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sabato 15 ottobre 2016

Boku wa Mari no Naka: Recensione

Titolo Originale: Boku wa Mari no Naka
Autore: Shuzo Oshimi
Tipologia: Seinen manga
Edizione Italiana: non disponibile
Volumi:9
 Data di uscita: 2012


Shuzo Oshimi è un poeta della quotidianità dell'oggidì, attento scrutatore del disagio giovanile e della vuotezza spirituale che ne è all'origine. La sua opera è una disamina dell'adolescenza, il periodo critico della vita, volendo anche quello più pericoloso, in cui ogni cosa è in via di definizione e la sostanza umana di chi lo vive, mutuata dall'infanzia, si deve scontrare col grigiore e la freddezza delle istituzioni, con le etichette, con un contesto che tende ad omologare ogni cosa al fine di preservare il suo – fragile - equilibrio. Oshimi è altresì un poeta della postmodernità; i suoi personaggi sono tanto banali quanto realistici, afflitti da un nichilismo giovanile imperturbabile e da una crisi di ruoli/identità il cui unico rimedio è la fuga. La fuga da sé stessi, la fuga dagli altri, la fuga dal passato. Non stupisce pertanto che il suo nuovo manga, “Boku wa Mari no Naka” - per gli inglesi "I'm inside Mari" e per i francesi "Dans l'intimité de Marie" – invero si tratti di una decostruzione del genere body swap comedy nella quale un hikikomori come tanti altri, tale Isao Komori, durante un regolare rituale di stalking, inspiegabilmente “diventa” la bellissima e inarrivabile Mari, la classica ragazza borghese in cima alla gerarchia sociale, quella che fino ad un momento prima era la concretizzazione di tutte le sue frustrazioni: purezza, perfezione, bellezza, consenso da parte dei più. La prospettiva pertanto viene ribaltata; poco importa che sia un hikikomori che scopre, nel corpo di una presunta ragazza-angelo, quanto falsa e precostruita sia quella che credeva un'esistenza priva di problematiche; o che una ragazza-angelo, una volta tolta la maschera, si riveli affetta della stessa patologia del suo disadattato “ospite”, che forse era rimasto sempre lì, dentro di lei, senza alcun transfert, dacché il vero problema era altrove, non tanto nei singoli individui, tutti intercambiabili tra loro e affetti dalle stesse patologie a prescindere dalla barriera della corporeità, ma nella non-sostanza e nel non-senso di un modo di vivere alienante e privo di punti di riferimento stabili. 

sabato 19 dicembre 2015

Aku no Hana (manga): Recensione

Titolo Originale: Aku no Hana
Autore: Shuzo Oshimi
Tipologia: Shounen manga
Edizione Italiana: Planet Manga
Volumi: 11
 Data di uscita: 2009


E' meglio omologarsi ai modelli imposti dalla società, oppure assumersi l'onere di pecora nera, andando contro tutto e tutti, alla ricerca del mondo dall'altra parte, ovvero di una dimensione in cui è possibile essere sé stessi senza alcun compromesso?
“Aku no Hana” si approccia a tale interrogativo molte volte, imbastendo una poetica dell'adolescenza e del suo superamento carica di frustrazioni represse, rabbia giovanile, tormento esistenziale che sfocia in ludibria e violenza.

«Dedico questo manga a tutti i ragazzi e a tutte le ragazze che stanno subendo ora la pubertà e le sue torture, e a tutti coloro che ne sono stati vittime in passato.» [Shuzo Oshimi]

Combattuto tra due compagne di classe della sua stessa età, Takao Kasuga, un ragazzo introverso con una passione - apparente, in quanto soltanto superficiale e indotta più che altro dalla sua necessità di sentirsi diverso dagli altri - per la poesia di Baudelaire, si ritrova ad indossare i panni del pervertito, dello squalificato, dell'escluso dalla società. L'attrazione viscerale che prova per Sawa Nakamura, vera e propria femme fatale odiata e disprezzata da tutti a causa della sua diversità, lo porterà ad interrogarsi sulla natura della sua stessa esistenza, e a iniziare un percorso di crescita alquanto doloroso, nel quale è inevitabile venir spogliati della propria maschera e delle umane convenzioni; un cammino dall'adolescenza all'adultità la cui meta dovrebbe condurre in quel mondo dall'altra parte in cui Nakamura desidera fuggire, lontana dalla società che la soffoca, costituita da quegli insetti di merda dalle belle facce pulite e tirate a lucido dietro alle quali si nascondono degli orripilanti mostri privi d'umanità. Ci si chiede pertanto chi siano i veri pervertiti: Takao, la cui sessualità repressa dalle contingenze esterne e dalla sua chiusura al mondo ha fatto sì ch'egli rubasse la tuta di Nanako, la ragazza più popolare della classe, per praticare la masturbazione? Nakamura, con il suo temperamento aggressivo e provocatore che in sostanza non è nient'altro che una reazione violenta alla pressione che esecitano su di lei la solitudine, l'incomprensione e l'emarginazione? La stessa Nanako, combattuta tra la sua apparenza di ragazza-angelo e la sua sostanza di persona debole e priva di spessore, nonché perennemente soffocata dal carisma e dalla sensualità innata di Nakamura, nel contesto del "triangolo amoroso" il cui epicentro è Takao?

sabato 14 marzo 2015

Aku no Hana - I fiori del male: Recensione

Titolo originale: Aku no Hana
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Shuzo Oshimi
Sceneggiatura: Aki Itami
Character Design: Hidekazu Shimamura
Musiche: Hideyuki Fukasawa
Studio: ZEXCS
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 2013

 
Esistono anime che hanno senso solamente in Giappone. "Aku no Hana" è uno di questi. Spesso, italiani e stranieri, quando si ritrovano di fronte a questo tipo di opere, compiono un grosso errore, e le valutano trascurando la società e il contesto che le ha prodotte. Non si può valutare "Aku no Hana" secondo gli usi e costumi della società occidentale, molto meno rigida, formale e opprimente di quella giapponese. Chi ha studiato lingua giapponese conosce benissimo i numerosissimi suffissi onorifici i quali devono essere utilizzati per rivolgersi ad una persona a seconda del grado di confidenza, dell'età, della posizione sociale e così via. Già questa peculiarità della lingua di per sé rende benissimo l'idea di quanto questa società, da molti di noi sconosciuta, sia asettica e formale, così tanto da arrivare in alcuni casi ad annichilire la personalità degli individui, la loro sessualità, il loro amor proprio. Inoltre, i giapponesi hanno una concezione del voyeurismo molto marcata e sui generis; il feticismo e l'attaccamento patologico, morboso, all'oggetto dei desideri manifestato da molte persone del sol levante deriva dall'oppressione e dalla frustrazione che genera in esse la società, con i suoi ritmi alienanti e proibitivi. Il fortunato che ha studiato giapponese, o che comunque si è informato ed ha esperienza nel settore manga/anime, è anche ben a conoscenza del fatto che il termine "otaku" inteso nel suo senso originario è ben diverso dal significato occidentale. Non si tratta di un nomignolo simpatico per identificare esclusivamente un appassionato di manga/anime; nella società giapponese, un otaku è un individuo problematico, asociale, con forti difficoltà a rapportarsi con il prossimo, ossessionato da determinati oggetti e/o prodotti del consumismo giapponese. Un otaku è un emerginato, di sovente identificato come ritardato dalle altre persone. Un otaku s'interessa morbosamente a degli oggetti, spesso anche solo per la loro forma, il loro colore, i loro meccanismi. Possono esistere anche otaku che s'interessano di libri senza comprenderne veramente il significato, solo per il gusto di averli e di sentirsi speciali rispetto agli altri, quelle persone così asettiche ed omologate da quell'impersonale ed autoreferenziale organo il quale è la società giapponese. Il marcato voyeurismo è una dimensione tipica dell'otaku, quindi non mi stupirei affatto se esso degenerasse in feticismo a causa di un disagio interiore più patologico della media.