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giovedì 28 marzo 2024

Shiki Jitsu (Giorno di Cerimonia): un film di Anno Hideaki



 

Shiki Jitsu viene subito dopo Love & Pop ed è il secondo film con attori in carne e ossa di Anno Hideaki, il regista di Evangelion. L'attrice protagonista, Fujitani Ayako, è la figlia di Steven Seagal e il film, almeno sulla carta, è un adattamento di un suo racconto breve, Touhimu. Preso atto di queste formalità, Shiki Jitsu è invero una creatura tutta di Anno Hideaki, e in particolar modo sembra la conclusione di una ipotetica trilogia concettuale costituita altresì dall'End of Eva e dal succitato Love & Pop. In pratica, "Io, regista alienato che vive in un mondo di finzione per proteggermi dalla vita, incontro la vita in sé stessa, ossia una giovane ragazza col disturbo borderline. La sua sofferenza mi scuote, mi impressiona, mi fa cambiare. Ci creo un personaggio fittizio sopra: Sooryuu Asuka Langley (per intenderci la "rossa" di Evangelion). Mi innamoro del mio personaggio perché non sono in grado di gestire la persona reale. E mi odio per questo". Nell'End of Eva infatti avevamo la messa in scena dell'ossessione onanistica per l'archetipo della broken girl: Shinji che si masturbava su Asuka in coma; Gendo che infilava la mano in una Rei completamente nuda, un po' come un vecchio puttaniere ebefilo; l'altro tizio di cui non ricordo il nome che durante il trapasso veniva perseguitato da un esercito di Rei assatanate e ghignanti.  E così via. In Love & Pop, d'altro canto, si entra a tutto tondo nel fenomeno dell'enjo kosai, ma in una dimensione più sociologica e meno intimista (in fondo è un adattamento di Topaz II di Murakami Ryuu, un idealista che ha passato la vita a scrivere del vuoto interiore e della decadenza del consumismo nippo-americanizzato). 

sabato 22 ottobre 2022

Oblio: Recensione


Oblio è un fumetto creato da un "collettivo" di autori e autrici regalatomi in amicizia da una di questi (grazie Diletta). È un'opera mista (ogni capitolo ha un disegnatore differente) basata sul senso di perdita (il protagonista perde la fidanzata in un disastro ferroviario) e la successiva riparazione del vuoto, dell'Oblio per l'appunto, che inevitabilmente segue al trauma. Il fumetto, composto da un unico volume autoconclusivo, è nato come autoproduzione per essere poi definitivamente distribuito dalla casa editrice Double Shot. La qualità generale dei disegni è buona e le tematiche di grande interesse per chi come me apprezza le narrazioni psicologiche e introspettive. Non si tratta tuttavia di un'opera perfetta: in Oblio vi sono troppi alti e bassi, troppa voglia di strafare e di lasciare il segno a tutti i costi, ovviamente a discapito di coerenza e realismo. 

mercoledì 29 settembre 2021

serial experiments lain: Recensione 2.0

 Titolo originale: serial experiments lain
Regia: Nakamura Ryutaro
Soggetto: Production 2nd (ABe Yoshitoshi, Ueda Yasuyuki)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: ABe Yoshitoshi (originale),  Kishida Takahiro
Musiche: Nakaido Reiichi
Studio: Triangle Staff
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 1998
 


Siamo negli anni novanta. Internet era agli albori e ShinSeiki Evangelion era diventato in breve tempo un fenomeno di massa. Da lì in poi ebbe inizio la NAS, la "nuova animazione seriale" da fascia notturna, un trend di anime cupi e maturi che si esaurì dopo qualche anno in preda al suo stesso manierismo. Dato che l'opera di Anno era stata a suo modo sperimentale, TV Tokyo, la piccola emittente televisiva che la mandò in onda, era aperta a trasmettere anche serie televisive tra le più allucinate. Forte di tutto questo contesto, il produttore Ueda Yasuyuki aveva in mente di fare un mediamix (videogioco, anime e cd) con tutte le cose che gli piacevano: una ragazzina misteriosa talmente carina/moeru che lo spettatore si sarebbe dovuto innamorare; un attacco al sistema consumistico americano (asserzione che fa un po' ridere dato che la sigla dell'anime è in inglese e l'opera essa stessa è un prodotto di consumo); del cyberpunk marcio à la William Gibson con tanto di suggestioni musicali new wave. Con le idee ben chiare in testa, Ueda conobbe in una chat su internet ABe Yoshitoshi, che gli disegnò la ragazzina dei suoi sogni incontrando immediatamente il suo apprezzamento (la fissazione di Ueda con Lain puzza molto di lolicon). I due battezzarono il proprio sodalizio in Production 2nd e andarono quindi a caccia di uno sceneggiatore e di un regista, forti dello spazio concesso da TV Tokyo e dai finanziamenti della Pioneer. Ueda era (ed è ancora credo) un punk mezzo otaku, ABe un ragazzo introverso e intellettuale, che in futuro creerà in autonomia capolavori esistenzialistici come Haibane Renmei. Per i due non fu difficile tirare dentro Chiaki J. Konaka, uno sceneggiatore Horror/Sci-Fi reduce di qualche OVA anni ottanta (tipo Bubblegum Crisis 2040 ). Egli infatti era un otaku della stessa generazione di Anno, completamente assorbito dalle sue conoscenze esoteriche, psicologiche, dalle sue bambole artigianali (un altro lolicon), da Lovercraft e dai Tokusatsu come Ultraman (dopo serial experiments lain, che si scrive tutto minuscolo, non a caso Konaka diventerà lo sceneggiatore di punta della NAS). Dopodiché, quando Ueda andò al Triangle Staff per stabilire chi avrebbe dovuto gestire regia e animazioni, incontrò il veterano Nakamura Ryutaro, che aveva lavorato per tre anni come key animator alle dipendenze del leggendario Dezaki Osamu (in particolare in Takarajima, Ashita no Joe 2 e Cobra ). Nakamura, che purtroppo ora è passato a miglior vita, era il più anziano del gruppo ed era già sposato con due figli, mentre gli altri tre erano single. Inquadrate pertanto le personalità dei quattro creatori, una volta formato questo dream team che l'animazione di oggi si sognerebbe, nacque appunto serial experiments lain, uno dei capisaldi del cyberpunk animato giapponese. Già il titolo è tutto un programma: l'opera è strettamente di nicchia, sperimentale, cupa, intrisa di tutto il disagio del suo tempo. Quel "PRESENT DAY, PRESENT TIME!" scandito da una voce psicopatica che ride da sola, parla per un Giappone in piena crisi d'identità e succube  di una nuova forma di occidentalizzazione forzata: quella legata al nascente dominio tecno-informatico sulla vita umana e le relazioni sociali, una delle tante cose che anche noi abbiamo importato dagli USA.  

martedì 7 settembre 2021

Love & Pop: Recensione

Titolo originale: ラブ&ポップ
Regia: Anno Hideaki
 Soggetto:  Basato sul romanzo Topaz II di Murakami Ryuu
Sceneggiatura: Sutsukawa Akio
Musiche: Mitsumune Shikichi
Anno di uscita: 1998


Ci sono due scrittori di cognome Murakami: quello a mio parere privo di spessore che tutti più o meno conoscono qui in Occidente, Murakami Haruki, e quello davvero intellettuale e profondo, Murakami Ryuu, il racconta(non)storie di una Tokyo malata di consumismo ed edonismo sfrenati (siamo nel contesto della bolla economica degli anni ottanta, la cosiddetta baburu ). Un dettaglio non trascurabile è che Murakami Ryuu è lo scrittore preferito di Anno Hideaki. E infatti, in Love&Pop, che è l'adattamento cinematografico (d'autore) del romanzo Topaz II, abbiamo un omaggio non trascurabile a quello che reputo il "vero" Murakami. Se in Tokyo Decadence, nel quale lo scrittore girava il suo Topaz (al quale Topaz II fa da sequel concettuale) l'anello di topazio era un modo della prostituta Ai di "sopravvivere" in un mondo privo di amore (una veggente le aveva detto che grazie all'anello avrebbe ottenuto l'uomo di cui era innamorata, salvandola da una vita di miseria), in Love&Pop l'anello è svuotato da ogni forma di appiglio pseudonarrativo: esso è semplicemente l'oggetto cui l'accompagnatrice minorenne Yoshii Hiromi ambisce per colmare il proprio vuoto interiore. Ai è infatti più vecchia di Hiromi, e si nutre ancora di qualche forma di illusione; Hiromi invece dà già per scontato il vuoto materialista in cui vive, e ad esso si è perfettamente adattata. 

mercoledì 2 giugno 2021

La mia prima volta – My lesbian experience with loneliness: Recensione

 Titolo originale: Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita
 Autore: Nagata Kabi  
Tipologia: Seinen Manga   
Edizione italiana: J-POP
Volumi: 1
Anno di (prima) pubblicazione: 2016

Quella di Nagata Kabi è la lucida autoanalisi di una persona fragile che utilizzando il proprio Io come laboratorio, forse senza manco volerlo, fa luce su tutti i problemi di un'intera epoca/generazione. Il punto di partenza della vicenda è l'abbondono dell'università da parte dell'autrice, con conseguente esclusione dal mondo/società. Da lì in poi la Nagata inizia a maturare una profonda forma di depressione che la spinge a procurarsi tagli sulle braccia e a strapparsi i capelli procurandosi calvizie. La questione dell'omosessualità non viene affrontata né con toni politici né vittimistici, pur essendo il Giappone una cultura molto poco aperta in questo senso. Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita (i.e. Per la troppa solitudine sono andata in un bordello lesbo), nonostante la sua confezione, non è assolutamente un manga per fujoshi o una puttanata con mire fanservicistiche: a parer mio è la naturale evoluzione ai giorni nostri del lavoro di Okazaki Kyouko, che già negli 80s parlava della vuotezza della società dei consumi utilizzando un giocattoloso contrasto tra bianco e rosa cipria, che la Nagata fa suo e arricchisce con un tratto molto personale.  

lunedì 19 aprile 2021

Boogiepop Phantom: Recensione 2.0

Titolo originale: Boogiepop wa Warawanai
Regia: Watanabe Takashi
Soggetto: basato sui romanzi di Kadono Kouhei
Sceneggiatura:  Murai Sadayuki,  Minakami Seishi,  Nojiri Yasuyuki
Character Design:  Suga Shigeyuki
Musiche:  Tsuruoka Yota
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anno di trasmissione: 2000


Ogni opera è figlia del suo tempo e pertanto, oggi come oggi, preferisco recensire il primo anime ispirato ai romanzi di Kouhei Kadono, Boogiepop Phantom, dacché a parer mio è quello più significativo (anche se il recente adattamento Boogiepop wa Warawanai della Madhouse è più fedele alla trama originale, l'ho trovato un po' fuori sincrono, anche a livello di design). Personalmente parlando, devo dire che Boogiepop Phantom è molto affine allo spirito del (mio) tempo, o quantomeno della mia generazione: era uno dei miei anime preferiti e ho sempre pensato che fosse l'unico che in qualche modo si avvicinasse a serial experiments lain, che sostanzialmente era un non-anime, una non-narrazione di un'epoca cupa e alienante, opera dissonante e scricchiolante in tutto e per tutto, con tutti i suoi simbolismi e le sue iniezioni di realtà distillata. Da un lato avevo grandi narrazioni come Xenogears, che mi fornivano illusioni di grandi amori eterni che avrebbero attraversato le epoche tramite metempsicosi, dall'altro avevo cose puramente "reali" come Boogiepop Phantom e lain, che mi riportavano un po' con i piedi per terra. Dal "pieno" al "vuoto" e viceversa in pratica, un veloce altalenare molto comune nel nostro tempo. Ciò detto, sebbene Boogiepop Phantom sia un'opera a sé nei fatti, lo spirito della novel, scritta da un ex hikikomori degli anni novanta, è del tutto preservato. Essendo Kadono un escluso dalla società giapponese, poteva parlarne senza timore, tirando dentro anche temi più universali - ai quali alla fin fine ogni cosa si riconduce. L'anime diretto da Watanabe Takashi, con le sue atmosfere cupe, distorte, la perenne foschia che avvolge le ambientazioni prive di luce è infatti l'analisi di un Giappone disilluso, in piena crisi sia economica che sociale/esistenziale. Perché in fondo i romanzi di Kadono non erano altro che una riproposizione di quelli di Murakami Ryu ma con un fondotinta horror, e una cupa ragazza con personalità multiple a fare da giudice/grillo parlante della situazione. Sì, proprio lei: la Boogiepop che dà il nome al tutto. 

mercoledì 24 marzo 2021

DEADMAN: Recensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: DEADMAN
Autore: Egawa Tatsuya
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Dynamic Italia
Volumi totali: 6
Anni di uscita: 1998~2000 (JP), 1999~2003 (IT)

 

«Lo scorrere di un fiume non si arresta mai... e per questo... non è mai uguale a se stesso.
Nell'acqua che ristagna... la schiuma può unirsi ad altra schiuma... ma non resta mai ferma a lungo.
Gli uomini e il dolore che affligge il mondo... non mutano mai.
»

Dopo una laurea ottenuta presso l'antica e prestigiosa università nazionale di educazione di Aichi (una sorta di Scuola Normale), Egawa Tatsuya decide di abbandonate la carriera di insegnante e di dedicarsi al fumetto, diventando un mangaka. Per un brillante giovane giapponese, nato nel 1961, si trattava di una scelta a dir poco controcorrente, considerata l'assai conformistica società della sua patria, soprattutto ai tempi, ma forse – come capirà al volo chi conosce la sua opera – il già intellettuale Egawa aveva in mente una forma di educazione più anticonvenzionale, se non rivoluzionaria. Nelle sue opere, infatti, mai scevre di una esplicita componente erotica, si direbbe ai limiti della pornografia, eppure del tutto assente di quella nota di voyeurismo ozioso che ne è tipico, l'autore innanzitutto critica con feroce intelligenza proprio il sistema educazionale giapponese: debutta con BE FREE!, l'antesignano del più noto, ma ben più frivolo e pecoreccio GTO, e in seguito, raggiunge grande notorietà con GOLDEN BOY, che non è affatto una mera commedia dai toni erotico-demenziali, come lascerebbe pensare la trasposizione animata. Divenuto ormai una contrastata personalità televisiva da salotti intellettuali, Egawa continua a condurre la sua critica del sistema scolastico giapponese, spingendola verso la svalutazione della formazione universitaria e della società nipponica essa tutta. Giunti negli Anni Novanta, sarà poi il turno anche di DEADMAN, che in effetti non è neanche più un manga vero e proprio, quanto una sorta di saggio di misticismo e filosofia politica travestito da storia gotica di vampiri. Dal punto di vista narrativo, DEADMAN è infatti organizzato (e disegnato) pressoché come una mera serie di dialoghi e racconti tra i personaggi, tanto da far pensare alla forma di trattato filosofico tanto amata da Platone, solo con l'aggiunta dei disegni: si tratta di una vera destrutturazione del medium narrativo chiamato "manga". 

martedì 26 gennaio 2021

FLCL: recensione

Titolo originale: FuriKuri
 Regia: Tsurumaki Kazuya
Sceneggiatura: Enokido Youji
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Musiche: The Pillows
Studio: GAINAX, Production I.G.
Formato: serie OVA di 6 episodi
Anni: 2000/2001
 
With the kids sing out the future
Maybe, kids don't need the masters
Just waiting for the little Busters 

 

In una società familistica come quella giapponese, il rapporto con i genitori è un tema cruciale (ad esempio basta pensare a tutta la riflessione di Imagawa, che delle colpe dei genitori che ricadono sui figli ne ha fatto il cardine della sua poetica). Ciò premesso, è stato detto molto sul qui presente Furi Kuri, dato che è caratterizzato da uno spiccato senso del nonsense e dell'assurdo (cose che potrebbero trarre in inganno lo spettatore occidentale). Tuttavia, il fulcro di questa metanarrazione così bizzarra, è appunto la famiglia. In particolar modo, si avverte il distacco generazionale tra Tsurumaki Kazuya, che qui riveste per la prima volta il ruolo di regista generale, e il suo mentore Anno Hideaki. Infatti ai tempi di quest'ultimo, cresciuto con la Expo di Osaka'70 nel cuore (e pertanto con una forte carica ideologica, sebbene simulacrizzata),  ancora permaneva qualche residuo dell'istituzione "famiglia nucleare"  (virgoletto perché la crisi della famiglia c'era già ai tempi di Anno, anche se in forma più lieve di oggi).

martedì 7 luglio 2020

OFF: Recensione

Sviluppatore: Mortis Ghost (Martin Georis)
Piattaforma: PC (Rpg Maker 2003)
Character Design: Mortis Ghost
 Musica: Alias Conrad Coldwood
  Durata: 4 ore di gioco circa
     Anno di uscita: 2007


OFF, insieme a Yume Nikki, è uno dei videogiochi amatoriali più "strani" e "famosi" mai creati da un singolo individuo utilizzando Rpg Maker 2003. Allo stesso modo di Yume Nikki, OFF, pur essendo sviluppato da un ragazzo belga, ne condivide il mood estremamente cupo e malato: OFF è una vera e propria odissea nel mal di vivere contemporaneo. 
Dotato di un fandom molto ristretto e underground, nel quale figura altresì Toby Fox, il creatore del ben più famoso Undertale (il quale è palesemente ispirato a OFF), il gioco si presta a più livelli di lettura, il cui denominatore comune è certamente il nichilismo e il senso di vuoto che ne deriva. 
Se Yume Nikki era una rappresentazione di solitudine e violenza interiore, OFF, la cui (non)narrazione si contorce su famiglia nucleare e società dei consumi, portando di fatto al nulla (come dice il titolo stesso del gioco: la switch OFF che spegne ogni cosa, ogni ideale, la stessa vita), sebbene sia anch'esso a suo modo incentrato sul tema della solitudine, è molto più filosofico in senso lato. Il protagonista è "Il battitore", un giocatore di Baseball (!) con la sacra missione (a suo dire) di purificare il mondo, ed è aiutato dai suoi tre add-ons Alpha, Omega e Epsilon, i quali rimandano alla trinità divina Cristiana. Il mondo in questione è infantile (infatti una delle interpretazioni del gioco è che il suo enviroment sia il prodotto della fantasia di un bambino), ma allo stesso tempo alienante, in cui degli impiegati denominati "Elsens", contrariamente al battitore, sono deboli e privi di ideali, e si fanno esplodere la testa a furia di fare lavori monotoni che riguardano numeri, produzione di zucchero (che nel gioco è un vero e proprio elemento naturale, assieme ad esempio alla plastica e al metallo, materie prime dei prodotti di consumo) e così via.

giovedì 1 agosto 2019

Neon Genesis Evangelion: Recensione 2 .0

Titolo originale: Shin Seiki Evangelion
Regia: Anno Hideaki
Progetto & Soggetto: GAINAX
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shiro
Realizzazione Animazioni: GAINAX, Tatsunoko Production
Formato: serie televisiva di 26 + 2 episodi
Anni di trasmissione: 1995 - 1996
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit


Evangelion è Anno Hideaki, ossia uno dei più influenti otaku di prima generazione (ossia quelli che avevano vissuto l’Expo di Osaka ’70 da bambini). Non esiste altra interpretazione dell’opera: essa va letta come l’anima, volendo lo spirito, la vita, di un otaku appartenente a un determinato periodo storico post-WWII (con tutti i mutamenti sociologici del caso), che si è guadagnato da vivere con cose - all’epoca, in Giappone - considerate da bambini/ritardati.
Con quest’opera, il cerchio del sogno otaku inaugurato dalla stessa GAINAX con Daicon III si chiude definitivamente, con un ragazzino che piagnucola dacché non riesce a definire la sua identità in un mondo di solitudine. Dopodiché, travisato nei suoi significati e frainteso da una nuova generazione di otaku ormai radicalmente diversa da quella di Anno, che poco si interessa a inserirsi in una società sempre più inesistente («There is no such thing as society», Margaret Tatcher docet), Evangelion diventerà un fenomeno consumistico di massa, sia in Giappone che all’estero. Le sue protagoniste assumeranno lo status di icone pop, dai videogiochi erotici alle doujinshi pornografiche, e le loro acton figures venderanno più dei modellini delle unità Eva. Nondimeno, la storia verrà sfruttata commercialmente fino alla nausea, con decine e decine di spin-off e storyline alternative (anche ad opera dello stesso autore, si pensi al discutibile Rebuild of Evangelion). Ciò premesso, oltre ad essere una lucida analisi delle problematiche legate ad una determinata condizione sociologica, la magnum opus di Anno è altresì uno degli anime più importanti della storia del suo media, tant’è che il 1995-97 è una linea di demarcazione di cui ogni eventuale “storico degli anime” dovrebbe tenere conto.

domenica 30 dicembre 2018

Lamù - Beautiful Dreamer: Recensione

Titolo originale: Urusei Yatsura 2 - Beautiful Dreamer
Regia: Mamoru Oshii
Soggetto & sceneggiatura: Mamoru Oshii
Character Design: Akemi Takada
Musiche: Masaru Hoshi
Studio: Studio Pierrot
Formato: lungometraggio cinematografico
Anno di uscita: 1984


Poco tempo dopo l’anime boom di inizio anni ottanta (i riferimenti nel film ci sono tutti), nel quale gli animefan adulti avevano messo in atto il loro primo, storico “coming out” (1982) in una società giapponese a loro indifferente se non ostile, dopo aver girato il trascurabile Only you, primo film omaggio al mondo di Urusei Yatsura, Mamuru Oshii, con il qui presente Beautiful Dreamer, decide di analizzare l’otakuzoku dall’esterno, mediante un’opera decisamente complessa, matura e d’autore (una delle prime nel suo genere).
Il contesto è quello del Giappone della bolla finanziaria fittizia indotta dagli investimenti esteri e dalle incoscienti politiche della banca centrale nipponica: analizzando tutti i vari media del periodo, canzoni pop incluse (una su tutte: la storica Merry-go-Round di Tatsuro Yamashita, 1983), è possibile farsi un’idea dell’opulenza della Tokyo di allora, ben distante dagli attuali standard recessivi dell’economia giapponese. L’eterna estate di Beautiful dreamer è analoga al “migliore dei mondi possibili” di Megazone 23 e alla città contenuta dalla colossale SDF-1 di Macross. E’ l’estate della Tokyo “congelata” nell’occidentalizzazione, nell’apatia e nella dimenticanza del passato.

lunedì 30 aprile 2018

L'età della convivenza: Recensione

Titolo originale: Dousei Jidai
 Autore: Kazuo Kamimura
  Tipologia: Seinen Manga  
Edizione italiana completa: J-POP
 Volumi originali: 6
Anni di pubblicazione:  1972-1973


Sofferto, come i tempi di piombo - ma allo stesso tempo di transizione verso l'attuale nulla economico/sociale che ci affligge - in cui vide luce, Dousei Jidai, al netto della sua intrinseca giapponesità, rappresenta una lettura ancora attuale. Indubbiamente.
Nello specifico si parla, assieme a Lady Snowblood e Itezuru, di uno dei grandi successi commerciali di Kamimura, (gradissimo) artista maledetto defunto da molti anni e fortunatamente “riesumato” da J-POP, rispettabilissima casa editrice Milanese specializzata in manga d'autore (in una qualche Feltrinelli in giro per l'Italia, tra un libro e l'altro, è possibile imbattersi nei tre suddetti manga tradotti in italiano e dotati di un'edizione di pregio).
Come suggerisce il titolo, l'opera tratta il tema della convivenza nel Giappone di inizio anni settanta, argomento tabù per una società patriarcale rigida e impostata come quellla nipponica, incentrata sul matrimonio, sul “buon padre di famiglia” e sul culto della tradizione. I due protagonisti del racconto, Kyoko e Jiro, sono due lavoratori precari, poveri in canna, reduci di un balzo dalle “certezze” della provincia all'anonima Tokyo del boom economico. Sono passati quattro anni dal sessantotto e questi giovani, con la loro convivenza e ricerca di emancipazione (sopratutto per quanto concerne Kyoko, la figura femminile della coppia, che lavora nonostante conviva con un uomo, cosa oscena nel suo contesto, dacché in esso la donna sposata non dovrebbe lavorare, ma dipendere dal marito), di fatto sfidano le convenzioni sociali, i “vecchi” e le loro regole, rimanendo tuttavia scossi dal senso d'inadeguatezza e di estraneazione che questa fragile ribellione matura nel loro spirito con l'andare del tempo. Appena uscito, Dousei Jidai ebbe un successo fantasmagorico proprio perché i giovani giapponesi che lo leggevano si identificavano nei due protagonisti e nel loro agrodolce amore, ma anche nel loro altalenante rifiuto della vita (tra l'altro nel manga viene esplicitamente citato il doppio suicidio dello scrittore Osamu Dazai e della sua compagna). 

domenica 21 gennaio 2018

Ultra Heaven: Recensione

  Titolo originale: Ultra Heaven
 Autore: Keiichi Koike
  Tipologia: Seinen Manga   
Edizione italiana: D/Visual (interrotta al secondo volume)
 Volumi: 3 (in corso) 
Anno di inizio pubblicazione: 2001 


In un futuro non troppo lontano, in cui le droghe pesanti sono state liberalizzate, il tossico Kabu è alla ricerca di esperienze sempre più forti. Abituale consumatore di Peter Pan, una delle poche droghe proibite dall'ufficio igiene (una sorta di psicopolizia che "cura" i drogati più gravi ripulendogli il cervello), dopo l'ennesima crisi di astinenza l'antieroe incontra un misterioso pusher, che lo introduce ad un nuovo tipo di sostanza ancora più potente del Peter Pan: l'Ultra Heaven, che permette di andare direttamente in paradiso, esaudendo tutti i propri desideri.
Manga più unico che raro, l'estremo Ultra Heaven rappresenta quantomai bene i tempi in cui viviamo. Nell'opera di Koike, ogni struttura narrativa viene meno, a favore di un bad trip allucinogeno iperrealistico in cui del becero esoterismo new age (con tematiche cyberpunk annesse) si perde in un vortice di deliri metafisici, coadiuvati da trasformazioni velocissime del corpo scandite da una furia surrealistica senza appiglio alcuno, in cui reale e finzione si fondono e il senso del tempo va perdendosi in quel "nulla" che viene richiamato più volte nel corso della lettura. Stile di disegno e tematiche fanno il verso al ben più noto Akira di Katsuhiro Otomo, sopratutto nella tecnologia esasperata e negli ambienti urbani decadenti; ma anche nella ricerca della definizione di una pseudo-identità nell'ottica delle fluttuazioni dell'io indotte dalla mancanza di radici ideologiche e sociali, in un contesto in cui ciascuno mira soltanto al desiderio fugace, al piacere istantaneo; la definizione di una figura "divina" e lo studio del rapporto che gli uomini hanno con essa nel momento in cui si rivela un mero simulacro soggetto al relativismo (i.e., "la morte di Dio"). 

sabato 30 dicembre 2017

Tokyo Babylon: Recensione

 Titolo originale: Tokyo Babylon 
 Autore: CLAMP   
Tipologia: Shoujo Manga   
Edizione italiana: Planet Manga, D/Visual  
Volumi: 7  
Anni di Pubblicazione: 1991-1993
 

Tokyo Babylon è il tipico manga anni novanta. Di quelli che, all'epoca, infestavano le fumetterie con le loro copertine colorate, stilizzate, tendenti alla depressione post-ideologica. Poco importa che sia firmato CLAMP e che si tratti di uno dei titoli più acclamati dal fandom delle suddette autrici. La sostanza è e rimarrà sempre e solo quella di un "fanservice intelligente" come tante altre opere dell'epoca: un'epoca in cui, tra i soliti cliché - in questo caso le famiglie di sciamani rivali, la falsa personalità, le allusioni omo-erotiche mai risolte utili ai creatori di doujinshi yaoi, il bello e tenebroso cattivo perché sì, nonché quell'altro dolce, carino e bravo perché fa sempre figo affiancarlo alla sua nemesi - si prendeva un attimo coscienza di certe problematiche legate alla ferocia e alla spietatezza della nostra beneamata società dei consumi di massa, proprio quella che ci vuole (e che ci ha reso) automi senza cervello utili soltanto a lavorare come schiavi per consumare il più possibile. In particolare, la "Tokyo Babilonia" piena di confusione, incomprensione e dolore, è quella che storicamente si colloca proprio subito dopo lo scoppio della bolla economica ottantina, che aveva donato al Giappone un'iniezione tanto sproporzionata quanto illusoria di benessere, ricchezza e bieco americanismo. Nella Tokyo firmata CLAMP, il disagio sociale viene raccontato mediante episodi autoconclusivi che ricoprono la quasi totalità dei sette volumi - la "trama" principale di Tokyo Babylon viene liquidata sbrigativamente nell'ultimo volume, lasciando un finale incompleto che poi, per ovvie ragioni commerciali, verrà proposto in X-1999, altro famoso manga delle (sopravvalutate) autrici. Gli esorcismi che deve effettuare il bello e innocente sciamano pseudo-shota Subaru sono soltanto un pretesto per illustrare il cinismo e la crudezza di un capitalismo postmoderno fine a sé stesso e privo di illusioni, nel quale a rimetterci sono i più deboli: ragazzine, giovani madri, vecchi reputati inutili da una società altamente competitiva e produttiva, bambine trucidate senza motivo, impiegate frustrate dal patriarcal-industrialismo. Sembra quasi ridicola la cattiveria di un insensato Seishiro Sakurazuka, cattivo più che altro per piacere alle fangirl, rispetto alla cattiveria delle persone vere, di quelle di tutti i giorni, in un contesto misofobo e alienante perché nella realtà ci siamo veramente ridotti a questo modo, non soltanto in Giappone - guardacaso, Subaru esorcizza soltanto femmine disperate, frustrate nell'intimo della loro femminilità, il cui rancore permane anche dopo la morte. 

martedì 20 dicembre 2016

Texhnolyze: Recensione

 Titolo originale: Texhnolyze
Regia: Hiroshi Hamasaki
Soggetto: Production 2nd (Yoshitoshi ABe, Yasuyuki Ueda)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Yoshitoshi ABe (originale), Shigeo Akahori
Musiche: Reiichi Nakaido
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 22 episodi
Anno di trasmissione: 2003


«Dentro ogni persona vive un mostro che farebbe tremare dalla paura persino il suo ospite. Quelli che non furono in grado di sopprimere il proprio mostro furono esiliati in un purgatorio sotterraneo. Proprio lui nacque in quel purgatorio sotterraneo creato dall'uomo. Più di chiunque altro, ha amato e odiato il mostro dentro di lui. Assieme alla seconda madre, è giunto nel mondo di coloro che hanno esiliato la sua gente. Una volta arrivato lì, quel mondo e la sua gente stavano lentamente aspettando la loro morte. Il mondo in superficie era il mondo dei morti. Il genere umano, così come il mondo da lui creato, era ormai giunto al crepuscolo.»

E' un'insieme di sensazioni, “Texhnolyze”. Sensazioni dure, forti, viscerali. La morte del mondo, la perdita dell'umanità, lo smarrimento, la crescita e il ritrovamento di quanto perduto. Il nulla. Lo spirito. La materia. La carne, le lacrime e il sangue, che si fondono in un triste gioco di corrispondenze poetiche, malinconiche e allo stesso tempo feroci. Lo sguardo fisso di Ran, spettrale ragazzina che osserva impassibile il tutto, comunicando con la voce della città sotterranea, Lux, l'ultima roccaforte del genere umano, l'ultimo posto in cui l'umanità può ancora cercare un motivo per esistere, anche se ormai, all'infuori del dolore e della perdita, nulla le è più concesso. L'alternativa è il mondo dei morti, quello in superficie, in cui ogni cosa è sempre uguale a sé stessa, monotona, priva d'iniziativa, passione e desiderio. E' il mondo asettico dell'oggidì, con tutta la sua vuotezza spirituale? Oppure è l'estrema sintesi dell'umana condizione, una farsa che trova la sua dignità soltanto nell'elevarsi a tragedia? 

sabato 12 novembre 2016

Wet Moon: Recensione

Titolo originale: Wet Moon
Storia: Atsushi Kaneko
Disegni: Atsushi Kaneko
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Star Comics
Volumi: 3
Data di uscita: 2011


«Ehi, ascoltami... che aspetto pensi che abbia il lato nascosto della Luna? Nessuno può ancora saperne niente, e sono libera di dare sfogo alla mia immaginazione, no? Però... presto gli esseri umani andranno lassù. E a quel punto, questa mia libertà scomparirà di colpo.»
– Ruri –

Si definisce wet moon (“luna bagnata”) – in italiano nota come “luna a barchetta” – una particolare fase lunare in cui la falce illuminata si ritrova coricata sull’orizzonte con le due estremità protese verso l’alto, assumendo un aspetto simile a un ghigno beffardo. Come un freddo faro nella notte, la Luna si fa da sempre osservatrice esterna delle vicende dell’uomo, che – affascinato dalla sua argentea luce – nel corso dei secoli ha alimentato innumerevoli leggende e credenze popolari ad essa legate. Ed è proprio questo richiamo primordiale e inarrestabile che sta al centro di “Wet Moon”, cupo e onirico manga pubblicato a partire dal 2011 sulle pagine della rivista “Comic Beam” di Enterbrain, e firmato da uno degli autori contemporanei più eclettici e geniali del Sol levante: Atsushi Kaneko.

sabato 22 ottobre 2016

Strange Circus: Recensione

Titolo originale: Kimyō na Sākasu
Regia: Sion Sono
Soggetto: Sion Sono
Sceneggiatura: Sion Sono
Musiche: Sion Sono
Produttore: Sedic
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2005


«Ero stata condannata a morte fin dalla nascita. O forse... era mia madre a dover essere giustiziata e ci siamo scambiate di posto.»

Uscito nel 2005, "Strange Circus" rappresenta forse la piena maturità artistica di un Sion Sono sempre più elaborato e incisivo, che – lasciatosi alle spalle la critica sociale di "Suicide Club" e il nichilismo disperato di "Noriko's Dinner Table" – mette in scena un lucido e sfarzoso incubo a metà tra realtà e finzione, che scava con una perizia quasi lynchiana nelle pieghe nascoste dell'inconscio. Il film prende il via con il (meta)racconto della bella e algida Taeko, scrittrice di successo imprigionata su una sedia a rotelle; l'ultimo libro della donna racconta la cruda storia di Mitsuko, bambina violentata dal padre e costretta dallo stesso a spiare i genitori durante i loro atti sessuali, nascosta nella custodia di un violoncello. La bambina finisce così per attirare su di sé anche le gelosie della madre, figura nella quale si era sempre identificata, che comincia a picchiarla e a maltrattarla: questo fino a quando la piccola Mitsuko, per difendersi dalle percosse, spinge accidentalmente la donna giù dalle scale, uccidendola. È l'inizio di un'allucinante spirale di eventi, a cavallo tra passato, presente, realtà e sogno.

sabato 15 ottobre 2016

Boku wa Mari no Naka: Recensione

Titolo Originale: Boku wa Mari no Naka
Autore: Shuzo Oshimi
Tipologia: Seinen manga
Edizione Italiana: non disponibile
Volumi:9
 Data di uscita: 2012


Shuzo Oshimi è un poeta della quotidianità dell'oggidì, attento scrutatore del disagio giovanile e della vuotezza spirituale che ne è all'origine. La sua opera è una disamina dell'adolescenza, il periodo critico della vita, volendo anche quello più pericoloso, in cui ogni cosa è in via di definizione e la sostanza umana di chi lo vive, mutuata dall'infanzia, si deve scontrare col grigiore e la freddezza delle istituzioni, con le etichette, con un contesto che tende ad omologare ogni cosa al fine di preservare il suo – fragile - equilibrio. Oshimi è altresì un poeta della postmodernità; i suoi personaggi sono tanto banali quanto realistici, afflitti da un nichilismo giovanile imperturbabile e da una crisi di ruoli/identità il cui unico rimedio è la fuga. La fuga da sé stessi, la fuga dagli altri, la fuga dal passato. Non stupisce pertanto che il suo nuovo manga, “Boku wa Mari no Naka” - per gli inglesi "I'm inside Mari" e per i francesi "Dans l'intimité de Marie" – invero si tratti di una decostruzione del genere body swap comedy nella quale un hikikomori come tanti altri, tale Isao Komori, durante un regolare rituale di stalking, inspiegabilmente “diventa” la bellissima e inarrivabile Mari, la classica ragazza borghese in cima alla gerarchia sociale, quella che fino ad un momento prima era la concretizzazione di tutte le sue frustrazioni: purezza, perfezione, bellezza, consenso da parte dei più. La prospettiva pertanto viene ribaltata; poco importa che sia un hikikomori che scopre, nel corpo di una presunta ragazza-angelo, quanto falsa e precostruita sia quella che credeva un'esistenza priva di problematiche; o che una ragazza-angelo, una volta tolta la maschera, si riveli affetta della stessa patologia del suo disadattato “ospite”, che forse era rimasto sempre lì, dentro di lei, senza alcun transfert, dacché il vero problema era altrove, non tanto nei singoli individui, tutti intercambiabili tra loro e affetti dalle stesse patologie a prescindere dalla barriera della corporeità, ma nella non-sostanza e nel non-senso di un modo di vivere alienante e privo di punti di riferimento stabili. 

sabato 1 ottobre 2016

Mind Game: Recensione

Titolo Originale: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Robin Nishi
Character Design: Yūichiro Sueyoshi
Direzione dell'animazione: Yūichiro Sueyoshi
Produzione: Eiko Tanaka
Musiche: Seiichi Yamamoto
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2004


Era il 2004 quando un titolo passato quasi in sordina in patria, diretto da un regista di mezz'età sconosciuto ai più, fece le sue prime apparizioni nei festival nazionali. Come un vero e proprio pugno in faccia, il film sconvolse fin nelle fondamenta il cinema d'animazione giapponese: distanziandosi dagli ormai abusati tòpoi che monopolizzavano il mercato, l'allora trentanovenne Masaaki Yuasa (questo il nome del regista) e i produttori del vulcanico Studio 4°C decisero di calcare con forza il pedale dell'originalità, mettendo totalmente da parte la logica delle vendite per consegnare alla storia un prodotto quantomai anarchico, unico e irripetibile, fondamentalmente diverso da qualsiasi altra opera fosse stata concepita in precedenza. Trasposizione dell'omonimo manga semi-autobiografico di Robin Nishi, serializzato sulle pagine di "Comic Are!" di Magazine House, "Mind Game" si dimostra fin dai primi fotogrammi un vero e proprio esperimento visionario e anticonvenzionale, capace di amalgamare codici e correnti artistiche differenti – tra cui psichedelia, pop art, surrealismo, avant-garde e materiale live action – come nessun altro lungometraggio cinematografico aveva mai osato prima. Il risultato è un'opera che al momento dell'uscita fu ovviamente ignorata dalle masse, ma che pervenne quasi subito allo status di cult movie celebrato parimenti da critica nazionale e internazionale, persino nei circuiti che fino ad allora avevano bellamente ignorato l'animazione giapponese: il film fu lodato apertamente da mostri sacri dell'industria occidentale come Bill Plympton ("Idiots and Angels") e ottenne diverse candidature a rassegne di grande prestigio, arrivando a vincere il Grand Prize al Japan Media Arts Festival (superando, tra gli altri concorrenti, "Il castello errante di Howl") e ben cinque premi al Fantasia International Film Festival di Montréal, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura. La stessa Madhouse, del tutto estranea alla produzione dell'opera, fu colta da un tale entusiasmo nei suoi confronti che si mise a promuovere la pellicola a spese proprie; difatti non è un caso che quasi tutti i lavori successivi del regista – tra cui i celebratissimi "Kaiba" e "The Tatami Galaxy" – saranno prodotti e realizzati dal noto studio d'animazione fondato da Masao Maruyama.

sabato 17 settembre 2016

Malice@Doll: Recensione

Titolo originale: Malice@Doll
Regia: Keitaro Motonaga
Soggetto & sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Shinobu Nishioka
Visual Concept: Yasuhiro Moriki
Musiche: Y-Project
Studio: Arts Magic
Formato: serie OVA di 3 episodi
Anni di uscita: 2001


La razza umana si è estinta. Ciò che rimane di essa sono le sue creazioni, in particolare uno squallido quartiere a luci rosse in cui delle prostitute robotiche vanno alla ricerca di clienti senza mai trovarli – in fondo, proprio a tal fine sono state programmate. Malice, bambola sessuale che si è guastata – le è uscita della colla da un occhio, che è andata a formare un'indelebile lacrima -, un giorno, mentre si reca dal robot adibito alle riparazioni, incontra una bambina fantasma, che la conduce nei meandri del sottosuolo per farla violentare da una gigantesca maschera dotata di tentacoli. Quando Malice si risveglia è diventata umana, e in più ha guadagnato un potere rivoluzionario: baciando i suoi colleghi androidi – «ti darò un bacio, è l'unica cosa che so fare» -, può infondere loro la vita, facendoli diventare degli esseri di carne e sangue. Ma mentre Malice in versione umana è perfetta, le “vittime” del suo bacio diventano delle mostruosità aberranti, grottesche e insensate. Era questa la sostanza dell'umanità che in passato popolò il mondo? Amore significa anche mutamento, perdita del sé e, in ultima sintesi, morte? Che rapporto c'è tra corpo e spirito? E tra sogno e realtà? Di certo, una mera macchina non può saperlo. Non può comprendere.