sabato 9 ottobre 2021

Lupin III · Il castello di Cagliostro: Recensione & Rifessioni (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: Lupin Sansei · Cagliostro no Shiro
Regia: Miyazaki Hayao
Soggetto originale: Monkey Punch (personaggi), Maurice Leblanc
Sceneggiatura: Miyazaki Hayao, Yamazaki Haruya
Musiche: Oono Yuuji
Produzione: Tokyo Movie Shinsha
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1979
 
 
L'esordio alla regia cinematografica di Miyazaki Hayao, precedentemente impegnato a dirigere la serie televisiva Lupin Sansei del '71 con i colleghi Oosumi Masaaki e Takahata Isao, non poteva che avvenire in un clima di pieno fermento per l'animazione giapponese. Si era infatti in pieno anime boom, e dopo la proiezione del film riassuntivo di Uchuu Senkan Yamato, avvenuta due anni prima, gli otaku si aspettavano opere animate in grado di venire incontro alle loro ormai riconosciute e marcate esigenze esistenzialistiche (o escapististiche che dir si voglia). A spadroneggiare nel neonato mercato "anime" (prima si sarebbe parlato solo di "terebi-manga" e "manga-eiga", ovvero "cartoni in tivvù" e "film a cartoni") c'erano da un lato la sete di SF roman, dall'altro la fame per il nascente genere lolicon, entrambe forme riparative di stasi sublime nella propria adolescenza e dei suoi dolci ideali. Proprio di questo parleranno già pochi anni dopo dei giovani autori intellettuali quali Kawamori Shouji e Mikimoto Haruiko in ChoujikuuYosai Macross, quindi Yamaga Hiroyuki e la futura GAiNAX col DAICON-IV Opening Anime, e quindi ancor più schiettamente Oshii Mamoru nel suo Uruseiyatsura2 · Beautiful Dreamer. La destrutturazione interna dell'otakuzoku e delle sue nevrosi si era già innescata, la lucidità dei suoi più brillanti esponenti era spiccata. In particolare, l'allora dilagante fenomeno dell'idolatria lolicon, pur serpeggiando in mille modi nella società giapponese (post)moderna si era manifestato dichiaratamente in primis con i manga di Azuma Hideo (premio Seuin nel 1979), tuttavia fu pressoché canonizzato proprio con il qui presente Lupin miyazakiano, ovvero con la sua adorabile eroina Clarisse, che divenne una sorta di reginetta del lolicon ambita e adorata da una sconfinata pletora di otaku in visibilio.
 
Ma paradossalmente per Miyazaki l'anime boom segnava già una fase decadente dell'animazione, a suo dire manieristica, perché con esso il media non si rivolgeva più ai bambini ma agli adulti. Già da allora, Miyazaki Hayao aveva forti conflitti con l'otakuzoku, ma considerando che si parla di un regista animatore che si diede all'animazione dopo aver visto, già da diplomato, un film animato per bambini come Hakujaden, essersi innamorato della protagonista e avere passato la notte insonne a piangere (dichiarazioni sue), forse  ciò che ha sempre causato conflitti a Miyazaki è proprio la psicologia otaku che al di là di tutte le negazioni risiede solida in lui. Un bambinone che nega la sua stessa infantilità, e quindi avversa i bambinoni che lo osannano come un sire? Un otaku ante litteram che nega l'otakuzoku emancipatosi nella società? Guarda caso, Miyazaki sosteneava che il vero iniziatore dell'anime boom, ovvero Uchuu Senkan Yamato, aveva altresì esaurito il potenziale dell'animazione, perché iniziando a rivolgerla a un pubblico più che infantile la condannava alla morte per disillusione dei grandi ideali (grandi narrazioni?) dell'umanità (gli ideali in fondo sono cose dell'infanzia). Per Miyazaki l'animazione è infatti sempre rimasta una cosa infantile, talvolta per bambini di età prescolare (come Tonari no Totoro, ad esempio), e serve a dare una valvola di sfogo alle frustrazioni e allo stress della società (post)moderna mostrando cose che trasmettano ed essi un senso di significanza, ossia narrazioni riparative simulacro, più precisamente pseudonarrazioni: ideali da immaginario infantile che sembrano quasi sensati in un mondo che si nutre di finzione. A ben vedere, un regista forse realmente geniale e così attento alle nevrosi della postmodernità come Elio Petri ebbe a dire la stessa cosa: dato che la gente deve alienare la propria identità sul posto di lavoro, il cinema nel contesto industriale serve a recuperare illusoriamente la dimensione umana delle cose (la passione, l'intensità dell'adolescenza, l'epica del passato, ecc). In effetti, ciò che dell'animazione pensa Miyazaki è senz'altro al contrario del realismo narrativo e anti-simulacro espresso dal cinema animato di Takahata Isao, ma altresì in qualche modo ben distante dalla poetica di Tomino Yoshiyuki e Anno Hideaki (per il quale ci torna allora in mente Fushigi no umi no Nadia), secondo i quali i bambini devono farsi partecipi delle crudeltà della vita, non capirla in battuta, soffrirne, e poi ripensarci crescendo in modo da diventare adulti responsabili e consapevoli. Tenendo a mente queste considerazioni, si capisce immediatamente la banalità concettuale di cose come Cagliostro no Shiro, il quale comunque va analizzato come opera precipuamente lolicon e legata al sentire otaku del suo tempo, pur sempre negato dall'autore.
 
 

La trama o canovaccio del film è un vero classico, e in questa sede ne riportiamo la sinossi originale (giapponese) contenuta nel VHS della Toho del '94 (traduzione di R. Bambini):

"Nell’antico Castello di Cagliostro, in Europa, si è protratta per quattrocento anni una contesa familiare tra la casata degli arciduchi e quella dei conti. Tuttavia, a causa di un incendio avvenuto dieci anni fa, il conte di Cagliostro regna con potere assoluto e mira a fare di Clarisse, l’ultima rimasta della casata degli arciduchi, la sua sposa. Be’, a dirla tutta, la sua vera intenzione… Quel mistero che ruota attorno agli stemmi del caprone bianco e del caprone nero… La situazione si fa complicata, e alla fine la Lupin family e il corpo d’armata di Cagliostro si affrontano in uno scontro globale all’ultimo sangue. A breve, il velo sulla gigantesca organizzazione falsaria che ha sconvolto il mondo, rimasta nascosta per quattrocento anni, verrà squarciato."

Evidentemente, trattasi pertanto di una narrativa per l'infanzia più che canonica, sebbene in essa vi siano quei particolari e otaku come ad esempio i (superficiali) riferimenti alla massoneria. A tal proposito, l'antagonista Cagliostro è uno dei pochi veri "cattivi" miyazakiani, ossia "cattivi", "tecnocrati" e nulla più; nella sua "forzosa" cerimonia nuziale con Clarisse si porterà tutta una schiera di uomini incappucciati stile Neo Atlas a seguito (interessante la precisione con la quale Miyazaki ricalca parte del rituale d'iniziazione massonico). L'influenza del film sull'immaginario di Anno Hideaki è evidente: basti pensare a quanto la Fujiko miyazakiana si ritrovi in Katsuragi "Sailor Moon" Misato, o alla patina misterica/occulta che in questa sede si vuole dare agli antagonisti, che sono al centro di un complotto mondiale secolare. Nell'immaginario otaku, il male deve essere assoluto e simulacrizzato quasi quanto il bene: non saper discernere tra il bianco e il nero cogliendo le loro varie sfumature è cosa tipica dei bambini. Il Lupin miyazakiano è infatti bambinesco, quasi un principe azzurro delle fiabe immacolato, come notò altresì Monkey Punch, il creatore del manga originale di Lupin (traduzione di R. Bambini):

«
Be’, ho detto che "Questo non è il mio Lupin". Che "Io non avrei potuto disegnarlo, è pieno di gentilezza"
[...] Il mio Lupin si potrebbe definire maligno, perché è un personaggio che per raggiungere l’obiettivo non bada ai mezzi, è cupido, ha in sé la bruttura degli esseri umani. Non avrei potuto disegnarlo così gentile.»

 

Nausicaä (sopra) e Clarisse (sotto), teorema:
cambiando il contesto della loli il feticismo non cambia.

 

Pertanto il film è completamente di Miyazaki Hayao, del Miyazaki di quegli anni, e il fatto che dentro ci siano i personaggi di Lupin è puramente incidentale. Infatti anche Zenigata andrà incontro ad una pesante ristrutturazione, trasformandosi da cliché di vecchio impiegato incapace a esempio di onesto poliziotto  di vecchia scuola, capace e motivato, ma tristemente impotente di fronte alla meschinità del potere burocratico (Cagliostro influenza le decisioni dei politici e la stampa, altra cosa che deve aver molto affascinato Anno Hideaki). L'alleanza di Zenigata con Lupin avviene in modo estremamente naturale dato che in gioco c'è la bella Clarisse da salvare, ossia la Kannon incorruttibile che rimanda allo stato trascendente della propria giovinezza (la scena del bicchiere d'acqua, nella quale, come la Nausicaä omerica aveva in totale ingenuità e purezza soccorso Odisseo, Clarisse salva il vecchio Lupin precedentemente ucciso a frecciate dal regista). Dico trascendente in quanto per la cultura giapponese, il passaggio all'età adulta rappresenta uno stacco molto netto rispetto alla libertà e ai privilegi dell'infanzia/adolescenza, e l'essere otaku era un modo di forzare tale Eden nella vita adulta – un po' come a delimitare un territorio sacro dell'infanzia, della giovinezza, dell'ingenuità perduta che è giardino del castello (e che rivedremo poi su scala globale in Laputa), da cui l'attaccamento fanatico e morboso degli otaku dell'epoca per Clarisse, la idol delle idol che come una Nausicaä omerica persino bambina portava loro il bicchiere d'acqua come a Lupin, senza mai tradirli né venir "corrotta" dalla crescita. Inutile dire che persino il sudicio e burbero Jigen e il misogino, imperturbabile samurai Goemon vengono letteralmente incantati dalla dolcezza di Clarisse, e così nel finale il qui imperturbabile Zenigata, proprio come lo stesso Miyazaki, che si "innamora" delle sue eroine. Ci sono infiniti pezzi di vita, sin alla scena dell'episodio primo di Mirai Shounen Conan, per cui il regista litigò con Ootsuka (il modo in cui Conan tratta/solleva Lana è poco leggiadro, Miyasan voleva che lui la toccasse come un uccellino, invece è rozzo con Ootsuka), oppure il fatto che poi Lana gli sembrava poco kawaii (oggi diremmo moe?) e quindi fallimentare, sino alla scena dei baci subacquei nella quale Miyazaki ammise francamente di aver proiettato i suoi ideali romantici senza darsi un freno. Ovviamente, se si è letto anche altro su Miyasan, questi racconti fanno eco ad altri, molti altri, e ci sono pezzi che combaciano perfettamente: il suo modo di essere è esemplare come esempio di mentalità puramente otaku, che alla fin fine è la narrazione escapistica per eccellenza: la loli è la Dea del lolitomane o che dir si voglia. Opportunamente posta (o incatenata?) sul suo aureo piedistallo la loli è d'altro canto relegata al suo statuario ruolo di venerata "bambolina moe(ru)" e pertanto ricondotta anch'ella alla stasi di una condizione di "moratoria indefinita dalla crescita", come ebbe a dire Ejisonta sull'otakuzoku nell'ultimo articolo della primigenia serie intitolata "Otaku" no Kenkyuu. Non per nulla, lo stesso Miyazaki Hayao racconta candidamente: "da ragazzo volevo solo fare il mangaka ed andai all'università per estendere il mio periodo di moratoria". Inoltre, spesso egli dichiara che il suo scopo come animatore è quello di sollevare forti emozioni "come quelle che provai quando da bambino lessi il manga Sabaku no Maou (Il genio del deserto), di Fukushima Tetsuji". L'eredità di questo manga si vedono chiaramente in tutte le prime cose di Miyasan: il manga Sabaku no Tami (La tribù del deserto), le premesse di Nausicaä, la storia illustrata Shuna no Tabi (Il viaggio di Shuna). Le prime cose originali di Miyazaki Hayao sono sempre queste storie socio-fantasy, tutte molto influenzate anche dal ciclo di Earthsea (Ursuka K. LeGuin), i cui primi tre libri Miyazaki adorava al punto di "non sapere quante volte li abbia letti", e sono tutte storie da emozione adolescenziale/infantile. Sono proprio cose da otaku per otaku, cose da "bambini fuori tempo massimo". Non c'è davvero da stupirsi se Nausicaä fece poi il boom ai tempi dell'anime boom. E del resto, è anzi quasi superfluo rimarcare come proprio Clarisse col suo bicchiere d'acqua sarà poi trasfigurata da Akai Takami nella bambina del DAICON-III Opening Anime, agli albori del gruppo creativo che diventerà poi la GAiNAX. Ed era il 1981, due anni dopo Cagliostro, tre anni prima di Nausicaä al cinema.


 
 
In merito a tutto questo discorso, per contestualizzare la poetica del primo Miyazaki, almeno quello che non aveva ancora diretto Mononoke Hime e On Your Mark, sembra utile riportare quel ebbe a scrivere Anno Hideaki, nella sua dedica inclusa nei booklet del LD–BOX "Ghibli ga Ippai COLLECTION" (traduzione di Gualtiero): 
 
 
«Ci sono troppe cose dolorose perché le persone possano vivere nella realtà.
Quindi, gli umani fuggono e si rifugiano nei sogni.
Guardano film di intrattenimento.
L'animazione, come modo per godersi tutta la purezza di un mondo fasullo, è la realizzazione di un sogno tutto intrecciato in un film.
In breve, si tratta di un ambito dove persino le coincidenze sono predisposte e ogni cosa che si giudichi cinematograficamente irrilevante può essere omessa.
I sentimenti negativi del mondo reale non fanno eccezione.
Se il regista lo desiderasse, persino la malizia verso il prossimo potrebbe essere introdotta schiettamente nel film.
Credo che questa sia una delle attrattive degli anime.
Tramutare le tribolazioni del mondo in sogni, e trasmetterli alla gente... è questo il nostro lavoro?
Per il bene delle persone che dimenticano la realtà finché quella non gli presenta il conto, che vogliono dedicarsi a lieti inganni.
Credo che questo sia il nostro lavoro nel campo dell'intrattenimento e dei servizi.

Uno dei tratti distintivi delle opere dello Studio Ghibli è che, anche se ci sono componenti ossessive, ci sono tratti che sembrano non aver tradito il loro obiettivo.
Tradire il proprio obiettivo conduce alla disperazione, una malattia che può dimostrarsi fatale.
Chissà se Miyasan e il suo staff hanno familiarità con il sentimento della disperazione.
Forse non vogliono mostrare quell'angoscia al mondo.
Credo che loro specificatamente non vogliano mostrare al prossimo le negatività chiamate "disprezzo del sé" e "complessi".
Ecco perché le opere dello Studio Ghibli non possono mostrare che superficiale felicità e una riproduzione della realtà purgata da ogni bruttura. Una narrativa che imita la realtà, ma non è nulla più di un singolo sogno.
Suppongo che questo sia il governo dell'intrattenimento.
E credo sia questo il motivo per cui le opere dello Studio Ghibli siamo creazioni di marca sicure alla visione.

Non ho intenzione di negarlo.
Tutte le opere dello Studio Ghibli sono creazioni di eccellente livello.
Però, non posso evitare di sentire che manca qualcosa.
Questo perché, nonostante la tecnica ci sia tutta, non riesco più a sentirne il "sangue", il "sangue" che di certo scorre all'interno di ciascuno.
Ma quando è successo?
Le opere dello Studio Ghibli sono diventate, per me, cose che non hanno più l'immagine degli "anime", quanto piuttosto del cosiddetto "cinema giapponese", in altre parole quei film giapponesi che hanno ormai perso la loro energia.
Questa potrebbe essere la ragione per cui sento che manca qualcosa.
»


"Manca qualcosa" perché, inevitabilmente, la stasi otaku o lolicon è destinata a terminare sotto il peso della realtà. Dopotutto anche gli autori crescono, persino quelli più infantili, e la meccanica del lolicon porta inevitabilmente al marcio, si pensi a tutto l'idoling giapponese, ossia Perfect Blue, o a quello che lo stesso Anno raccontava in Love&Pop. Sicuramente la moratoria sia otaku che loliconesca può fornire una spinta vitale ad un mondo in cui "ci sono troppe cose dolorose": Nausicaä si toglie la maschera in mezzo ai miasmi del MarMarcio, si fa vedere sorridente come una sirenetta, in posa, e solo questo ridà coraggio e voglia di vivere ai vecchi che già si davano per morti. Lo stesso discorso, in soldoni, lo fece il manager di alcune idol (in carne ed ossa) conosciuto da Gualtiero: "il compito delle idol è quello di dare energia e ispirazione ai loro fan". Alla fine c'è molto questo senso della loli come vestale, come idolo di quel paradiso perduto degli adulti che è non tanto l'innocenza, quanto l'idealità dell'infanzia. In merito a tale condizione, nel suo Confessions of a frigid man, Morioka Masahiro sostiene che il lolicon, che solitamente è assai affascinato dalla pseudonarrativa shoujo, fa della ragazzina, capace di offrire benevolenza incondizionata, una proiezione di sé stesso. Questo fa pensare ad una sorta di solipsismo otaku, cosa molto comune in un'epoca della solitudine di massa: contrariamente alla donna-madre castrante, la loli esiste soltanto come veicolo egotistico dell'individuo e del suo intelletto (e qui di nuovo viene in mente Anno, che nell'Evangelion del '95 aveva sostanzialmente creato Rei, ossia una madre surrogata adolescente, mentre il ruolo di madre reale e terribile era relegato al mostruoso Eva - nel più classico esempio di "scissione del seno", di cui Melanie Klein e il titolo inglese del sedicesimo episodio della serie: Splitting of the Breast ).
 

Per restare in tema Nausicaä (omerica, ma la fanciulla qui è recidiva, come si vede – così da bambina così da sposina, sempre a soccorrere malconci sconosciuti in riva all'acqua).
 
Giusto a tale proposito, è davvero illuminante (eppure così lineare!) leggere un più corposo contributo proprio  dello stesso Miyazaki Hayao, risalente al 1983 – un anno prima dell'uscita del film di Nausicaä, ma quando il manga omonimo aveva già iniziato la sua serializzazione – e originariamente pubblicato sul secondo numero di Anicom Z, la newsletter dell'allora Club di Animazione dell'Università Waseda, proprio la stessa in cui oggi insegna il succitato professor Morioka, docente di Etica e Filosofia. Il brano (talmente lucido che sembra un capitolo di Confessions of a Frigid Man ) è di seguito riportato per intero, traduzione sempre di Gualtiero.
 

Dopo aver visto "Machi" e "Present"

Machi (1981) 3 min. 15 sec, 8mm, colore, animazione a carte colorate

Storia: una ragazza raccoglie un cane da un bidone della spazzatura in una strada circondata da freddi palazzi di uffici. Sta facendo amicizia col cane dandole del pane, quando appare un grosso robot meccanico dalla forma di granchio. Allungando le sue zampe e strappando il cane alla ragazza, il robot se lo butta nell'apertura che gli fa da bocca. E quindi sputa fuori il pupazzo di pezza di un cane. Una volta che il robot se n'è andato, la ragazza in lacrime abbraccia l'animale di pezza e scaglia sulla strada il resto del pane.

Present (1982) 4 min. 22 sec, 8mm, colore, animazione a carte colorate

Storia: una città col cielo riempito di aerei. Un soldato si intrufola nella stanza di una ragazza e le lascia un libro illustrato vicino al cuscino. Col libro illustrato in mano, la ragazza scende in strada dove vanno e vengono i soldati. Un uccellino mette un fiore in mano alla ragazza. Quando lei cade e spacca il fiore, l'uccellino vola via nel campo dove sbocciano i fiori. Lì il paesaggio è lo stesso che sul libro illustrato. L'uccellino dà un secondo fiore alla ragazza che lo appunta sul petto di uno dei soldati in strada.

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Non intendo criticare "Machi" e "Present" dal punto di vista né di un regista di animazione né di un adulto oltre i quarant'anni d'età. Quando avevo la stessa età degli autori di questi film, io non avevo né la forza né il coraggio che loro hanno dimostrato. Sono immensamente impressionato già solo dal fatto che abbiano realizzato questi film.
Allo stesso tempo, mi sento come se queste opere stessero forzando su di me un certo tipo di onestà. Questo perché i desideri e i sentimenti al cuore di questi due film sono esattamente ciò che provavo quando avevo la stessa età dei loro registi - e di quei sentimenti non sono ancora riuscito a liberarmi completamente.

In un certo periodo della vita - quel tempo sbilanciato di trasformazione dall'infanzia alla giovinezza - giovani maschi con una certa tendenza iniziano a vedere un simbolismo sacrale nelle storie di ragazze. Non intendo analizzare la ragione di ciò. Tutto quello che so è che, per il meglio o per il peggio, queste giovinezze si ripropongono anno dopo anno. I loro sentimenti repressi sono troppo profondi per essere liquidati insistendo che hanno semplicemente un lolicon, o che risolverli in dei videogiochi di ruolo è del tutto sufficiente. Questo tipo di giovane inizia a nutrire la ragazza che è dentro di lui. La ragazza è parte di lui, ed è una proiezione di sé stesso. Lei è qualcuno dell'altro sesso che offre a lui una benevolenza incondizionata. Per di più, non è come sua madre, che lo ingloba nel suo ventre e lo priva di tutte le sue forze. Invece, lui è in grado di intraprendere azioni e mostrare le sue forze per il bene di questa ragazza. Qualcuno la chiama una ragazza idealizzata, ma non sono d'accordo. L'ideale è universale, mentre in questo caso si tratta di qualcuno dell'altro sesso che esiste solo per lui come individuo.

Le donne che combattono per la loro indipendenza disprezzano queste ragazze. Sentono che questo ideale è un attacco unilaterale da parte degli uomini che cercando di infilare le donne in uno stampo. Ma noi non siamo davvero così; noi gridiamo che anche gli uomini stanno a dimenarsi per terra contorcendosi. Le donne che fingono di essere carine hanno due cose che alimentano la loro rabbia: sono spinte dagli uomini a comportasi in un certo modo e sono masochisticamente incapaci di ignorare l'atteggiamento degli uomini verso le donne.

Le ragazze che compaiono nelle due opere "Machi" e "Present" sono ragazze nella mente degli autori. Sebbene i disegni delle due opere differiscano in qualche modo, loro sono indubbiamente la stessa ragazza. Su strade che hanno perduto la loro umanità, in mezzo a folle di persone i cui genitori sono stati mandati in guerra, solo queste ragazze mantengono la loro gentilezza e la loro inclinazione verso la bellezza, perché loro ricercano un genuino contatto emotivo umano. Da un certo punto di vista, queste storie potrebbero essere prese come critiche della civilizzazione. Ma vorrei azzardare che non fosse questa la vera intenzione degli autori. La strada mi appare come la proiezione del mondo esterno - il mondo vuoto, immane e ruvido dell'ignoto - in cui i registi dovranno entrare dopo aver concluso la loro moratoria dei giorni da studenti. La strada offre l'immaginario sia dell'ansia che dell'aspirazione. È un luogo inorganico e, intendendo che un giovane non lo conosce ancora né l'ha provato - è un mondo di pagine bianche allineate. In contrasto, la ragazza è l'attaccamento che i registi sentono tra il loro sé giovanile e quello infantile che devono lasciarsi alle spalle. Lei è la proiezione della protezione, un simbolo di diritti che che loro non si rendevano conto di avere e che dovranno ora abbandonare con la crescita. Queste ragazze esprimono la nostalgia per un sé che era libero dai detriti della vita. La ragazza non vive al di fuori del giovane; lei è il il suo medesimo sé che lui ha alimentato interiormente.

Come dichiaravo all'inizio, sono anch'io uno di questi registi e non ho intenzione né qualifiche per discutere se questo genere di film sia buono o cattivo. Potrebbe essere che ancora adesso, quando vedo donne che vivono nella realtà, io stia ancora cercando di trovare la mia stessa proiezione piuttosto che cercare di capire la reale essenza delle donne. Non voglio liquidare "Machi" e "Present" come soggetti di analisi e critica.

Che c'è di buono nell'analizzare, negare e sopprimere i desideri e i sentimenti che esistono come distinte forme dentro di me? Il lavoro di creare un film dovrebbe essere diverso da questo. Come verrebbe fuori il film se la ragazza in "Machi" inseguisse e combattesse il robot per reclamare il suo cucciolo? Cosa se, invece che semplicemente scagliare il pane, lei tentasse di dare da mangiare il pane al cucciolo mentre lui è intrappolato nel granchio robot? Cosa se la ragazza in "Present" avesse provato a trovare nella fila di persone l'uomo senza volto che le aveva dato il libro illustrato?

I film potrebbero finire per diventare troppo lunghi. Le storie potrebbero diventare troppo divaganti per essere adatte alla forma di film. Le ragazze pure potrebbero non essere in grado di restare pure. Ma in questo non dovrebbe esserci rischio.

Mi viene in mente che questa è la differenza tra fare un film e creare un film – un problema che mi si continua a presentare.

-- Miyazaki Hayao

 
Se per noi, nel 2021, scrivere una simile analisi di lettura è forse rivelatorio di tutta una dinamica psico-sociologica postmoderna di cui abbiamo ormai più volte detto, bisognerà ancor più ammettere che la lucidità e la sincerità con cui un regista di certo già esperto, ma comunque ancora "giovane", come il Miyazaki Hayao del 1983 esprimeva il suo sempre conflittuale rapporto con l'idealità narrativa e l'idealizzazione sacrale della figura femminile è senz'altro mirabile: chi scrive trova che questo tema rappresenti forse il concio d'imposta di tutto l'arco dell'espressività di così tanti autori dell'animazione giapponese, se non della narrativa disegnata giapponese essa tutta (manga, anime), e non solo. Avevamo del resto parlato della Nausicaä omerica, e non solo, senza dubbio il mito di Persephone in Ade, la dama del melograno, e tutta la dialettica filosofica della fissità dello sguardo maschile sull'eterno e irrefrenabile dello spirito femmineo della kore, ovvero della ninfa, dalla curiosità di Pandora alla malafede indotta in Psyke fino alla danza dei mille veli della Salomè di Wilde e ancora e ancora fino alle giovani idol dell'oggidì è un tema che ha turbato i sonni e i giorni di grandi pensatori, viene subito in mente il Doppio Sogno di Schnizler, ma ancor più il grandioso atlante di Aby Warburg, non a caso intitolato Mnemosyne, la dea titanica della memoria. Ci si ritrova sempre sul crinale dell'essere nel tempo. Forse quel che di realmente interessante può esserci nella narrativa disegnata è proprio il manifestare queste tensioni asincrone della crescita umana che sono tragicamente tipiche della società postmoderna. Certo, il tema è solo uno, è sempre la stessa cosa. Ma almeno.
 
Tuttavia, inevitabilmente, ciò che di idealistico il giovane Miyazaki e tanti autori di disegni animati e non tentavano di imprimere nelle loro creazioni è destinato a crollare in quanto innaturale, e la natura detiene sempre il primato sull'uomo. Ancora peggio, portare una forte attitudine infantile nell'età adulta, senza sublimarla mediante la finzione ma imponendola forzosamente nella realtà, può produrre disastri e danni incalcolabili. Un esempio lampante di ciò, per quanto riguarda il lolicon, è la terribile storia di Margaux Fragoso, raccontata nel suo romanzo Tiger Tiger!: la vera "loli" in carne ed ossa nelle mani di un "otaku" bambinone e pedofilo Peter, il quale finì in ultimo col suicidarsi (l'apertura della scatola del tempo di Urashima Tarou: il ritorno alla realtà di un cinquantenne che ha abusato di una bambina per anni, travestendo la cosa da pseudonarrazione) per poter liberare la sua vittima dalla morbosa moratoria derivante da un rapporto malato prolungato ad libitum come se il tempo non esistesse (purtroppo la poveretta morirà di malattia a soli 38 anni, dopo essersi realizzata accademicamente e aver dato alla luce una bambina: le bruttezze della vita nell'impietosa amoralità della natura). 
 
 
RIP Margaux F, che le tue memorie siano lette con onestà.
 
 
Tornando infine al film Cagliostro no Shiro in sé stesso, non poteva mancare il tema del volo, tanto caro a Miyazaki. Il suo Lupin senza macchia non può non pilotare un velivolo, che diventerà in un certo senso il veicolo del salvataggio della loli, ossia il sogno con il sogno, la trascendenza con la trascendenza. Per il resto la narrazione, in fabula e intreccio, è lineare come quella di una favola, tra avventure rocambolesche, misteri da svelare, ambienti fascinosi e ritrovamenti archeologici – tutto come da manuale di quello che da lì a breve si sarebbe detto il tipico cinema hollywoodiano d’avventura per ragazzi degli anni Ottanta. Essere cattivi è brutto, le ragazzine son carine e vanno trattate bene, il mondo è pieno di affascinati misteri da svelare, fine (e qui ci ricolleghiamo nuovamente  a quanto dichiarato da Anno Hideaki in merito allo stile e alla filmografia Studio Ghibli, che riteniamo davvero totalizzante). Si dovrà arrivare alla fine degli Anni Novanta per vedere l'archetipo rappresentato da Clarisse corrotto dal rancore, e per di più senza alcuna risoluzione (Mononoke Hime), e di conseguenza un Miyazaki che si avvicina a quel che Takahata Isao aveva si da subito messo in scena (la spaventosa ambivalenza femminile di Hilda) e forse alla poetica di Tomino Yoshiyuki e Anno  Hideaki, mostrando infine ai bambinoni, ossia i giapponesi, che di grandi ideali invero non ce ne sono più, facendo ricondurre il tutto alla storia di un conflitto che rivela l'insanabile imperfezione dell'umanità, conflitto nel quale un ragazzo riesce a comprendere l'animo di una ragazza, curandone le ferite pregresse (il che è già tanto nel mondo reale). E quindi si arriva a Fushigi no umi no Nadia, agli anni novanta, alla fine del sogno otaku. Da qui in poi, le loli si trasformeranno in streghe o in giustiziere divine, tipo Mononoke Hime nel contesto della parabola esistenziale del suo autore, ma anche Narutaru e Saikano, per poi approdare, con estremo e perverso manierismo, a Madoka Magica. L'anime boom, con la sua generazione di – appunto – boomer tanto fiduciosi nel futuro e nella loro stessa giovinezza, dopo On Your Mark (e quindi di nuovo Evangelion), sarà soltanto un ricordo. ByeBye Osaka70, il tuo sogno è durato quanto la stasi di un'interminabile crepuscolo, nel lascito di macerie del quale vivere è così difficile...


Bibliografia & approfondimento

"Fragile come un castello di carte", tesi di laurea in Cultura e letteratura giapponese di Riccardo Bambini.

ShuppatsuTen ("Punto di partenza") e OrikaeshiTen ("punto di svolta"), due libri che raccolgono molto materiale su Miyazaki Hayao. 

8 commenti:

  1. Prima o poi commenterò tutti i tuoi interessanti post appena avrò un po' di tempo da dedicargli.

    "il vecchio Lupin precedentemente ucciso a frecciate dal regista" qui mi trovi totalmente d'accordo, da fan duro e puro di Lupin trovo questa versione veramente pessima, e quella scena emblematica del rispetto di Miya per il personaggio, che già nella prima serie aveva cominciato a mitigarne gli aspetti più crudi di Lupin e soci (che adorava come un calcio nelle parti basse).

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    1. Eh sì, Monkey Punch non era un bambinone lolicon come Miyazaki.

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  2. Long John: è esattamente come tu dici. Tant'è che altrove Monkey Punch diceva "questa versione di Lupin piace a tutti, ma è al 100% di Miyazaki, io non posso riconoscerlo come il mio personaggio". Tutto il film trasforma la "Lupin gang", nata per essere in qualche modo realmente adulta e anche volgare, in una banda di "bravi bambini", ognuno a suo modo. Diventano tutti personaggi con una propria alta idea morale, volti al sacrificio in nome di quella. L'estrema rinuncia di Lupin, che lascia la loli Clarisse che gli si vorrebbe dare e dedicare alla sua vita da vivere, è il gran rifiuto che Odisseo farà di Nausicaä, del resto, tornando dalla sua Penelope finalmente cresciuto (una crescita maschile che ha comportato un lungo giro, un lungo viaggio, molte morti... ma certo al principino andò ancora peggio). Essenzialmente, l'idealizzazione dell'età adulta che ha un bambino.

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  3. Ottimo articolo, concordo con il vostro giudizio su Il castello di Cagliostro. Ammetto che si è trattato di uno dei film di Miyazaki meno entusiasmanti, parecchio "innocuo". Ho apprezzato molto di più altre incarnazioni animate di Lupin e compagnia, tra i più recenti la serie "La donna chiamata Fujiko Hime". Credo che storie e tematiche adulte meglio si addicano ai personaggi di Monkey Punch.

    Interessante pure tutta la parte dell'articolo dedicata al pensiero del primo Miyazaki, non si tratta di brani che si trovano facilmente in giro.

    Però vorrei solo fare un appunto, proprio a proposito del Miyazaki di Nausicaa. Ho letto il manga molto tempo fa (quasi 20 anni), ma non ricordo che permeasse quella stessa ingenuità presente nei primi film dell'autore. Anzi, mi ricordo un finale maturo e disilluso, la protagonista costretta a molti sacrifici per ottenere un risultato ambiguo, dei risvolti non proprio "loli". Ricordo pure che rifiutasse le avance di alcuni personaggi. Il manga ha terminato la sua pubblicazione in concomitanza con l'uscita del film.

    Credo che già agli inizi degli anni 80 Miyazaki avesse già le stesse idee non troppo ingenue su ambientalismo e uomini. Probabilmente i primi film Ghibli non hanno permesso lo stesso coraggio nel rappresentare personaggi e storie più mature come i film più recenti dello stesso studio e regista.

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  4. Caro TizioTimidio, grazie per avere vinto la tua shyness ad avere commentato! :-)

    Dici tutto il giusto tranne una sa: no, il manga di Nausicaä non termina la sua pubblicazione con l'uscita del film. Era appena all'inizio. Il manga di Nausicaä inizia nel 1983, termina nel 1995, ben 12 (dodici) anni dopo - quando Miyazaki Hayao stava creando Mononoke Hime, ed era una persona molto diversa di quella degli esordi del manga. Dici però bene. il manga è molto diverso dai suoi film. Come autore di animazione, Miyazaki si considera e si dichiara un autore di prodotti per bambini. Come autore di manga no: Nausicaä (il manga) è la classica opera finto-aldulta, drammatica e melodrammatica, che i neonani "otaku" bramavano nei primi Ottanta. Uccisioni violente, crudeltà, e un pseudo-loli (ma anche assassina!) comunque salvifica per grandi e piccini. Un'apocalisse fatta come si deve. Non a caso l'opera preferita di Anno Hideaki. I conti, come vedi, tornano certosinamente.

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    1. Hai ragione! Avevo letto male la data di pubblicazione su Wikipedia. Allora si, gli ultimi volumi del manga sono stati realizzati durante la fase più matura di Miyazaki, a ridosso di Mononoke Hime.

      Allo stesso tempo, non ricordo di aver percepito il manga come un'opera finto-adulta, mi sembrava più profondo di tanti altri fumetti che ho lettodurante lo stesso periodo anni fa. Forse dovrei riprenderlo adesso con una visione del mondo più matura e tante altre letture in più nel mio bagaglio delle esperienze.

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  5. Ma hai di nuovo ragione anche tu. Per "finto-adulta" io non intendo frivola, o sciocca, o stupida, o "una bambinata", no. Il manga di Nausicaä è una storia complessa, articolata e anche molto intellettuale. Ma intendo anche dire che è comunque una storia gloriosa piena di grandi ideali e massimi sistemi. Non è in questo "realmente matura" nel senso che non ha quella mediocrità anche schifosa che è la verità dell'uomo che ha abbondano i dolci ideali dell'infanzia per crescere davvero nella sua vita reale. Queste cose le troviamo semmai in Lupin, il manga, come dicevamo. Sto dicendo insomma che Nausicaä è un bellissimo manga, e lo adoro, ma non è Ozu e non è Kurosawa, ecco. Non che dovrebbe esserlo, secondo me. Va splendidamente bene così com'è. ;-)

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  6. Grazie a entrambi per questo scambio di riflessioni su Nausicaa. L'avevo venduto in un periodo di "crisi esistenziale pseudotaku" ma molto probabilmente lo ricomprerò per rileggerlo. :)

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