Italia, dai risparmi accumulati dalle generazioni precedenti (in primis la casa di proprietà). 

giovedì 4 luglio 2024

Dino Buzzati, il trauma del tempo e altre riflessioni




Di recente ho letto Quando muori resta a me di Zerocalcare, e mi è sembrato un passo indietro rispetto alla sua seconda serie animata, che mi era parsa molto più onesta e ben scritta. Ormai i due denominatori comuni del fumettista da milioni di copie sono il senso di colpa per il privilegio della propria adolescenza agiata protratta ad libitum nell'età adulta e la solita epica antifà in un occidente che ormai si è fatto post-ideologico (se non post-umano, vedasi l'opera di Walter Siti e di altri prima di lui). La domanda che mi sono fatto è comunque la seguente: perché questo fumettista in ogni sua opera deve inserire l'epica di fasci contro antifasci, di nonni partigiani, delle botte al G8 eccetera eccetera? Anche io ho preso botte a scuola, giravo con le cumpe disagiate delle strade e ho assistito alla venuta delle macerie sociali post governo Monti. Eppure ho affrontato tutto in solitudine, al limite con l'aiuto dei pochissimi a me vicini. L'unica vera dimensione epica (ed edipica) della mia vita è stata  una continua lotta di attrito con i miei fantasmi interiori nonché la Wasteland del mondo esteriore; non me ne è mai fregato niente delle pseudo-narrazioni da centro sociale, di destra o sinistra che fossero: le ho sempre trovate parecchio superficiali, dei simulacri di guerra necessari a chi ha questo bisogno viscerale di definirsi mediante la violenza, sia elargita che subita. Il fascismo degli antifascisti, scriveva non a torto Pasolini. Ebbene sì, questa volta sono rimasto deluso dal fumettista semidio dell'Italia post-umana dei maranza, delle Ilarie Salis al parlamento europeo, delle ragazzine che scrivono "ho sk0pat0" su Threads, della politica che sia a destra che a sinistra si preoccupa di sciocchezze mentre i nostri schiavi d'importazione muoiono mutilati per la strada e la criminalità ha le mani in pasta ovunque (notare che nessun politico, neanche quelli di estrema destra o sinistra parla mai di lotta alla mafia). Con i coglioni diventati grossi così sono quindi passato a Dino Buzzati, un artista  (non scrivo autore perché oltre a scrivere disegna anche da dio) che ho scoperto soltanto di recente. In pratica in una libreria ho visto Un Amore e  il libro, un po' come era accaduto con  Joséphine, mi ha chiamato.