Titolo Originale: Boku wa Mari no Naka
Autore: Shuzo Oshimi
Tipologia: Seinen manga
Edizione Italiana: non disponibile
Volumi:9
Data di uscita: 2012
Shuzo Oshimi è un poeta
della quotidianità dell'oggidì, attento scrutatore del disagio
giovanile e della vuotezza spirituale che ne è all'origine. La sua
opera è una disamina dell'adolescenza, il periodo critico della
vita, volendo anche quello più pericoloso, in cui ogni cosa è in
via di definizione e la sostanza umana di chi lo vive, mutuata
dall'infanzia, si deve scontrare col grigiore e la freddezza delle
istituzioni, con le etichette, con un contesto che tende ad omologare
ogni cosa al fine di preservare il suo – fragile - equilibrio.
Oshimi è altresì un poeta della postmodernità; i suoi personaggi
sono tanto banali quanto realistici, afflitti da un nichilismo
giovanile imperturbabile e da una crisi di ruoli/identità il cui
unico rimedio è la fuga. La fuga da sé stessi, la fuga dagli altri,
la fuga dal passato. Non stupisce pertanto che il suo nuovo manga,
“Boku wa Mari no Naka” - per gli inglesi "I'm
inside Mari" e per i francesi "Dans l'intimité de Marie"
– invero si tratti di una decostruzione del genere body
swap comedy nella quale un
hikikomori come tanti altri, tale Isao Komori, durante un regolare
rituale di stalking, inspiegabilmente “diventa” la bellissima e
inarrivabile Mari, la classica ragazza borghese in cima alla
gerarchia sociale, quella che fino ad un momento prima era la
concretizzazione di tutte le sue frustrazioni: purezza, perfezione,
bellezza, consenso da parte dei più. La prospettiva pertanto viene
ribaltata; poco importa che sia un hikikomori che scopre, nel corpo
di una presunta ragazza-angelo, quanto falsa e precostruita sia
quella che credeva un'esistenza priva di problematiche; o che una
ragazza-angelo, una volta tolta la maschera, si riveli affetta della
stessa patologia del suo disadattato “ospite”, che forse era
rimasto sempre lì, dentro di lei, senza alcun transfert, dacché il
vero problema era altrove, non tanto nei singoli individui, tutti
intercambiabili tra loro e affetti dalle stesse patologie a
prescindere dalla barriera della corporeità, ma nella non-sostanza e
nel non-senso di un modo di vivere alienante e privo di punti di
riferimento stabili.
«Giocare di nuovo ai
videogiochi.
Masturbarsi mentre si
guarda il computer.
Per cena, curry con una
cotoletta di maiale fritto presa al supermercato.
Tu non sai quanto stai
bene.
Spero che non
cambierai.» [Mari]
La
metafora dell'incomunicabilità tra persone si concretizza
immediatamente nel modo di rapportarsi dei personaggi, che paiono
tutti circondati da barriere invisibili: Mari stalkera Komori, Komori
stalkera Mari, Yori, la “pecora nera” della classe, stalkera Mari
perché per una come lei è una meta irraggiungibile, sia per via del
senso d'inadeguatezza che la società le ha somministrato mediante i
suoi dogmi, sia per il suo status sociale inferiore. Con la
“penetrazione” di Komori in Mari, questa stasi si rompe;
rinunciando involontariamente al formalismo, la nuova Mari sovverte
il precario equilibrio delle apparenze, distrugge la maschera della
sua migliore amica, rivela a Yori che non è la vera Mari ma un
perdente qualsiasi incarnatosi in lei, e pertanto la suddetta può
finalmente approcciarsi al corpo di Mari da lei amato, arrogandosi
addirittura il diritto di proteggerlo dal suo spirito, che ora
sarebbe corrotto e miserabile, e pertanto, finalmente avvicinabile.
Da qui, tra una sfuriata e l'altra, Mari/Komori e Yori non tardano ad
instaurare un legame profondo dacché, a questo punto, la
comunicazione tra loro è diventata possibile. E allora Yori si
innamora di Komori, ma Komori è in Mari, che a questo punto diventa
una presenza trascurabile, un mero guscio vuoto che si confonde tra
le individualità di altre persone che paiono fabbricate in serie.
Quando non c'è dialogo, quando ogni cosa piomba nel nulla, la forma
diventa sostanza e l'umanità si costringe all'interno di involucri
plastici che trasformano gli individui in bambole, in manichini che
non si pongono più il problema di distinguersi l'un l'altro, sebbene
un risveglio intrinseco sia possibile (l'uomo rimane pur sempre
umano, sebbene oggigiorno preferisca rinunciare alla sua umanità per
ottenere una maggior sicurezza).
«Nessuno mi sta
guardando.
Voi guardate soltanto
la mia pelle.
Loro fanno finta di
divertirsi...
Loro fanno finta di
ridere...
Loro fanno finta di
legarsi...
Loro fanno finta di
guardare...
Ma ognuno sta guardando
soltanto sé stesso.
Non è questo
l'inferno?» [Mari]
Il
travaglio esistenziale di Mari, che come Sartre vede l'inferno nelle
altre persone – e pertanto anche in sé stessa -, rimanda ai dolori
giovanili dei protagonisti di “Aku no Hana”, il capolavoro di
Shuzo Oshimi. Si potrebbe dire che “Boku wa Mari no Naka” si
spinga più avanti del suo predecessore, assumendo differenti
prospettive che trascendono il genere sessuale e l'identità
personale, rendendo la classica tematica della discomunicazione -
tipica dell'autore - ancor più soggetta a fluttuazioni confusionarie
e instabili. Lettura molto provocante, la storia di Mari tocca alcuni
tasti dolenti della morbosità otaku (nella ventesima pagina del
terzo volume del manga è addirittura presente una provocazione
diretta di Oshimi nei confronti del fenomeno, nella quale Yori
rimprovera duramente una Mari/Komori intenta a giocare ai
videogiochi, facendole presente che il manga di cui è il/la
protagonista non è una superficiale commedia otaku basata sullo
scambio del corpo, ma una roba seria, oscura, piena di dolore).
L'autore di “Aku no Hana” con il suo nuovo controverso manga
asserisce esplicitamente che anche le ragazze-angelo che paiono
essere completamente “normali” e non otaku, in fondo, nel momento
in cui sedimentano in una società divenuta otaku nella sua
interezza, finiscono per risultare sostanzialmente indistinguibili da
hikikomori, Akiba-kei, chuunibyou
et similia.
Proprio
come i bambini, in “Boku wa Mari no Naka” i personaggi non sono
in grado di avere un rapporto sessuale. Masturbandosi, Mari è
soddisfatta, proprio come lo è Komori davanti al suo computer.
Metaforicamente e paradossalmente, mediante la masturbazione, i due
fanno l'amore tra loro senza rinunciare a quella porzione di egotismo
che nell'amore reale andrebbe messa da parte per il bene del partner.
Non potrebbero perdersi l'uno nell'altro, come è prerogativa
dell'amore sano. Non ne sarebbero in grado. Si perdono in loro
stessi, non trovano nulla e pertanto affondano nell'oblio, traendo
godimento soltanto dal corpo, che tuttavia è diventato un'entità a
sé stante in perenne fluttuazione.
La
decostruzione di un determinato genere narrativo di fatto consiste
nella frammentazione di cliché consolidati a favore di contenuti
altri rispetto agli
standard prestabiliti, con incursioni nel realismo più spinto che
stridono con l'irrealtà tipica dei luoghi comuni a cui il fruitore
di una precisa tipologia di narrazione è abituato. Alla luce di ciò,
“Boku wa Mari no Naka” è psicologicamente realistico, e una
situazione apparentemente assurda – che verrà “normalizzata”
col proseguire delle vicende dei personaggi, senza diventare
metanarrazione – diventa un pretesto per analizzare i personaggi,
tutte persone “reali”, ovvero figlie di un preciso contesto
realmente esistente – il Giappone attuale. L'inettitudine e il
narcisismo di ognuno di loro, vincenti e perdenti che si scambiano i
ruoli a loro insaputa, annegando in un mare di nonsenso, risultando
talvolta odiosi, patetici o deboli, sono comprensibili e coerenti nel
loro agire, e offrono spunti d'identificazione per i giovani con le
loro stesse problematiche. Yori, ad esempio, per quanto sia banale
come personaggio, possiede tutta una serie di complessi psicologici
ben mercati, e reagisce alle circostanze esterne in pieno accordo con
essi, risultando quasi “viva”, tangibile. Il meraviglioso ed
elegante tratto di Oshimi inoltre contribuisce a donare una marcata
espressività ai volti degli attori della qui presente “commedia
dell'assurdo”, attori che si struggono nella loro inettitudine
sfogando istinti, rabbia repressa, frustrazioni e riflessioni come se
piovesse, sino a giungere – nel caso di Mari e “ospite” – ad
un'incursione nel passato e al solito trauma infantile da manuale.
Il
manga presenta molte più trovate surrealistiche del suo precedessore
– in fondo, Oshimi è un estimatore di Paul Delvaux, Max Ernst e
Francisco Goya -, facendosi altresì carico di una maggior dose di
oscenità ed erotismo, elementi la cui crudezza e schiettezza
stridono con la dolcezza e la bellezza dei molteplici ritratti di
Mari di cui l'opera è infarcita, quasi come se l'autore volesse
renderla un archetipo totalizzante del disagio che intende
trasmettere al lettore, un'eroina esistenzialista che è sia uomo che
donna che bambina che un'ombra molesta che tutto tira dentro di sé,
come il maelstrom.
La
sceneggiatura prosegue di capitolo in capitolo fluida e incalzante,
sebbene a tratti – forse volutamente – si dimostri quantomeno
farraginosa, per poi sfociare in un finale che, personalmente, mi è
parso eccessivamente banale e tirato per i capelli, sebbene il
messaggio che ne traspare sia molto preciso e costruttivo, per certi
versi identico a quel bellissimo monito spirituale lasciato dal ben
più meritevole “Aku no Hana”: sii te stesso nonostante tutto;
puoi ancora costruirti sebbene tutto ciò che sta intorno a te tenda
a distruggerti; persone come te che ti amano per quello che sei ne
troverai sempre, basta imparare a comunicare con loro, abbattendo le
barriere dell'animo e i formalismi sociali.
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