sabato 12 aprile 2014

Haibane Renmei: Recensione

 Titolo originale: Haibane Renmei
Regia: Tomokazu Tokoro
Soggetto originale: Yoshitosi ABe
Sceneggiatura: Yoshitoshi ABe
Character Design: Takada Akira
Musiche: Kou Ootani
Studio: Radix
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 2002


"Haibane Renmei", anime del 2002 ideato da Yoshitoshi Abe, trova ispirazione dal romanzo "La fine del mondo e il paese delle meraviglie" di Haruki Murakami, dal quale tuttavia si distanzia notevolmente, traendone solamente alcuni simboli e spunti.
E' davvero un piacere immenso avere l'occasione di potere spendere qualche parola a riguardo. Non penso di commettere empietà alcuna nell'affermare che, ad oggi, "Haibane" sia forse una delle migliori opere che abbia mai visto e che meriti di brillare incastonata nel firmamento dei capolavori da ricordare.

Le vicende sono ambientate in una misteriosa città di nome Glie, la cui particolarità è quella di essere completamente circondata da alte ed enigmatiche mura. Nessuno può entrare o uscire, eccezione fatta per i toga: oscure figure sacerdotali il cui compito è quello di comunicare tra la città e l'esterno. Le haibane, misteriosi esseri umani alati le cui fattezze rimandano all'iconografia cristiana dell'angelo, nascono in questo mondo da una sorta di bozzolo, che cade dal cielo. Esse non ricordano nulla del loro passato se non un sogno, forse un riflesso simbolico della loro precedente esistenza. In questo luogo le haibane conducono una vita serena e pacifica, in attesa del giorno in cui potranno lasciare la città.


L'ambientazione detiene una valenza simbolica non indifferente che permette allo spettatore di interiorizzare le varie tematiche a seconda della propria sensibilità. La città si potrebbe considerare, ad esempio, quasi come un "purgatorio", sebbene a tratti si avvicini più ad assomigliare a un limbo da cui volere fuggire. Le haibane sembrano guadagnare una sorta di "seconda possibilità" per redimersi dal loro peccato, per espiare le proprie colpe o potere ripagare i propri rimpianti dopo la morte. Alcuni indizi (tra i quali i loro sogni) lasciano ad intendere infatti che nella loro vita precedente avessero posto fine alla propria esistenza con il suicidio e che quindi abbiano ora la possibilità di riscattarsi dagli errori commessi. Non è un caso che, per diversi aspetti, il trattamento riserbato alle haibane dalla città assomigli quasi a un "processo di riabilitazione psicologica" atto a restituire loro un equilibrio interiore.
Si tratta, ovviamente, di mere speculazioni poiché non viene spiegato per quale motivo le haibane esistano o quale sia lo scopo della loro permanenza nella città. In ogni caso, ritengo che non si debba leggere quest'opera in un'ottica meramente cristiano-religiosa e nemmeno mistico-spirituale.


"Chi oltrepassa le mura non può tornare indietro" - "si può vivere al di là delle mura solo se si è pronti per farlo"

Spingerò dunque l'interpretazione su altri lidi, cominciando a far notare come il desiderio di conoscenza sia uno dei temi portanti della serie. Aspirazione che arde nella mente dell'uomo è infatti quella di conoscere, di svelare i segreti che ammantano la propria origine e l'origine del mondo. Siccome la condizione di ignoranza è dolorosa, egli è spinto a cercare, a conoscere, presto però si accorgerà degli ontologici limiti che la contingenza (im)pone a tale anelito. Qui si rivela chiarificatore il simbolismo proprio dell'ambientazione: tutto quello che è all'interno delle mura è ciò che si trova alla nostra portata (e dei personaggi), quello che si trova al di fuori (di cui nulla è noto) simboleggia ciò che ci trascende - quindi "la" verità, anche di natura escatologica. Le mura possono significare la "morte" ma pure qualsiasi altro confine umano, soglia invalicabile che rende ineffabile ed effimero ciò che cela oltre di sé. Questo vuoto, lo si può compensare, ad esempio riempiendolo con le proprie speranze e fantasie, come del resto fanno Nemu e Rakka concludendo secondo i loro immaginazione e desideri il racconto sulla creazione del mondo, trovato in un antico libro ormai divenuto illeggibile. Tale manoscritto è stato completato inventando una mitologia piuttosto "personalizzata" e bizzarra, ma si trattava comunque di un qualcosa che inconsciamente assecondava i desideri e le speranze di chi l'ha scritto, un qualcosa che cercava di dare quindi una giustificazione consolatoria ai suoi dubbi. La necessità di compensazione gioca un ruolo rilevante nella nascita di leggende, religioni, miti, poesie ma anche dell'arte, della filosofia e della scienza. L'uomo per necessità cerca di darsi un senso, una motivazione, di colmare quel vuoto nei più svariati modi.


La verità è che la felicità non si trova tanto nella verità, quanto nel credere a "una" verità,  in breve: è il frutto di un processo interiore di adattamento. Non per tutti un simile (auto)inganno è agevole, coloro che non riescono ad adattarsi o il cui spirito "filosofico" si rivela (pre)potente sono destinati a un'esistenza di sofferenza e di continuo dubbio. Non a caso è proibito e pericoloso avvicinarsi alle mura, esse sono ciò che protegge le haibane da una verità troppo dolorosa per essere sopportata e contemporaneamente la loro prigione. Chi vi si reca appresso o addirittura osa sfiorarle o valicarle è destinato a patire un dolore indescrivibile, come accade a Reki. Tale è la sofferenza di chi anela alla conoscenza stretto nella morsa dell'incertezza, ma anche di chi, conoscendo, scopre l'amara e dura crudeltà della verità. Costui è destinato a un fato doppiamente tragico, in quanto oltre a comprendere la limitatezza delle proprie possibilità è afflitto dalla disperazione, frutto della sua medesima cerca.


"Colui che riconosce di essere colpevole, non è colpevole."- "Merito davvero questa felicità?"

Un altro tema portante si concretizza nella riflessione circa la dicotomia colpa-perdono. Fondamentale per la pace interiore infatti è la consapevolezza che l'unico modo per spezzare il circolo del senso di colpa sia quello di trovare e soprattutto accettare il perdono: si tratta di un dilemma cui il singolo individuo non può venire a capo senza un intervento esterno. Il senso di colpa è un sistema a retroazione positiva che si autoalimenta ed espande, trasformando l'uomo nel carnefice di se stesso. Si instaura un circolo vizioso dal quale è impossibile uscire con la logica, fenotipo dell'insanabile e ossimorica essenza della psiche umana. I personaggi incarnano alla perfezione queste problematiche, la cui analisi viene affrontata con molta profondità e dolcezza, soprattutto per quanto riguarda l'indagine emotivo-psicologica dei due principali: Reki e Rakka. Incredibile come si tratti il tutto con estrema delicatezza, rendendo la visione spesso commovente e intensa, in modo particolare negli ultimi episodi.

 

Peculiarità interessante della serie è che, giustamente, agli enigmi che essa pone non viene mai data una risposta; questo perchè la "risposta", in effetti, è che la risposta non la conosce nessuno, che una risposta giusta non c'è, che il problema sta appunto nella domanda e che esistono interrogativi a cui non possiamo rispondere, nondimeno non possiamo fare a meno di interrogarci a riguardo e cercare di conoscere, poiché l'uomo anela a colmare tale vuoto, ed è questo il motore della sua esistenza ma anche il suo fardello. Ed è proprio il fatto che Haibane non risponda ai suoi interrogativi a renderlo eccezionale, poichè da ad intendere che il punto non sia tanto la meta, che rimane ineffabile, quanto il percorso. Queste reminiscenze di filosofia orientale sono molto presenti nella serie, e vengono per lo più incarnate dalla figura del maestro Toga. Costui sembra rappresentare una sorta di guida spirituale per le Haibane, e svolge il suo compito senza  predicare il giusto e lo sbagliato secondo una determinata liturgia. La sua figura è più accostabile, invece, a quella di un maestro Zen che risponde per indovinelli, infatti egli non dice mai nulla espressamente, non offre spiegazioni di sorta, piuttosto pone degli enigmi o delle frasi sulle quali meditare (proprio come i koan) per far arrivare autonomamente il soggetto alla soluzione. Ma in effetti il discorso può essere esteso alla serie stessa, la quale non fa altro che porre delle questioni su cui meditare, piuttosto che imporre una frigida verità preconfezionata.


Dal punto di vista tecnico "Haibane" è una serie nella media. Le animazioni sono buone, così come la regia e le musiche che contribuiscono a creare un'atmosfera di dolcezza e tranquillità, che contrasta con l'irrequieto sconvolgimento interiore delle protagoniste.
Lo spettatore può leggere su diversi livelli l'opera, considerandola semplicemente come una dolcissima storia oppure cercando di apprezzarne appieno la profondità. In entrambi i casi non potrà comunque che esserne soddisfatto, perché "Haibane" è una serie che parla di noi: attuale, brillante, sa toccare nel profondo chi guarda, difficilmente senza lasciare qualche segno.


PS: Clicca qui per un'intervista agli autori.

6 commenti:

  1. Recensione esaustiva e ben scritta,che perla Haibane...
    Che ne pensi dell'ipotesi che lega le 7 Haibane ai peccati capitali?

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  2. Secondo me in Haibane i riferimenti alla religione occidentale sono solamente di facciata, la sostanza è completamente orientaleggiante/esistenzialista.

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  3. E' un'ipotesti piuttosto suggestiva ed interessante, ho letto delle analisi che la motivano anche piuttosto bene. Haibane comunque lo vedo più legato alla filosofia orientale che al cristianesimo.

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  4. Sicuramente più orientaleggiante,ma in Haibane c'è anche il cristianesimo,l'anime ha molti spunti.
    Per me necessitava di qualche episodio ermetico ed onirico al massimo e sarebbe stato perfetto!

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  5. E' vero che ci sono degli spunti interessanti, per esempio quello della personificazione dei peccati è un'intuizione che può aiutare a comprendere il percorso dietro ad ogni haibane tra quelli principali. Mentre i simbolismi cristiani li vedo più reinterpretati che altro, per esempio: l'aureola, simbolo di beatitudine o di santità, di certo non ha quel significato. E le haibane non sono certo angeli. L'aureola potrebbe essere stata messa anche solo per suggestionare, o per dare l'idea che gli haibane stiano vivendo un'esperienza spirituale e simbolica. Mentre le ali sono un simbolo dello stato interiore, l'haibane dalle ali nere non è tanto un peccatore perchè ha violato chissà quale diritto divino. Più che altro è l'aspetto di disagio e sofferenza personale che viene in rilievo, e infatti i Toga sono più delle guide spirituali, che dei sacerdoti che impongono un credo. Quindi, haibane prende un po' da tutte e due le parti, ma comunque va per una strada propria. Anche la città, più che un purgatorio, dove scontare una pena (seppur temporanea), sembra quasi una sorta di centro di riabilitazione spirituale, dove le haibane imparano a condividere le esperienze XD Comunque, non è che tutti i dettagli devono per forza avere un significato, anzi, magari molte cose le hanno messe solo per ammantare l'ambientazione con del mistero.

    Io invece penso che sia perfetto così, anche perchè punti di forza di haibane sono la sua semplicità e la sua dolcezza, cose troppo sofisticate avrebbero pesato. Comunque, la parte onirica c'è, alla fine entrano nel sogno di Reki!! Più onirico di così XD

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  6. L'ipotesi dei peccati capitali l'ho sempre trovata molto tirata per i capelli, mentre la tua interpretazione mi è piaciuta molto. Personalmente non ho apprezzato il fatto che questo anime sia rimasto sempre ambiguo. Nel senso, non pretendo che un anime dia delle risposte chiare a delle domande filosofiche. Ma per riflettere sulle possibili risposte, è necessario almeno capire le domande! Però forse sono solo lenta io, ahah.

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