mercoledì 15 dicembre 2021

Touch: la poetica della (sana) giovinezza

Touch di Adachi Misturu è uno degli evergreen del fumetto giapponese: recensirlo, valutarlo, lodarlo, parlarne male per fare tendenza, ecc. sono semplici inezie. Pertanto la cosa che mi preme analizzare con questo scritto è ciò che l'opera rappresenta dal punto di vista oggettivo, dato che come per ogni totem adolescenziale e generazionale, ognuno ci vede un po' se stesso e quindi è difficile avere una comprensione lucida di ciò di cui si sta parlando. Neanche per Shimamoto Kazuhiko (pseudonimo di un mangaka compagno di banco all'università dei membri fondatori della GAiNAX, che poi diventerà noto agli otaku in quanto character designer originale di G Gundam) lo era: chi ha visto il bellissimo telefilm Aoi Honoo sa che egli ne era affascinato, ma rimproverava ad Adachi di non aver inserito alcuna epica né drama nella sua storia (curioso poi che Adachi a sua volta omaggerà Shimamoto in una scena di Touch ). Dico questo perché gli otaku dell'epoca (che si nutrivano di pseudonarrazioni epiche quali Uchuu Senkan Yamato ), nonostante Touch fosse un fumetto per "tutti", erano ossessionati dalle vicende di Kazuya e Tacchan, il primo fratello lodevole e asso indiscusso del baseball scolastico, ma dal destino crudele, e il secondo fratello pigro e superficiale, che in seguito alla tragedia sceglieva di migliorare umanamente portandosi dietro la pesante eredità spirituale del gemello. E poi c'era Minami, la ragazza (ovviamente) più bella della scuola che era contesa tra i due, fatto che dava origine al più classico dei triangoli amorosi, anche se macchiato dallo spettro della morte. Morte che veniva affrontata senza storture né melodrammi (come rimproveravano gli otaku contemporanei a Shimamoto, che ho usato come esempio), in modo tale che le cose arrivassero a pacifica risoluzione, cosa intuibile già fin dal principio.

Tra le musiche dell'epoca mi viene in mente Goodbye Boogie Dance! di ANRI, che proprio come Touch era un energico addio ad una giovinezza vissuta in un'epoca in cui il consumismo aveva ancora qualcosa da dire, non essendo ancora subentrato completamente a istituzioni quali la famiglia o al benessere interiore (mi piacerebbe anche dire "alla salute mentale") degli individui. Le famiglie in Touch, inclusa quella composta dal solo padre di Minami, che anche lui ha conosciuto la morte, questa volta dell'amata moglie, non sono per nulla disfunzionali o ossessionate dall'apparenza, dal consumo in sé stesso o dai conseguenti solipsismi egoticamente dissociativi tipici di una generazione successiva di genitori. Fin dall'inizio si sa che Minami ama Tacchan e che una volta che lui si sarà svegliato, ne diventerà la moglie con tanto di beneplacito del padre di lei. Certo, c'è anche il baseball, e la gente spesso confonde Touch per un manga meramente sportivo: nulla di più sbagliato, dacché lo sport in questa sede è il simbolo di ciò che prima o poi dovrà finire, ossia una giovinezza sana e felice (nonostante le ovvie difficoltà della vita). Il traguardo del Koushien rappresenta gli ultimi anni di libertà, di ardente passione, di idealismo, e in cui si fanno ricordi per la vita. La giovinezza poi finirà, senza alcuna latenza né moratoria (ossia il prolungamento innaturale di essa che va tanto di moda oggi), e poi tanti saluti alla microepica di quei rapporti genuini tra persone (il pugile grande  e grosso che ti consiglia per bene, il rivale cazzuto, l'amico fedele Koutaro), nonché degli amori sfuggenti ma che rimarranno per sempre nella memoria, e di tutto ciò che poi andava a formare il bagaglio di esperienze di adulti sani e responsabili, ingranaggi di una società giapponese che nonostante vari scricchiolamenti sembrava ancora funzionante. Qui arriviamo al punto cardine inerente la questione "otaku": se per gli otaku di adesso, che per la maggior parte hanno avuto giovinezze disfunzionali, sofferte o quantomeno non sono più in grado di riconoscere uno distacco tra adolescenza e adultità, Touch è robetta illusoria, un racconto osé di cose inesistenti o impossibili (talvolta improponibili); per gli otaku della generazione in cui veniva pubblicato su Shonen Sunday, invece, Touch era ciò a cui puntare, ma che doveva essere prolungato innaturalmente nella propria moratoria consumistica à la Uruseiyatsura, magari con Minami a ricoprire lo stesso ruolo di Lum, ossia quello miserabile di waifu del cuore a due dimensioni (come scriveva Groenfield all'epoca, gli otaku erano l'avanguardia di quel consumismo che sarebbe poi stato in un futuro completamente globalizzato e tecnologico – e Shito aggiunge che il sempre intellettuale Yamaga Hiroyuki faceva dire proprio lo stesso al giovanissimo Sasshi in Abenobashi, in un epoca in cui gli ancora bambini Arumi-Sasshi, ovvero porta tagliafuoco d'alluminio, erano già visti dal regista come l'ultima barricata di sanità mentale-sociale, forse).

Touch è quindi un mastodontico, poetico omaggio alla giovinezza sana, vissuta realmente e nelle modalità corrette, e non è nient'altro. Anche le tavole più piccanti non hanno alcuna malizia: Adachi rappresenta l'arrivo della sensualità, che viene anch'essa metabolizzata, come sua sorella morte, nel migliore dei modi possibili senza condurre ad alcuna deformazione psicologica o mostruosità pornografica. Già soltanto questo è sufficiente a provocare grande sconforto nel lettore odierno, che magari deve affrontare il suo essere Incel o il suo essere ancora un neet sulla trentina. Da qui certi flame che mi ricordo aver letto nelle board online anni fa, in cui Touch veniva etichettato come opera schifosamente boomer, capziosa, banale e quant'altro. Per quanto faccia male ad alcuni, ciò che viene raccontato da Adachi in un certo contesto storico è realmente esistito: la società poteva ancora permettersi una reale giovinezza (invito a riflettere autonomamente su questo punto, che è fondamentale).

 Che poi anche l'allenatore demonio della situazione (questo è un cliché tipico dei manga sportivi del decennio precedente), che aveva avuto una giovinezza infelice, si risolverà pure lui nel migliore dei modi, proprio in virtù di quello "spirito giapponese" che era ancora papabile nella ricerca continua di una perfezione del sé da parte dei personaggi, che diventava poi quella "perfezione sociale" a cui puntava il Giappone in quanto superpotenza mondiale (se Tacchan riusciva a risolversi, bene o male lo faceva anche la sua squadra e il suo cupo allenatore: il benessere del singolo era equivalente al benessere del gruppo, dacché c'era ancora questa correlazione tra istanze sociali, dato che l'insieme unione non era ancora colato a picco). Ognuno era in grado di diventare la versione migliore di se stesso nonostante tutto, e in ultima istanza un ingranaggio funzionante di un sistema sì duro e difficile, ma in cui esisteva ancora un tempo in cui essere veramente felici nonostante tutto. E questa non è una banalità, ma ciò che è semplicemente stato in un'epoca in cui il consumismo a parer mio poteva ancora definirsi "felice".

2 commenti:

  1. Non ho mai letto Touch, ho solo qualche vago ricordo della serie animata sulle reti Mediaset.

    Però, leggendo questo articolo, sono rimasto sorpreso dal fatto che una storia di questo tipo sia così sminuita dai lettori odierni. Probabilmente mi preoccupa sapere che molti giovani pensino che una giovinezza "sana" con un fine (ed una fine) ed una famiglia funzionale siano solo una favoletta buonista.

    Non che un tempo fosse tutto rose e fiori, ma ho tantissimi esempi (in primis la mia di famiglia d'origine) che una volta fosse più comune diventare adulti e facenti parte di una famiglia unita. Ricordo con piacere le mie nonne come stoiche e serene, completamente avulse dai richiami luccicosi della nostra società, nonostante la durezza dei loro trascorsi di vita.

    Mi è parso di capire che sia ancora così al di fuori del blocco Liberal-Occidentale, almeno dove consumismo e post-modernità non hanno ancora attecchito del tutto. Fermo restando che queste considerazioni non riguardano opulenza e standard delle condizioni di vita.

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    1. Ciao ShyGuy, grazie per il bel commento.

      Sì, è molto triste ma è così, parlando di Touch con la gente hai reazioni diverse in base alla loro generazione. Si potrebbe fare un diagramma della disgregazione della società/famiglia in funzione del tempo o qualcosa del genere, e la funzione fitterebbe benissimo con i "dati sperimentali".

      "Ricordo con piacere le mie nonne come stoiche e serene, completamente avulse dai richiami luccicosi della nostra società, nonostante la durezza dei loro trascorsi di vita."

      Questa cosa che dici è molto importante e l'ho notata anche io osservando gli anziani del mio paese d'origine. L'altro giorno tra l'altro guardavo un documentario sulla guerra. Mi ha colpito vedere queste giovani donne sorridenti nonostante fosse tutto ridotto in macerie (oggi invece nonostante il benessere hai percentuali spaventose di depressione e utilizzo di psicofarmaci). Penso che i film di Ozu dal canto loro vogliano arrivare proprio a questo concetto.

      All'infuori del blocco occidentale, tipo gli ex paesi sovietici, sicuramente hai persone diverse a causa minor percentuale di benessere e comodità. Quando mancano queste due cose, si è obbligati a lavorare su se stessi in qualche modo. Che poi era ciò che diceva anche Gurdjeff: senza sofferenza purtroppo non si cresce, si rimane "uomini meccanici" (che poi è un po' la stessa cosa della "fase orale" di cui Freud).

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