mercoledì 6 ottobre 2021

L'orologio di S.

 

Di rencente mi è capitato di reincontrare S., l'amico d'infanzia di cui avevo parlato in questo post. L'ho incontrato a Torino, dopo circa un anno che chattavamo in merito ad un suo orologio, un Universal Geneve automatico che alla fine mi ha svenduto a buon prezzo nonostante il suo elevato valore. A S. non penso interessassero neanche i soldi per quell'orologio di lusso, dato che avendo ereditato, aveva un Omega Speedmaster al polso e un Rolex in banca (mio padre era un grande appassionato di orologi, pertanto, di riflesso, me ne intendo molto). Questo mio conoscente di lunga data era ancora a dare gli esami universitari a trent'anni, uno dei tanti eterni adolescenti bloccati nella moratoria universitaria, che alla fin fine è un prolungamento indebito di una giovinezza che ormai non è più tale. Tutto ciò è normale nella nostra società, che essendo ormai re- infantilizzata, come narrava con grande lucidità il film di Shin Chan intitolato Il Contrattacco dell'Impero degli Adulti (non vogliamo scomodare Kojève dato che siamo in un blog di cartoni animati), fa molta fatica a produrre persone in grado di affrontare lo scorrere del tempo (si pensi all'abuso di photoshop e alla chirurgia plastica, per rimanere vaghi con gli esempi). Il povero S. è rimasto comunque bloccato per qualche anno a causa di un grave problema di salute: il suo pertanto non è un caso di fancazzismo, ma di moratoria obbligata (non aveva senso per lui lasciare l'università, dato che non aveva una compagna con la serietà necessaria per stargli vicino nel periodo post-operatorio e costruire con lui una famiglia). 

 

"Che vuoi fare S. una volta finita l'università? La senti ancora la modella cinese? Ti sistemi con qualcuna?". "Macché Messina, mi apro un tabacchino! Un tabaccaio fa 6000 euro al mese! Su Tinder sono tutte fuori di testa! Me ne sto da solo! Tu invece diventerai ricco Messina! Tu sei un genio! Poi ti comprerai un Omega Speedmaster!"

 

S. è un piemontese puro, modello, tant'è che mi ricorda una versione giovane di Gino, il mio nonno acquisito (aka il "fidanzato" di mia nonna) che ora non c'è più. E' ricco, come lo è sempre stato (in fondo lo chiamavamo "il bambino ricco"), ma come tutti i piemontesi non lo dà a vedere, e si preoccupa delle piccole cose di ogni giorno. Andiamo al Roma già Talmone, vicino a Porta Nuova, e mi dà il fantomatico Universal Geneve, ancora inscatolato e con gli adesivi protettivi. E' un pezzo bellissimo, elegante. Il movimento automatico dorato, ossia senza alcuna batteria ma con un bilancere che dà la carica grazie ai movimenti del polso di chi lo indossa, è tutto in bella vista nel retro (dotato di un coperchietto trasparente di zaffiro). Dopo alcune chiacchere molto da piemontesi, andiamo poi da un orologiaio a farmi mettere a posto il cinturino: per soli dieci euro, in centro, mi tolgono le maglie in eccesso e adattano l'orologio al mio polso. Dopodiché lo indosso sulla mano destra, anche se non sono mancino: l'ho sempre fatto con i Komandirskie (gli orologi dell'Unione Sovietica) che indossavo da ragazzino. 

 

Che siano di lusso o da poveracci, al quarzo o automatici, gli orologi corrono e segnano lo scorrere del tempo. Quando giocavo a Magic con S., avevamo tredici anni. In quel momento lì ne avevamo trentuno. Eravamo cambiati, sebbene fossimo sempre le stesse persone. "Messina Messina! Tu ti dovrai comprare uno Speedmaster, l'orologio di James Bond! Così quando andrai in discoteca, farai vedere chi comanda!". Peccato che di mio sono allergico a discoteche e affini, ma capivo che S. stava in qualche modo dichiarando la stima che aveva nei miei confronti. Era ironico come lo è sempre stato, fissato con le sue cose che poi un giorno avrebbe venduto come aveva fatto con le Magic. Più che come oggetti destinati a riempire un vuoto affettivo tipico del nostro tempo, mi viene in mente TopazII/Love&Pop, gli orologi andrebbero portati per ricordarsi che invero tutto scorre, e non si può rimanere eternamente congelati nelle proprie moratorie personali. L'orologio di S. è infatti l'unico orologio che possiedo: non intendo collezionarne altri. Quando me lo ha dato, lui mi ha detto in piemontese che ormai ero un uomo, ed era quindi giusto portarlo. Da poco tempo avevo visto Tokyo Monogatari, e quel gesto con quella frasetta mi avevano ricordato di quando Noriko riceveva l'orologio di Tomi. Se devo essere sincero, mi sento un po' come Noriko, pertanto quel gesto e quel commento li ho apprezzati molto. Augurando tutto il bene di questo mondo a S., ieri sono uscito di casa per andare come al solito a prendere il caffè al bar in pausa pranzo. Sono andato dalla solita vecchietta africana, una brava persona con un marito molto saggio e divertente. La figlia, solare come la madre e per nulla stupida (la loro è una famiglia profondamente religiosa e rigorosa, non essendo di origine occidentale), che Sabato mi aveva fatto il caffè, non c'era più. Evidentemente se n'era tornata a lavorare a Londra - "Londra è bellissima! Ci sei mai stato?". "No, sono stato a Parigi a lavorare, ma i francesi sono senz'anima, li odio". "Ahahahah in effetti...". 

 

Finito di sorseggiare quel buon caffè zuccherato, sul ritorno incrociai un anziano con un altro tipo di "orologio": il contatore della bombola di ossigeno che si portava appresso con un carrellino, che lo riforniva mediante dei tubicini trasparenti conficcati in gola. L'ho aiutato tenendogli la porta e ho pensato di essere molto fortunato. Avevo la salute e lo scorrere del tempo non mi aveva ancora martoriato fino a quel punto. 


Ticking away the moments that make up a dull day
Fritter and waste the hours in an offhand way
Kicking around on a piece of ground in your hometown
Waiting for someone or something to show you the way
 
Tired of lying in the sunshine, staying home to watch the rain
You are young and life is long, and there is time to kill today
And then one day you find ten years have got behind you
No one told you when to run, you missed the starting gun
 
And you run, and you run to catch up with the sun but it's sinking
Racing around to come up behind you again
The sun is the same in a relative way but you're older
Shorter of breath and one day closer to death
 
Every year is getting shorter, never seem to find the time
Plans that either come to naught or half a page of scribbled lines...

15 commenti:

  1. Run, rabbit, run
    Dig that hole, forget the sun
    And when at last the work is done
    Don't sit down it's time to dig another one

    For long you'll live, and high you'll fly
    But only if you ride the tide
    And balanced on the biggest wave
    You race towards an early grave

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  2. da balzachiano osservante solo un appunto: se hai lavorato a Parigi hai conosciuto i parigini, non i francesi

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    1. Sì, ho conosciuto l'intellighenzia scientifica francese. Non tutti erano nati a Parigi.

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  3. Mi sono sempre chiesta come avesse fatto Roger Waters, meno che trentenne, a fare una sintesi così mirabile dell'esistenza umana, lasciandone intuire anche la miserabilità (miserabilità e misurabilità si somigliano pure, ci faccio caso adesso).

    Waters riuscii ad ascoltarlo dal vivo che ero al quinto mese di gravidanza ed eseguì tutto "The Dark Side". Per me fu un'esperienza quasi mistica.
    Grazie per lo spunto, stasera metto il prisma sul piatto. ;)

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    1. Di nulla. Penso che Waters abbia molto sofferto la perdita del padre e poi dell'amico Syd Barrett. Tutta la sua poetica in qualche modo si basa sul senso di perdita infatti, che poi alla fin fine è il problema principale dell'essere umano (invecchiare, morire, perdere, cambiare).

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    2. Più che la perdita, l'assenza della figura paterna, dal momento che il padre morì qui in Italia - ad Anzio - durante la seconda guerra mondiale, quando Waters non aveva nemmeno un anno. Lui stesso, in varie interviste, parla di questa cosa.

      Per quel che riguarda il rapporto con Barrett è un misto tra perdita e senso di colpa per aver poi attirato su di sé la leadership della band.

      Scusa se divago e faccio la maestrina, ma quando si parla di Waters non mi si tiene.

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    3. Sì, ci sta, non sono andato a fondo nei particolari. Bene o male comunque la storia di Barrett ha segnato molto la band. Poi Waters penso sia stato l'intellettuale del gruppo, mentre Gilmour l'idealista sognatore.

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  4. Non serve studiare approfonditamente "la storia della musica pop" (pfff), tanto basta intenderne il magnifico riassunto che Don McLeon ne fece in American Pie, dacché l'innesco della fine della storia è mitteleuropeo, ma la postmodernità è un mostro angloamericano, per capire che dopo la musica fatta per far ballare (il Re) e la musica fatta per far aggregare i giovani (il Buffone), venne semplicemente la musica autoterapica del disagio giovanile. Lennon era un disagiato, e ne aveva ben donde, come Waters poi. La psichedelia, tutta la fanfara delle droghe, mettersi sul palco come pagliacci tristi, sono tutti tragici tentativi di fuga dalla solitudine e dall'angoscia del sé, la nuova arte (che è sempre un tentativo autoterapico esistenziale) pret-a-porter del dopo Little Boy. Ed è così che siamo arrivati ai talent show, e poi al broadcast yourself degli streamer, e poi ancora...? Stanno tutti già piangendo per avere almeno un big brother che li guardi, nell'intimo persino, me che gli confermi di esistere. Il nulla fa molta più paura.

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    1. Bene o male nacque tutto da quel disco con la banana di Andy Warhol. I Velvet Underground, ossia una dark lady (Nico) con un po' di drogati appresso che cantavano le loro gesta tipo I'm Waiting for the Man (ossia Reed che andava dal pusher a rifornirsi di eroina). Tutto ciò che dici c'era già qui. Il rock progressivo poi fu come i videogiochi di ruolo: pseudonarrazioni escapistiche, fiabe (I Genesis), manierismo pseudo-proto misticheggiante (gli Yes). Il punk poi ritornò al punto di partenza, ma la musica in sé non era neanche più necessaria. Jhonny il marcio che grida che non c'è futuro, Sid il malvagio che si taglia le braccia e finisce in galera sospettato di aver accoltellato la fidanzata. Per poi morire in overdose con la madre che gli portava la droga. Non esistendo più narrazioni vere e proprie, le grandi narrazioni, la musica moderna non può essere più sacra, ma giustamente come dici te o roba pseudonarrativa o sfogo di disagio.

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  5. A Shito ricordo che serve tutto ciò che ci piace o ci è piaciuto, e già questo è più che sufficiente.
    Un incipit tranciante e impersonale mi ricorda tanto quell'amico che ognuno di noi ha avuto, il quale lanciava strali su ciò che non interessava a lui, come se contasse qualcosa poi. In senso assoluto, dico.

    Nietzsche dice: "Per quanto l'uomo possa espandersi con la sua conoscenza, apparire a se stesso obiettivo: alla fine non ne ricava altro che la propria biografia".
    Personalmente, questa cosa la applico anche sugli altri: se qualcosa carpisce la mia attenzione, si tratti di film o musica o altro, vado a cercare la biografia dell'autore per tentare di capire cosa l' abbia portato a produrre una determinata cosa.

    Francesco, la tua analisi la trovo obiettiva, anche se sicuramente ristretta. Su punk e postpunk il discorso è un po' più articolato e, almeno agli albori, connesso alla storia prettamente britannica a cavallo tra i '70 e gli '80.

    Comunque, da qualunque pseudonarrazione contemporanea, basta non farsi prendere fino al punto da esserne rapiti o condizionati o come pretesto per fuggire dalla realtà, ma questo sta ad ognuno e alla sua storia. Personalmente, per fortuna mia, non ho mai avuto la tendenza a fuggire.

    Scusate il wot.

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    1. Non ti preoccupare, apprezzo i wot quando danno cotnributi intelligenti ad una discussione.

      La storia britannica dei Joy Division ecc. secondo me può essere generalizzata all'industrialismo tutto. I casermoni in cui erano cresciuti, la crisi della società di quel tempo, è roba che ho visto anche a Torino e in generale in Italia. E penso sia ovunque, da qui il successo mondiale di quel tipo di musica e attaggiamento (i famosi "emo" autolesionisti, poi gli otaku, poi gli incel).

      Si potrebbe comunque scrivere un articolo dettagliato su Punk e post-Punk btw. Che poi alla fin fine la Regina era un po' come un residuo di grande narrazione imho. Forse rappresentava per loro il privilegio di avere una "narrazione istituita" a cui attaccarsi per sopravvivere. Un po' come gli zoomer e doomer invidiosi dei boomer.

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  6. @M.M.

    L'ultimo periodo del tuo not-so-WOT rcchiude il tuo attuale pensiero, che si può anche ridurre alle celebre frase "sì, sì, tutto bello, ma non farne una scienza!". Forse il mio precedente post era poco chiaro, non tracciava affatto una discriminante qualitativa, ma quantitativa. Da cui il pfff. Basta appunto una canzonetta, come quella di McLeon, o un articolo su un blog, non servono tomi e tomi. La realtà mostra sé stessa in modo sin troppo ovvio e palese, da sempre.

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  7. @Shito
    Sai, il tuo discorso penso di averlo inteso dall'inizio, quindi era chiaro eccome, a differenza del mio. Intendere dai riassunti altrui non è una mia abitudine, tutto qui. Farne Scienza è sicuramente esagerato anche per me e infatti sono una semplice appassionata con la mania dell'approfondimento, come tanti ce ne sono e in tanti campi.

    @Francesco
    Anche io intendo la Regina come una pseudonarrazione e lo scrivevo qualche tempo fa ad un vecchio amico. I tempi sono quelli che sono ovunque, tant'è che l'ascendente di Her Majesty inizia a vacillare parecchio e già da un po'.
    Credo anche io si possa generalizzare il discorso, poi ognuno ne approfondisce il compartimento che più gli interessa.

    P.S: Ian Curtis che a 22 anni scrive: "Do you remember when we were young" e vai a vedere e scopri dell'epilessia e ci aggiungi Manchester e l'alienazione da industrialismo e cose così.

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    1. Il fatto che Ian Curtis fosse malato lo nobilita certamente di fronte a chi poi lo emulerà pur essendo sano e benestante.

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