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sabato 3 settembre 2016

Mushishi: Recensione

Titolo originale: Mushi-shi
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: Yuki Urushibara
Composizione della serie: Hiroshi Nagahama
Character Design: Yoshihiko Umakoshi
Musiche: Toshio Masuda
Studio: Artland
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anni di trasmissione: 2005-2006


"Mushishi", serie animata del 2005 tratta dall'omonimo manga di Yuki Urushibara, può definirsi alla stregua dell'identità interiore di un Giappone ormai iper-modernizzato, ma che al contempo ha sempre gelosamente conservato quelle caratteristiche ancestrali che si concretizzano nel legame spirituale con la natura, nel rapporto con gli antenati e nella fedeltà alle proprie tradizioni. Anche nel vastissimo campo dell'animazione i modelli pratici di tutto ciò sono svariati – si pensi al capolavoro miyazakiano "La città incantata", riconosciuto a livello internazionale con il premio Oscar – e spesso si ritrovano nascosti e integrati persino all'interno di opere di tutt'altro genere o contesto. È per questo che ritengo "Mushishi" – che si fonda esclusivamente sulla magnificenza del folklore nipponico – una serie profondamente giapponese, tanto nella forma quanto nei contenuti; nell'estrema rarefazione dei modelli visivi e narrativi incontra e riporta alla luce l'identità culturale del Sol levante, sopita ma al contempo sempre viva e rimpianta.
In un vortice di emozioni, filosofia e padronanza del mezzo espressivo, "Mushishi" si impone così come una delle migliori serie animate degli anni Duemila.

sabato 14 marzo 2015

Aku no Hana - I fiori del male: Recensione

Titolo originale: Aku no Hana
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Shuzo Oshimi
Sceneggiatura: Aki Itami
Character Design: Hidekazu Shimamura
Musiche: Hideyuki Fukasawa
Studio: ZEXCS
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 2013

 
Esistono anime che hanno senso solamente in Giappone. "Aku no Hana" è uno di questi. Spesso, italiani e stranieri, quando si ritrovano di fronte a questo tipo di opere, compiono un grosso errore, e le valutano trascurando la società e il contesto che le ha prodotte. Non si può valutare "Aku no Hana" secondo gli usi e costumi della società occidentale, molto meno rigida, formale e opprimente di quella giapponese. Chi ha studiato lingua giapponese conosce benissimo i numerosissimi suffissi onorifici i quali devono essere utilizzati per rivolgersi ad una persona a seconda del grado di confidenza, dell'età, della posizione sociale e così via. Già questa peculiarità della lingua di per sé rende benissimo l'idea di quanto questa società, da molti di noi sconosciuta, sia asettica e formale, così tanto da arrivare in alcuni casi ad annichilire la personalità degli individui, la loro sessualità, il loro amor proprio. Inoltre, i giapponesi hanno una concezione del voyeurismo molto marcata e sui generis; il feticismo e l'attaccamento patologico, morboso, all'oggetto dei desideri manifestato da molte persone del sol levante deriva dall'oppressione e dalla frustrazione che genera in esse la società, con i suoi ritmi alienanti e proibitivi. Il fortunato che ha studiato giapponese, o che comunque si è informato ed ha esperienza nel settore manga/anime, è anche ben a conoscenza del fatto che il termine "otaku" inteso nel suo senso originario è ben diverso dal significato occidentale. Non si tratta di un nomignolo simpatico per identificare esclusivamente un appassionato di manga/anime; nella società giapponese, un otaku è un individuo problematico, asociale, con forti difficoltà a rapportarsi con il prossimo, ossessionato da determinati oggetti e/o prodotti del consumismo giapponese. Un otaku è un emerginato, di sovente identificato come ritardato dalle altre persone. Un otaku s'interessa morbosamente a degli oggetti, spesso anche solo per la loro forma, il loro colore, i loro meccanismi. Possono esistere anche otaku che s'interessano di libri senza comprenderne veramente il significato, solo per il gusto di averli e di sentirsi speciali rispetto agli altri, quelle persone così asettiche ed omologate da quell'impersonale ed autoreferenziale organo il quale è la società giapponese. Il marcato voyeurismo è una dimensione tipica dell'otaku, quindi non mi stupirei affatto se esso degenerasse in feticismo a causa di un disagio interiore più patologico della media.