giovedì 23 dicembre 2021

Evangelion 0.X • You Can (Not) Review [ insights by Gualtiero "Shito" Cannarsi ]

In questa tiepida notte dell'antivigilia natalizia, in commemorazione dell'uscita del BD-BOX italiano del "vero" Neon Genesis Evangelion (serie animata + film animati conclusivi di quella), che riproponendo il doppiaggio italiano che realizzai negli anni 1997-2001 va a rivivificare un lavoro della mia giovinezza a cui sono molto affezionato, per restare sempre in controtendenza ho deciso di pubblicare un articolo dedicato ai "nuovi" film dello stesso franchise (che parola orribile), ovvero alla successiva "reincarnazione cinematografica" di Evangelion, Tuttavia, volendo parlare strettamente di quest'ultima, allora questo sarà per voi lo scritto di una persona che non ha effettivamente visto nessuno dei tre-più-uno film del ciclo Rebuild. Non per specifica avversione quanto per mera assenza di interesse. Com'è possibile, se non li ho visti? Oh sparuti e impavidi lettori, per scoprirlo seguitate a nella lettura, prendendo il testo che segue per quel che è, ma... provate ad arrivare fino in fondo, per poi tornare qui in cima a ripensarci: it's a loop paradox

In compenso, tanto per liberarci da una delle psicosi collettive assai in voga in quest'epoca che sembra vivere di feticci narrativi, beh, se i film non li ho davvero visti quello che segue sarà un articolo perfettamente no-spoiler, no? Per forza, no? Oppure invece no? A chi leggerà l'angusta sorpresa, e la futile sentenza. :-)

True blast from the past!

martedì 21 dicembre 2021

Perché il sesso è così importante nella nostra società?

 

E' davvero difficile ai giorni nostri non essere bombardati dalla sessualizzazione continua di qualsiasi cosa riguardi la nostra quotidianità. Mi ricordo che avevo smesso di guardare la televisione proprio perché stufo di pubblicità in cui le automobili venivano sessualizzate e così via (per non parlare poi di quelle odiose della Benetton, l'apice del kitsch consumistico di massa). D'altro canto, per la strada abbiamo ragazzine in abiti succinti e truccate che si credono grandi, un boom della prostituzione anche in tempi di pandemia, gente che impazzisce perché non riesce a fare sesso e magari ammazza qualcuno (questa cosa a quanto pare pare è molto frequente in america), hikikomori e masturbatori seriali (quelli che che su 4chan vengono definiti coomer). La discoteca, Instagram e Tinder sono i luoghi didascalici in cui si stabilisce chi tra il bestiame consumistico "fluido" - volendo utilizzare un aggettivo caro a Zigmunt Bauman - potrà beneficiare del sesso, e funzionano sull'apparenza, sulla mera immagine. In questi non-luoghi, sopratutto quelli telematici, le persone sono come prodotti di consumo sugli scaffali dei supermercati, da scegliere o buttare via in base al sex appeal, e il discorso vale per ambo i generi: nel consumismo contemporaneo, il maschio (quello ovviamente giovane e bello) a parer mio è sessualizzato e simulacrizzato quasi quanto la donna. La pornografia è la cosa più consumata in assoluto: molte femmine sembra siano obbligate ad omolagarsi ad essa (mi viene in mente la crescita vertigionosa del porno-cosplay negli ultimi anni) e molti maschi sembra che a furia di consumarla si siano castrati, rischiando perennemente di cadere nel baratro coomer (che poi alla fin fine è una forma di OCD, il disturbo ossessivo-compulsivo, cosa a parer mio più affine al sesso maschile, mentre le femmine d'altro canto dimostreranno più propensione al solipsismo, e pertanto al disturbo borderline). Inutile poi accennare altresì alle conseguenze della pornografia sui bambini, che ovviamente ne possono usufruire indisturbati e in modo illimitato dai loro cellulari (il che è molto diverso dalla campatina con la rivista porno rubacchiata in edicola come nel pre-internet, qui nel presente stiamo parlando di un flusso continuo di immagini che crea dipendenza). 

mercoledì 15 dicembre 2021

Touch: la poetica della (sana) giovinezza

Touch di Adachi Misturu è uno degli evergreen del fumetto giapponese: recensirlo, valutarlo, lodarlo, parlarne male per fare tendenza, ecc. sono semplici inezie. Pertanto la cosa che mi preme analizzare con questo scritto è ciò che l'opera rappresenta dal punto di vista oggettivo, dato che come per ogni totem adolescenziale e generazionale, ognuno ci vede un po' se stesso e quindi è difficile avere una comprensione lucida di ciò di cui si sta parlando. Neanche per Shimamoto Kazuhiko (pseudonimo di un mangaka compagno di banco all'università dei membri fondatori della GAiNAX, che poi diventerà noto agli otaku in quanto character designer originale di G Gundam) lo era: chi ha visto il bellissimo telefilm Aoi Honoo sa che egli ne era affascinato, ma rimproverava ad Adachi di non aver inserito alcuna epica né drama nella sua storia (curioso poi che Adachi a sua volta omaggerà Shimamoto in una scena di Touch ). Dico questo perché gli otaku dell'epoca (che si nutrivano di pseudonarrazioni epiche quali Uchuu Senkan Yamato ), nonostante Touch fosse un fumetto per "tutti", erano ossessionati dalle vicende di Kazuya e Tacchan, il primo fratello lodevole e asso indiscusso del baseball scolastico, ma dal destino crudele, e il secondo fratello pigro e superficiale, che in seguito alla tragedia sceglieva di migliorare umanamente portandosi dietro la pesante eredità spirituale del gemello. E poi c'era Minami, la ragazza (ovviamente) più bella della scuola che era contesa tra i due, fatto che dava origine al più classico dei triangoli amorosi, anche se macchiato dallo spettro della morte. Morte che veniva affrontata senza storture né melodrammi (come rimproveravano gli otaku contemporanei a Shimamoto, che ho usato come esempio), in modo tale che le cose arrivassero a pacifica risoluzione, cosa intuibile già fin dal principio.

mercoledì 8 dicembre 2021

Anna dai Capelli Rossi: Recensione 2.0

 Titolo originale: Akage no Anne
Regia: Takahata Isao
Soggetto: basato sull'omonimo romanzo di Lucy Maud Montgomery
Sceneggiatura: Takahata Isao
Character Design: Kondou Yoshifumi
Musiche: Miyoshi Akira, Kurodo Mouri
Studio: Nippon Animation
Formato: serie televisiva di 50 episodi
Anno di trasmissione: 1979
 

Se fosse ancora vivo, visionando Akage no Anne, e tenendo presente la fedeltà maniacale al romanzo originale della Montgomery che caratterizza la serie, verrebbe senz'altro da chiederglielo, dico a Takahata Isao - che all'epoca stava diventando un giovane padre -, se nella sua poetica e intellettualità sia stato influenzato da quel tipo di letteratura, o se l'abbia semplicemente utilizzata, facendola sua, per veicolare un messaggio vitalistico di grande impatto. A mio parere, in medio stat virtus, e l'opera in questione rimane forse la migliore storia di tensione e risoluzione mai vista in animazione. La "tensione" è ciò che deriva dall'animo ferito di Anne, orfana di entrambi i genitori e dal passato doloroso, che ritrova nella casa dai "Green Gables" (i timpani verdi) una nuova famiglia, formata dai fratelli Matthew e Marilla Cuthbert. A partire da questo evento vi sarà poi il suo percorso di crescita personale, narrato con la massima cura e delicatezza possibile, senza mai scadere nel melò. Il punto più tortuoso di tale cammino la spingerà poi a ricalibrare il tutto, compresa se stessa, per poi pacificarsi: God is in his Heaven, all right with the World. Questa citazione finale al Pippa Passes di Browning, nonostante il poeta fosse un del tutto sarcastico nel suo descrivere il pensiero di una giovane ragazza innocente transitata nei peggiori quartieri di Asolo (la solita critica al "migliore dei mondi possibili" di Leibniz a parer mio), per la Montgomery, così come per Takahata, ha invece valenza assoluta e simbolica: il mondo, e quindi la vita, vanno accettati per quello che realmente sono, con tutte le loro storture e durezze - "non devi fuggire!".

venerdì 3 dicembre 2021

Nasce la rubrica " Ma chi cazz' m' 'o fa fa' "

Dopo una timida live iniziale di prova (che ho rimosso perché non mi piace: il suo contenuto comunque andrà a finire in maniera più sistematica una futura recensione scritta di Akage no Anne ), ascoltando per caso una canzone proposta dai famosi suggerimenti random di Youtube, mi è venuto in mente di creare una rubrica streaming ben definita (Bokura no Kakumei Streaming Lab francamente non mi piace). Dato che non sento il mezzo video mio, e che a "convicermi" è stato il prima lettore, poi "collaboratore", Dario Boemio (il quale, da buon napoletano, parla tanto e quindi è perfetto per le live), ho deciso di chiamarla Ma chi cazz' m' 'o fa fa', come l'omonima canzone degli Squallor che mi era capitata tra le mani (che feels mediterranei!). Questa canzone tuttavia non parla di un tizio che dice "ma chi me lo fa fare" in generale - un po' come me -, ma di un problema di cuore (solite cose di corna e amori non corrisposti). Pertanto, complici anche i problemi di copyright a cui sarei andato incontro usandola, ho creato un collage video goliardico, amatoriale - e brutale - utilizzando invece un'altra musichetta di sottofondo, questa volta open source. Proprio come la sua intro infatti, la rubrica vuole essere un punto di ritrovo sì serioso, ma allo stesso tempo goliardiaco e "freeform" in cui approfondire determinati argomenti e/o opere tenendo compagnia sia a noi stessi che ai famosi quattro gatti che ci seguono, e che ringraziamo. Era già comunque una mia idea quella di sdoganare il mood di una chat Telegram che ormai seguo da circa un anno, sfruttando anche la sensibilità e le conoscenze in animazione di uno dei suoi membri, il timido Angelo "Seele94" Dragone, che anche lui partecipa alle live (almeno fino a quando se la sentirà). 

sabato 27 novembre 2021

Nascono le live del Bokura no Kakumei


Dopo molte pressioni, ho infine ceduto, e creato un canale Twitch che porta il mio nickname. Lo scopo della cosa, per quanto io non sia un amante del mezzo "video" - sono venuto su nell'era dei blog e dei forum -, è quello di creare (si spera) spunti di riflessione per la scrittura di nuovi articoli o dossier, interagendo sia con i miei amici che con la chat. 

martedì 23 novembre 2021

Strappare lungo i bordi: Il prezzo della moratoria


Si sta dicendo molto sulla serie animata di Zerocalcare: "le solite tematiche del fumettista", "sembra un po' La profezia dell'armadillo", "è una fucilata", "c'è il treno, quindi la tematica del viaggio", ecc. In pratica, la fiera delle banalità. D'altro canto, quando Michele Rech viene intervistato, di solito l'intervistatore gli propone domande davvero banali, avendo una conoscenza dell'autore – e soprattutto del suo contesto sociologico – soltanto superficiale, quando non del tutto assente. Non me la sento neanche di "recensire" quest'opera, per quanto le mie recensioni siano molto particolari: il cartone animato in questione è molto simile, come impostazione scenografica e registica, a un fumetto dell'autore; la differenza principale sta, come dice anche lui stesso, nel fatto che lo spettatore può diventare partecipe delle musiche ch'egli ascolta durante la stesura, e cioè la creazione, il pensiero, delle sue tavole. Dal punto di vista tecnico-graficoe animazioni fanno il loro dovere e le colorazioni non stonano mai: nulla da lamentare pertanto. Lascio quindi una piccola considerazione personale, come sempre per chi ha già visto la serie e vorrebbe su di essa un'opinione più "cosciente" del solito. 

sabato 13 novembre 2021

La nostalgia del futuro: Vaporwave e City Pop

"Tutti quei colori caldi, estivi, come quelli di Kimagure Orange Road e Sailor Moon, sono parte di me" - MikiMoz

 

Penso che la nostalgia sia una cosa tutta umana: si vive quasi sempre nella mancanza di qualcosa, perché si nasce come piccoli animali incompleti in perenne conflitto con lo scorrere del tempo. Questo, dopotutto, è uno dei principali crucci dell'umanità sin da quando si disegnavano idoli nelle caverne, o ci si inchinava con una falce in mano a mietere il raccolto seguendo le fasi lunari. Il presente è lì: è ciò che stiamo vivendo, ma immediatamente è già diventato passato. Della sua importanza, uno se ne accorge soltanto a posteriori, perché sul momento, nell'attimo fuggente, lo si dà per scontato. Il futuro invece, la cosa più vicina al presente, era tutto da scoprire, e se faceva paura, c'erano delle soluzioni per credere nella sua buona riuscita (mi vengono in mente i rituali propiziatori, certi aspetti delle religioni, l'astrologia e quant'altro).  Quando vidi per la prima volta il Ghost in the Shell di Oshii Mamoru, rimasi impressionato da una scena in particolare: una persona aveva dei ricordi che non le appartenevano. Passando poi a UruseiYatsura, che visionai successivamente, il protagonista era bloccato in un'eterna estate: l'estate della sua giovinezza, un'estate dai colori accesi: ma questa volta il futuro non esisteva proprio. La poetica del regista, così come quella di altre numerose opere simili alle sue, sia cinematografiche che letterarie, sono fotografie della fenomenologia di un'epoca, del nostro (eterno) presente. Qualcuno parlava di "Fine della Storia", qualcun altro di "fine delle grandi narrazioni", qualcun altro ancora di "morte di Dio". Ma questa volta non voglio dilungarmi in tecnicismi sociologici, ma fornire degli spunti di riflessione molto personali. 

venerdì 12 novembre 2021

La Forma della Voce (A Silent Voice): Recensione

Titolo Originale: Koe no Katachi
Autore: Ooima Yoshitoki
Tipologia: Shounen manga
Edizione Italiana: Star Comics
Volumi: 7
  Anni di uscita: 2013-2014

 
Shouko è una gentilissima ragazza sorda e ferita nell'animo, che una volta giunta nella nuova scuola, viene bullizzata da Shouya, un ragazzetto maleducato e inconsapevole che, preso dalla noia, si diletta a rendere la vita della poverina un inferno, muovendosi agilmente in un ambiente scolastico pregno di omertà e privo di autorità. Strappare l'apparecchio acustico di Shouko e romperlo in mille pezzi è lo sport preferito del ragazzo, che nonostante tutto rimane sorpreso dal fatto che lei, la vittima, non ce l'abbia mai veramente con lui. Una volta che la madre di Shouko, presa dalla disperazione, fa cambiare scuola alla figlia, i compagni prima omertosi si rivoltano contro il bullo bullizzandolo a sua volta: l'adolescenza di Shouya pertanto diventerà molto solitaria e sofferta. Al liceo, egli rincontrerà quella bambolina rotta che è Shouko, e cercherà in tutti i modi di farsi perdonare da lei imparando l'alfabeto muto, andando a lavorare per ripagarle gli apparecchi acustici eccetera. Shouko dal canto suo non è arrabbiata con Shouya, nonostante egli, da ragazzino, le abbia procurato ulteriori (e immeritate) ferite. Da qui in poi si sviluppa uno dei migliori manga degli ultimi tempi, Koe no Katachi, dal quale è stato tratto altresì un "popolare" film animato. 

lunedì 1 novembre 2021

La parabola dell'animefan italiano

 

Grazie a Shito, che ormai è coautore di questo blog da un po' di tempo, ho avuto modo di conoscere i video di Dario Moccia, dato che quest'ultimo e il mio "collaboratore" avevano fatto una live insieme. Per Moccia, parlare di anime è una cosa da fighi, così come per altri influencer molto mainstream: me ne viene in mente in particolare uno della Milano pacchiana (non faccio il nome perché non voglio fargli pubblicità), che ho avuto modo di incrociare in un locale a mio parere da "poser/fake dell'arte" et similia. In un suo video, addirittura, una specie di modella che ai tempi del liceo mi avrebbe deriso per il mio essere ancora lì a giocare con jrpg e affini, tutto rintanato con la mia cerchia di amici "sociopatici e nerd", parlava degli anime come se fossero roba "socialmente seria", tipo una borsa di Gucci, un viaggio nonsodove sul barcone o un chewing-gum masticato dalla Ferragni. Il discorso sul fatto che, come cantava Piero Pelù, grazie ai social siano ormai "tutti fenomeni", ossia tutti cantanti, poeti e pittori e opinionisti non è un argomento che intendo al momento affrontare (posso soltanto ricordare ciò che diceva Pasolini sulla televisione, ossia che forniva autorevolezza a chiunque vi appariva: lo stesso discorso vale per i social, Youtube et similia). La cosa che invece mi ha veramente colpito è il mio senso di estraneazione rispetto ad una cultura "otaku" ormai diventata mainstream. Mi è capitato anche di scambiare quattro chiacchiere con due ragazze vestite praticamente come scolarette di anime giapponesi, con tanto di capelli tinti; ma non ad una fiera: in Farmacia, ossia un luogo come tanti altri. Al supermercato una volta ho visto una con i capelli alla Sailor Moon e la maglietta rosa; vedere ragazze in minigonna, calze e capelli verdi o blu non è più tanto raro. Sempre ai famosi tempi del mio essere "otaku" (in declinazione piemontese/italiana si intende), le ragazze "normali" avrebbero senz'altro bullizzato eventuali cosplayer o fujoshi (è una mia idea che il bullismo di oggi colpisca tutti indistintamente, e non più soltanto particolari nicchie di disagiati).

sabato 9 ottobre 2021

Lupin III · Il castello di Cagliostro: Recensione & Rifessioni (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: Lupin Sansei · Cagliostro no Shiro
Regia: Miyazaki Hayao
Soggetto originale: Monkey Punch (personaggi), Maurice Leblanc
Sceneggiatura: Miyazaki Hayao, Yamazaki Haruya
Musiche: Oono Yuuji
Produzione: Tokyo Movie Shinsha
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1979
 
 
L'esordio alla regia cinematografica di Miyazaki Hayao, precedentemente impegnato a dirigere la serie televisiva Lupin Sansei del '71 con i colleghi Oosumi Masaaki e Takahata Isao, non poteva che avvenire in un clima di pieno fermento per l'animazione giapponese. Si era infatti in pieno anime boom, e dopo la proiezione del film riassuntivo di Uchuu Senkan Yamato, avvenuta due anni prima, gli otaku si aspettavano opere animate in grado di venire incontro alle loro ormai riconosciute e marcate esigenze esistenzialistiche (o escapististiche che dir si voglia). A spadroneggiare nel neonato mercato "anime" (prima si sarebbe parlato solo di "terebi-manga" e "manga-eiga", ovvero "cartoni in tivvù" e "film a cartoni") c'erano da un lato la sete di SF roman, dall'altro la fame per il nascente genere lolicon, entrambe forme riparative di stasi sublime nella propria adolescenza e dei suoi dolci ideali. Proprio di questo parleranno già pochi anni dopo dei giovani autori intellettuali quali Kawamori Shouji e Mikimoto Haruiko in ChoujikuuYosai Macross, quindi Yamaga Hiroyuki e la futura GAiNAX col DAICON-IV Opening Anime, e quindi ancor più schiettamente Oshii Mamoru nel suo Uruseiyatsura2 · Beautiful Dreamer. La destrutturazione interna dell'otakuzoku e delle sue nevrosi si era già innescata, la lucidità dei suoi più brillanti esponenti era spiccata. In particolare, l'allora dilagante fenomeno dell'idolatria lolicon, pur serpeggiando in mille modi nella società giapponese (post)moderna si era manifestato dichiaratamente in primis con i manga di Azuma Hideo (premio Seuin nel 1979), tuttavia fu pressoché canonizzato proprio con il qui presente Lupin miyazakiano, ovvero con la sua adorabile eroina Clarisse, che divenne una sorta di reginetta del lolicon ambita e adorata da una sconfinata pletora di otaku in visibilio.

mercoledì 6 ottobre 2021

L'orologio di S.

 

Di rencente mi è capitato di reincontrare S., l'amico d'infanzia di cui avevo parlato in questo post. L'ho incontrato a Torino, dopo circa un anno che chattavamo in merito ad un suo orologio, un Universal Geneve automatico che alla fine mi ha svenduto a buon prezzo nonostante il suo elevato valore. A S. non penso interessassero neanche i soldi per quell'orologio di lusso, dato che avendo ereditato, aveva un Omega Speedmaster al polso e un Rolex in banca (mio padre era un grande appassionato di orologi, pertanto, di riflesso, me ne intendo molto). Questo mio conoscente di lunga data era ancora a dare gli esami universitari a trent'anni, uno dei tanti eterni adolescenti bloccati nella moratoria universitaria, che alla fin fine è un prolungamento indebito di una giovinezza che ormai non è più tale. Tutto ciò è normale nella nostra società, che essendo ormai re- infantilizzata, come narrava con grande lucidità il film di Shin Chan intitolato Il Contrattacco dell'Impero degli Adulti (non vogliamo scomodare Kojève dato che siamo in un blog di cartoni animati), fa molta fatica a produrre persone in grado di affrontare lo scorrere del tempo (si pensi all'abuso di photoshop e alla chirurgia plastica, per rimanere vaghi con gli esempi). Il povero S. è rimasto comunque bloccato per qualche anno a causa di un grave problema di salute: il suo pertanto non è un caso di fancazzismo, ma di moratoria obbligata (non aveva senso per lui lasciare l'università, dato che non aveva una compagna con la serietà necessaria per stargli vicino nel periodo post-operatorio e costruire con lui una famiglia). 

mercoledì 29 settembre 2021

serial experiments lain: Recensione 2.0

 Titolo originale: serial experiments lain
Regia: Nakamura Ryutaro
Soggetto: Production 2nd (ABe Yoshitoshi, Ueda Yasuyuki)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: ABe Yoshitoshi (originale),  Kishida Takahiro
Musiche: Nakaido Reiichi
Studio: Triangle Staff
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 1998
 


Siamo negli anni novanta. Internet era agli albori e ShinSeiki Evangelion era diventato in breve tempo un fenomeno di massa. Da lì in poi ebbe inizio la NAS, la "nuova animazione seriale" da fascia notturna, un trend di anime cupi e maturi che si esaurì dopo qualche anno in preda al suo stesso manierismo. Dato che l'opera di Anno era stata a suo modo sperimentale, TV Tokyo, la piccola emittente televisiva che la mandò in onda, era aperta a trasmettere anche serie televisive tra le più allucinate. Forte di tutto questo contesto, il produttore Ueda Yasuyuki aveva in mente di fare un mediamix (videogioco, anime e cd) con tutte le cose che gli piacevano: una ragazzina misteriosa talmente carina/moeru che lo spettatore si sarebbe dovuto innamorare; un attacco al sistema consumistico americano (asserzione che fa un po' ridere dato che la sigla dell'anime è in inglese e l'opera essa stessa è un prodotto di consumo); del cyberpunk marcio à la William Gibson con tanto di suggestioni musicali new wave. Con le idee ben chiare in testa, Ueda conobbe in una chat su internet ABe Yoshitoshi, che gli disegnò la ragazzina dei suoi sogni incontrando immediatamente il suo apprezzamento (la fissazione di Ueda con Lain puzza molto di lolicon). I due battezzarono il proprio sodalizio in Production 2nd e andarono quindi a caccia di uno sceneggiatore e di un regista, forti dello spazio concesso da TV Tokyo e dai finanziamenti della Pioneer. Ueda era (ed è ancora credo) un punk mezzo otaku, ABe un ragazzo introverso e intellettuale, che in futuro creerà in autonomia capolavori esistenzialistici come Haibane Renmei. Per i due non fu difficile tirare dentro Chiaki J. Konaka, uno sceneggiatore Horror/Sci-Fi reduce di qualche OVA anni ottanta (tipo Bubblegum Crisis 2040 ). Egli infatti era un otaku della stessa generazione di Anno, completamente assorbito dalle sue conoscenze esoteriche, psicologiche, dalle sue bambole artigianali (un altro lolicon), da Lovercraft e dai Tokusatsu come Ultraman (dopo serial experiments lain, che si scrive tutto minuscolo, non a caso Konaka diventerà lo sceneggiatore di punta della NAS). Dopodiché, quando Ueda andò al Triangle Staff per stabilire chi avrebbe dovuto gestire regia e animazioni, incontrò il veterano Nakamura Ryutaro, che aveva lavorato per tre anni come key animator alle dipendenze del leggendario Dezaki Osamu (in particolare in Takarajima, Ashita no Joe 2 e Cobra ). Nakamura, che purtroppo ora è passato a miglior vita, era il più anziano del gruppo ed era già sposato con due figli, mentre gli altri tre erano single. Inquadrate pertanto le personalità dei quattro creatori, una volta formato questo dream team che l'animazione di oggi si sognerebbe, nacque appunto serial experiments lain, uno dei capisaldi del cyberpunk animato giapponese. Già il titolo è tutto un programma: l'opera è strettamente di nicchia, sperimentale, cupa, intrisa di tutto il disagio del suo tempo. Quel "PRESENT DAY, PRESENT TIME!" scandito da una voce psicopatica che ride da sola, parla per un Giappone in piena crisi d'identità e succube  di una nuova forma di occidentalizzazione forzata: quella legata al nascente dominio tecno-informatico sulla vita umana e le relazioni sociali, una delle tante cose che anche noi abbiamo importato dagli USA.  

domenica 12 settembre 2021

Ci capiterà qualcuno per sbaglio qui sopra?


Una delle osservazioni, che ovviamente rientrano tra quelle fatte con malizia, che mi vengono talvolta rivolte, è che sostanzialmente questo blog non è seguito da nessuno, quasi come se ciò fosse un difetto. Ora, dopo tot anni di esistenza di questo strano "Bokura no Kakumei", vorrei un attimo riflettere su questa mentalità  (che a parer mio è tipica di una società della frustrazione di massa) del dover a tutti i costi "sfondare", avere n-mila follower e il consenso più pacca sulla spalla dell'universo tutto (la famosa pseudonarrazione del successo, no?). Ma ripercorriamo in primis la storia del blog, anche a beneficio dei due/tre (se tutto va bene!) nuovi lettori che (ci) seguono. Perché sì, ormai questo spazio ha un bel po' anni. Come passa il tempo!

martedì 7 settembre 2021

Love & Pop: Recensione

Titolo originale: ラブ&ポップ
Regia: Anno Hideaki
 Soggetto:  Basato sul romanzo Topaz II di Murakami Ryuu
Sceneggiatura: Sutsukawa Akio
Musiche: Mitsumune Shikichi
Anno di uscita: 1998


Ci sono due scrittori di cognome Murakami: quello privo di spessore e manieristico che più o meno tutti conoscono qui in occidente, Murakami Haruki, che scrive di aria fritta, e quello davvero intellettuale e profondo, Murakami Ryuu, il racconta(non)storie di una Tokyo malata di consumismo e lusso sfrenati (la bolla economica degli anni ottanta, baburu ).  Dettaglio non trascurabile per chi un minimo conosce l'animazione giapponese, il secondo è lo scrittore preferito di Anno Hideaki. E infatti, in Love&Pop, che è l'adattamento cinematografico (d'autore) del romanzo Topaz II, abbiamo un omaggio non trascurabile al vero Murakami. Se in Tokyo Decadence, nel quale lo scrittore girava il suo Topaz (al quale Topaz II fa da sequel concettuale) l'anello di topazio era un appiglio della prostituta Ai per cercare di trovare l'amore in un mondo che ne è privo  (una veggente le aveva detto che tramite di esso avrebbe avuto l'uomo di cui era innamorata, che l'avrebbe tirata fuori dalla wasteland della sua stessa esistenza), in Love&Pop l'anello è svuotato di ogni forma di appiglio pseudonarrativo: esso è semplicemente l'oggetto cui l'accompagnatrice minorenne Yoshii Hiromi ambisce per colmare il proprio vuoto interiore. Ai infatti è più vecchia di Hiromi, e si nutre ancora di qualche forma di illusione; l'adolescente invece dà già per scontato il vuoto materialista in cui vive, e sa perfettamente ciò che sta facendo senza aspettarsi alcunché, a parte ovviamente il possesso di oggetti materiali. 

mercoledì 1 settembre 2021

Tokyo Monogatari: Recensione

Titolo originale: 東京物語
Regia: Ozu Yasujirō
 Soggetto:  Noda Kōgo,  Ozu Yasujirō
Musiche: Saitō Kōjun
Anno di uscita: 1953
 

"Tokyo Story è stato girato da un regista che ha veramente capito cosa è la vita." [Lindsay Anderson]

 

Il capolavoro di Ozu, opera universale nonostante appartenga ad un determinato periodo storico del dopoguerra giapponese,  è una monumentale riflessione sulla condizione umana del tutto refrattaria a narrazioni superflue, simulacri, filosofie, spettacolarità. In Tokyo Monogatari vi sono soltanto i fatti, e la rassegnazione ad essi (cosa tipica della poetica di un'altro grande regista giappoense, Takahata Isao). La storia narra del viaggio dei vecchi coniugi  Shuukichi  e Tomi, che vivono a Onomichi, prefettura di Hiroshima - città di campagna idilliaca scampata ai bombardamenti -, i quali si recano a Tokyo a trovare i figli. Nella città, che sta attraversando una fase di modernizzazione frenetica, trovano Kouchi, che è diventato un medico di quartiere (e pertanto un fallito) e Shige, che fa la parrucchiera. Noriko, moglie del figlio morto in guerra, è da otto anni che vive da sola, e non vuole rifarsi una vita. Lei, che meglio di tutti ha capito la sofferenza, sarà la persona più gentile e vicina ai due anziani, che verranno tuttavia trattati come un peso dai figli (a parte la più piccola, Kyouko, che vive con loro a Onomichi). Resta poi Keizou, che abita ad Osaka, che si disinteressa completamente della sua famiglia. 

lunedì 23 agosto 2021

La maledizione del pornobebè: Evangelion 3.0+1.0 ~ recen-sezione

 Titolo originale: シン・エヴァンゲリオン劇場版:||
Regia: Anno Hideaki
Progetto & Soggetto: Khara
Character Design: Anno Moyoco, Iseki Shuuichi, Koyama Shigeto, Matsubara Hidenori, Nishigori Atsushi
Musiche: Sagisu Shiro
Anno di trasmissione: 2021
Disponibilità: Amazon Prime

 

Premetto che un pornobebè, neologismo che adoro e che ho preso in prestito da Bello FiGo, è un quattordicenne in fase orale, ossia sempre col membro in mano, come lo stesso Anno Hideaki si era definito in passato (quando però non era più, almeno anagraficamente, adolescente). Un otaku/incel che fa un film sulle liceali che fanno enjoukosai, e che si intrattiene con loro (almeno prima di trovare moglie), corrisponde perfettamente a questo appellativo. Ci si chiede infatti cosa sarebbe stato Evangelion senza Asuka e Rei, ma questo è un altro paio di maniche. Ma andiamo per step. Ah, certo, i treni. E' bello vedere dei paesaggi della Val di Susa, che ricordano vagamente Bardonecchia e Avigliana, forse anche la stazione di Ventimiglia – Anno Hideaki era andato nei luoghi della mia giovinezza a fare location hunting, non l'avrei mai detto – in una cosa che porta il nome Evangelion. Ovviamente questo capitolo conclusivo del tanto discusso Rebuild non è che il solito manierismo di Anno: nulla che aggiunga effettivamente valore all'opera del '95, al film del '97 o quant'altro; la differenza però è che il nostro grande otaku/pornobebè è ormai felicemente sposato, e per di più invecchiato. 

mercoledì 18 agosto 2021

"La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere?"

Questa domanda, divenuta una sorta di meme ante litteram usata per dileggiare il suo autore, il giornalista Gigi Marzullo, era probabilmente un quesito assai più intelligente di chi trovava divertente ripeterlo a mo' di nonsense, non avendone capito l'assai denso senso. Proviamo a riformulare, versione glossata, esplicitata, ovvero semplificata per bimbi.
"La vita umana è essa stessa tutto un insieme di sogni, oppure no, la vita è altro dai sogni ma i sogni sono necessari all'uomo per vivere?"
Mi sa che il signor Marzullo fu molto arguto, e intelligente, nel porre quella famigerata domanda. Segue un serio articolo del padrone di casa, che ci auguriamo avrà lettori meno beceri dell'allora uditorio TV del caso.
[Introduzione by Shito]

domenica 8 agosto 2021

Un breve aggiornamento terminologico


Dopo una proficua telefonata col mio amico G. Cannarsi, che in questo blog indossa le vesti dell'intellettuale (cosa che secondo me lui è in primis, ancor prima di essere il tanto discusso adattatore che tutti conosciamo), abbiamo di comune accordo deciso di sostituire il termine "metanarrazione" con "pseudonarrazione". Un dibattito sul termine corretto da utilizzare era già emerso nei commenti di qualche post precedente, e io di mio ho avuto bisogno di tempo per elaborare al meglio il tutto. Ciò detto, in sostanza, da una rilettura di Lyotard è emerso che lui utilizzava il termine "metanarrazioni" (o meta-recite, traducendo correttamente dal francese) per indicare ciò che ho trovato scritto qui:

sabato 7 agosto 2021

Perché chi guarda anime ha quasi sempre dei problemi? Risposta ad un lettore


Qualche tempo fa mi è stato chiesto in privato da un certo Manuel: "ma perché la maggiorparte della gente che guarda anime o legge manga ha dei problemi?". Dato che ora come ora faccio davvero fatica  a consumare prodotti di intrattenimento, non mi sono neanche sentito chiamare in causa. Ma sicuramente gli animefan che stanno su Twitch o nei gruppi Facebook si sarebbero molto risentiti di questa domanda, dato che ormai l'essere "nerd", in particolare divoratore/divoratrici di media giapponesi, è quasi mainstream. Questo discorso è un po' come quello dei vecchi che dicono che giocare ai videogiochi aliena dalla realtà: certo, chi ci gioca e si sente normale si potrebbe arrabbiare, ma c'è sempre un fondo di verità in tali asserzioni. 

domenica 1 agosto 2021

I miei vicini Yamada: Recensione

 Titolo originale: Hōhokekyo Tonari no Yamada-kun
Regia: Isao Takahata
Soggetto: basato sul fumetto originale di Hisaichi Ishii
Sceneggiatura: Isao Takahata
Character Design: Kenichi Konishi
Musiche: Akiko Yano
Studio: Studio Ghibli


Siamo alla fine degli anni novanta, un decennio molto buio per il Giappone: crisi economica, terremoto di Kobe, attentato dell'Aum del '95. Addirittura Miyazaki, noto per l'escapismo lolicon tipicamente otaku delle sue opere, si ritrova a dirigere un film molto "maturo" e cupo per i suoi standard: Mononoke Hime. Sono proprio i ricavi di questo film a permettere a Takahata di dirigere il qui presente Hōhokekyo tonari no Yamada-kun, opera fortemente sperimentale e anticommerciale, stilisticamente ispirata al misconosciuto Crac! di Frédéric Back (artista che ha molto influenzato Takahata, in particolare col film L'homme qui plantait des arbres, che il regista adora). Il punto chiave per comprendere un film animato basato soltanto su scene di vita quotidiana di una normalissima famiglia giapponese è senz'altro il suo contesto: secondo quanto dichiarato da Takahata Isao (vedasi docufilm allegato al BluRay), le opere fantasy come Mononoke Hime creano nei giovani eccessive aspettative nei confronti della realtà. Realtà che pertanto, data la sua durezza, potrebbe deludere e indurire chi è stato imprintato con sogni e idealismi confezionati in prodotti di intrattenimento. Questa in pratica è una critica alle pseudonarrazioni escapistiche tipiche del media anime, e un invito al suo pubblico di affrancarsi da ciò per poter vivere in modo più sano. Non stupisce quindi che in questo climax di smarrimento generale dei giapponesi, nel quale il fenomeno hikikomori stava prendendo una piega sempre più inquietante, Takahata se ne sia venuto fuori con un adattamento autoriale della striscia Tonari no Yamada-kun di Hishii Hisaichi  – accontentando tra l'altro il produttore Suzuki Toshio, che ne è un fan - la cui unica finalità è l'insegnare in primis ad accettare la vita, e in secundis a "rassegnarsi" ad essa (ossia imparare a vivere accettando la realtà e senza proiettarvi illusioni). 

lunedì 19 luglio 2021

Twilight Q Episode 2: Recensione

 Titolo originale: Twilight Q - File538, Meikyū Bukken Fairu Go San Hachi
Regia: Oshii Mamoru
Soggetto & sceneggiatura: Oshii Mamoru
Character Design: Kondo Katsuya
Musiche: Kawai Kenji
Studio: Ajia-do Animation Works
Formato: OVA (durata 29 min. circa)
Anno di uscita: 1987


Twilight Q era un progetto di OVA autoconclusivi in cui si pensava di far confluire il meglio dell'animazione giapponese dell'epoca. E' infatti il primo lavoro del gruppo HEADGEAR, formato da Oshii Mamoru, Ito Kazunori, Takada Akemi e Kawai Kenji, che qualche anno dopo daranno alla luce il capolavoro Patlabor 2: The Movie, per poi sciogliersi. 

Dopo un primo episodio di poco conto, intitolato Reflection, si ha il ben più interessante Mystery Article File 538, che è un OVA estremamente autoriale in cui Oshii fa praticamente ciò che gli pare. Il risultato è un monologo filosofico-sociologico, prevalentemente basato su fermi immagine stile Visual Novel poliziesca (andavano molto di moda in quel periodo), del tutto indigeribile e incomprensibile ai più. Vale quindi la pena, seguendo altresì le richieste di alcuni miei lettori, dedicargli una breve recensione. 

sabato 17 luglio 2021

Karekano (Le Situazioni di Lui&Lei): idealità o realtà?

Devo ammettere che per quanto sia un bellissimo manga, forse uno dei pochi shoujo veramente intelligenti e studiati a tavolino nei minimi dettagli, (ri)leggere Karekano per me è quantomeno pesante, e soprattutto poco interessante. Questa pertanto non sarà una vera e propria recensione, ma un post vagamente riflessivo. Non mi interessa decantare le doti dell'autrice, la dolcezza della storia e dei disegni, e quanto il manga sia davvero un piccolo capolavoro. Mi interessa invece tracciare una netta distinzione tra idealità e realtà in opere come queste, che nella loro potenza pseudonarrativa possono trarre in inganno lettori non ancora scafati nel vivere. Il post verrà bizzarramente diviso in due parti, una che parla del manga e una che parla della vita vera, ipotizzando come potrebbe essere Karekano ai giorni nostri. 

domenica 27 giugno 2021

La carrozza, il cocchiere e i cavalli

 

Nella mia adolescenza, fui un avido lettore di G.I. Gurdjieff. Ora che Battiato è morto, addirittura su Wikipedia leggo che il famoso "Centro di Gravità Permanente" viene associato all'insegnamento del mistico armeno, cosa che quando avevo 14 anni non era così alla portata di tutti. A giudicare da qualche intervista che ho trovato su Youtube, il cantautore aveva letto i Frammenti di un Insegnamento Sconosciuto, che era la prima parte dell'adattamento del matematico P.D. Ouspenski degli insegnamenti di Gurdjieff, dato che quest'ultimo non badava alla formalizzazione del suo esoterismo, ma parlava per metafore e tendeva e prendere in giro gli interlocutori troppo bloccati nel loro ego. Pensandoci bene, anche se Wikipedia lo trascura (non l'ho mai ritenuta una fonte d'informazioni affidabile, ma mi stupisce che parli di Battiato e G.), "La Cura" è ancora più Gurdjieffiana de il "Centro di Gravità Permanente", dato che parla di amore incondizionato (a questo ci arriveremo più avanti). Fatto salvo ciò, gli insegnamenti del mistico erano stati calibrati per il mondo post-rivoluzione industriale: la "Quarta Via", che è altresì il nome del "sequel" de i Frammenti, il libro di cui parla Battiato, è invero il nome della via spirituale che l'uomo moderno (post-moderno diremo nell'oggidì) dovrebbe intraprendere, essendo diverso dai fachiri, dagli yogi e dagli asceti del passato, che erano modelli di vie "di altri tempi". Un uomo del '900 aveva bisogno di temprare il suo spirito convivendo con i vizi e le comodità figlie dell'industrialismo. Sebbene sia stata poco conosciuta fino a dieci/quindici anni fa (ma ora vedo che l'internet è pieno di siti e associazioni a tema, sebbene siano legittimamente dubitabili), la figura del mistico/troll armeno è rimasta ben scolpita nella cultura umana: oltre al nostro amato Battiato, anche Frank Lloyd Wright, Pamela Lyndon Travers e Robert Fripp erano tutti suoi allievi, diretti o indiretti a seconda dell'età (Fripp addirittura creerà una scuola chitarristica, la guitar craft, basata sul "progetto di perfezionamento dell'uomo" elaborato da Gurdjieff, per il quale musica e danza erano fondamentali). 

mercoledì 2 giugno 2021

La mia prima volta – My lesbian experience with loneliness: Recensione

 Titolo originale: Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita
 Autore: Nagata Kabi  
Tipologia: Seinen Manga   
Edizione italiana: J-POP
Volumi: 1
Anno di (prima) pubblicazione: 2016

Quella di Nagata Kabi è una lucida auto-analisi di una persona fragile che in se stessa rivive tutti i problemi di un'intera epoca/generazione.  L'autrice inizia dal momento cruciale della sua esistenza: l'abbondono dell'università con conseguente esclusione dal mondo/società. Da lì in poi, inizia a maturare una profonda forma di depressione che la spinge a procurarsi tagli sulle braccia e a strapparsi i capelli procurandosi calvizie. La questione dell'omosessualità non viene affrontata né con toni politici né vittimistici, pur essendo il Giappone una cultura molto poco aperta in questo senso. Sabishisugite rezu fūzoku ni ikimashita (i.e. Per la troppa solitudine sono andata in un bordello lesbo ) non è neanche un manga per fujoshi o con mire fanservicistiche: a parer mio è la naturale evoluzione ai giorni nostri del lavoro di Okazaki Kyouko, che parlava dei problemi delle ragazze nella società dei consumi degli anni ottanta utilizzando un tratto molto personale e il contrasto tra bianco e rosa cipria, che la Nagata fa sapientemente suo utilizzando uno stile umoristico che racconta problemi reali in modo mai pesante o autocompiaciuto.  

lunedì 31 maggio 2021

Le pseudo narrazioni: osservazioni di un lettore

Devo ammettere che il post sulla definizione di pseudonarrazione ha generato un certo dibattito tra i lettori. In particolare un certo Seele94 penso che abbia donato al blog un commento molto onesto e lucido che riporto qui per dargli maggiore visibilità:

 

«Credo che diventare adulti senza aver avuto la possibilità di vivere una vita affettiva e sentimentale decente, comporti tutta una serie di difficoltà e di problematiche. Come si manifestano tali problematiche? Difficile dirlo, visto che ogni persona reagisce diversamente dinnanzi al medesimo dolore, alla medesima mancanza. Arrivare a 30-40 anni suonati con ancora l'idea in testa della donna angelo, della relazione adolescenziale turbolenta e coinvolgente, della coppia tanto affiatata quanto affamata di felicità, secondo me non è altro che un meccanismo inconscio atto a mettere una pezza su quella che fino a quel momento è stata una vita non vissuta, fatta di storielle sentimentali assenti o molto precarie: una non vita, fondamentalmente. La verità è che se non si ha avuto la possibilità di diventare adulti tramite un percorso funzionale, ci si arriverà in modo "sbagliato", con tutte le problematiche e i disagi che esso comporta. Giunti a 30 anni in tale modo, riuscendo a mettere pezze più o meno grandi alle proprie lacune, ci si ritrova ad avere (generalmente parlando) una posizione socio-economica consolidata, e si è finalmente appetibili dopo anni di invisibilità. Quello che, tuttavia, si può raccogliere ora è ben diverso da quello che si poteva raccogliere qualche anno prima, quando la gente si avvicinava a te mossa da un genuino interesse verso la tua persona, piuttosto che da motivazioni di tipo convenzionale. Ciò che si può raccogliere in questo tipo di scenario diventa così tanto misero, che la pseudonarrazione funge da escapismo; un modo come un altro per tirare avanti ignorando quella che è una realtà, per molti, inaccettabile o troppo dolorosa.» [Seele94] 


Dopo un po' di tempo, il lettore mi ha informato di aver scritto un articolo derivante dalle (sue) riflessioni maturate durante la lettura del mio post. Tale scritto lo potete reperire qui, sul suo blog personale, e dato che potrebbe fornire spunti di riflessione interessanti, con la sua autorizzazione lo riporto per intero a seguire.

venerdì 14 maggio 2021

L'insostenibile potenza delle "pseudonarrazioni"

Per Lyotard, nella sua concezione storiografica, la metanarrazione era una "grande narrazione" del passato, come potevano essere illuminismo e socialismo. Una volta arrivata la postmodernità, ossia l'assetto sociale contemporaneo, le metanarrazioni per come intendeva Lyotard sono state abbandonate. Nel postmodernismo infatti viene meno la pretesa propria dell'epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi, e si ha quindi la conseguente apertura verso la precarietà di ogni sensoNella nostra epoca non esistono quindi più le "grandi narrazioni" o "metanarrazioni" del passato. Esistono tuttavia delle narrazioni mutuate dai prodotti di intrattenimento, che sono l'imprinting principale a cui tutti noi consumatori siamo soggetti. Per differenziare questo tipo di narrazioni simulacro da ciò che Lyotard chiamava "piccole narrazioni", e per evitare confusione col termine storiografico di "metanarrazione", le chiamerò, come suggerito dall'amico G. Cannarsi, "pseudonarrazioni" (il prefisso "pseudo" rende l'idea di un qualcosa di fittizio).  Ciò detto, a parer mio, il termine "piccola narrazione" è impreciso. Infatti il suffisso "pseudo" mi serve per rendere l'idea di una narrazione nata puramente nella finzione, o quantomeno da una pseudo-società quasi ormai caricaturale o teatrale (nel senso di simulacro di esistenze/solitudini individuali, come intendeva Pirandello). Una "piccola narrazione", a mio modo di vedere le cose, è una "grande narrazione" in scala, come ad esempio la storia di Ashita no Joe, che è una credibile rivalsa sociale in un'epoca di malessere e povertà diffusa come il dopoguerra giapponese. Fatte tutte queste premesse, la narrazione simulacro o pseudonarrazione, molto più tiepida delle grandi ideologie del passato,  è una sorta di imprinting: ad esempio, se si passa l'adolescenza a guardare molto intensamente shoujo anime, inevitabilmente, una volta arrivato l'amore nel mondo reale, si cercherà di elaborarlo secondo la pseudonarrazione shoujo assimilata in precedenza (Shoujo Kakumei Utena, con il Principe Azzurro Dios e il suo oscuro corrispettivo Akio, tanto per dire, si prende un po' gioco di questa cosa). Parlo di imprinting perché, nella maggior parte dei casi, la pseudonarrazione appartiene alla sfera infantile, e questo è palese quando si va a considerare il fenomeno otaku (che è l'avanguardia di quanto sta succedendo oggi in occidente: la dipendenza dalla finzione è ormai mainstream). 

martedì 4 maggio 2021

Perfect Blue è terrificante • non una recensione, solo qualche nota di lettura (by Gualtiero "Shito" Cannarsi)


Dunque il film di cui qui si dice è quel grande capolavoretto intitolato Perfect Blue, di Kon Satoshi. 

Qualche anno fa, ma non saprei ricordarne né il come né il perché, incappai in interi video su YouTube che argomentavano proprio su questo stesso preciso enunciato: Perfect Blue è terrificante. Espresso in lingua inglese, però, dove terrificante era proprio "terrifying" e non l'ambivalente "terrific" (scosa significativa se si conosce la lingua inglese). Segue l'indigesto digesto di quelli, ossia: "la dualità, l'ossessione del regista col vero e col sogno, il make-believe, la finzione del sé, gli avatar, siamo circondati dai social" e blah-blah. Cose così, che erano corredate da spezzoni invero pressoché casuali di diverse cose diverse come Matrix, Blade Runner, o quant'altro. Quindi applausi, baci&abbracci, sciacquone e stop. Poi è capitato che un amico caro mi ha chiesto cosa ne pensassi, di Perfect Blue, così io ho pensato che no, invece di fare un video su YouTube avrei potuto, ovvero voluto, quindi dovuto scrivere un articoletto vecchio stile, come c'era una volta, tanto tempo fa. Poi ancora avevo pensato di non pubblicarlo affatto, perché al giorno d'oggi non si sa mai la gente cosa legge dentro parole e frasi fatte di puro pensiero, ma il padrone di casa qui mi segnala luce verde e controfirma, anzi mi incoraggia e mi sospinge e sprona (o istiga?), e allora eccoci qui. E quindi nessuna sinossi. Nessuna fiche con dati di produzione. Nessun copioso taglia-e-scolla, copia-e-incolla da una qualche fonte che tanto poi nessuno andrebbe a verificare: è il 2021 anche per voi che state leggendo, se siete interessati e non sapete di cosa si stia scrivendo, cercatelo, cercate. Oppure anche no, che tanto non fa nulla, anzi altrimenti non servirebbe a niente.

A noi, dunque. Perfect Blue è terrificante, si diceva.

lunedì 19 aprile 2021

Boogiepop Phantom: Recensione 2.0

Titolo originale: Boogiepop wa Warawanai
Regia: Watanabe Takashi
Soggetto: basato sui romanzi di Kadono Kouhei
Sceneggiatura:  Murai Sadayuki,  Minakami Seishi,  Nojiri Yasuyuki
Character Design:  Suga Shigeyuki
Musiche:  Tsuruoka Yota
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anno di trasmissione: 2000


Ogni opera è figlia del suo tempo e pertanto, oggi come oggi, preferisco recensire il primo anime ispirato ai romanzi di Kouhei Kadono, Boogiepop Phantom, dacché a parer mio è quello più significativo (anche se il recente adattamento Boogiepop wa Warawanai della Madhouse è più fedele alla trama originale, l'ho trovato un po' fuori sincrono, anche a livello di design). Personalmente parlando, devo dire che Boogiepop Phantom è molto affine allo spirito del (mio) tempo, o quantomeno della mia generazione: era uno dei miei anime preferiti e ho sempre pensato che fosse l'unico che in qualche modo si avvicinasse a serial experiments lain, che sostanzialmente era un non-anime, una non-narrazione di un'epoca cupa e alienante, opera dissonante e scricchiolante in tutto e per tutto, con tutti i suoi simbolismi e le sue iniezioni di realtà distillata. Da un lato avevo grandi narrazioni come Xenogears, che mi fornivano illusioni di grandi amori eterni che avrebbero attraversato le epoche tramite metempsicosi, dall'altro avevo cose puramente "reali" come Boogiepop Phantom e lain, che mi riportavano un po' con i piedi per terra. Dal "pieno" al "vuoto" e viceversa in pratica, un veloce altalenare molto comune nel nostro tempo. Ciò detto, sebbene Boogiepop Phantom sia un'opera a sé nei fatti, lo spirito della novel, scritta da un ex hikikomori degli anni novanta, è del tutto preservato. Essendo Kadono un escluso dalla società giapponese, poteva parlarne senza timore, tirando dentro anche temi più universali - ai quali alla fin fine ogni cosa si riconduce. L'anime diretto da Watanabe Takashi, con le sue atmosfere cupe, distorte, la perenne foschia che avvolge le ambientazioni prive di luce è infatti l'analisi di un Giappone disilluso, in piena crisi sia economica che sociale/esistenziale. Perché in fondo i romanzi di Kadono non erano altro che una riproposizione di quelli di Murakami Ryu ma con un fondotinta horror, e una cupa ragazza con personalità multiple a fare da giudice/grillo parlante della situazione. Sì, proprio lei: la Boogiepop che dà il nome al tutto. 

domenica 11 aprile 2021

Vlad Love: Recensione

 Titolo originale: Vlad Love
Regia: Oshii Mamoru (regia generale), Nishimura Junji
Soggetto: Oshii Mamoru
Sceneggiatura: Oshii Mamoru
Character Design: Arakaki Issei
Musiche: Kawai Kenji
Studio: Production I.G., Drive
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anni di trasmissione: 2020 - 2021

 

Qualche anno fa Oshii Mamoru lamentava che non era più possibile realizzare anime iperrealistici come Ghost in the Shell o Patlabor. Questo fatto potrebbe avere molte ragioni culturali e/o economiche, ma secondo me si tratta semplicemente che l'anime boom, ossia il periodo d'oro dell'animazione – come tutte le cose a questo mondo – era destinato a finire (ed è effettivamente finito, e pure da tanto). Le serie di oggi "per adulti" (nel senso: per un pubblico non genuinamente infantile) sono per la maggior parte suddivise in tranche da dodici episodi, e sono  basate prevalentemente su personaggi femminili destinati a diventare le cosiddette "waifu", ossia delle "fidanzate immaginarie" per gli otaku. Questa tendenza negli anime era già presente in Urusei Yatsura durante l'anime boom, ma era minoritaria rispetto alla componente fantascientifica dei suddetti (qui avevo provato ad analizzare le cause di questa transizione). Ciò detto, già con la "sua" prima Lum lo stesso Oshii aveva svolto un'analisi del fenomeno. Nel corso degli anni arrivò poi Suzumiya Haruhi no Yuuutsu, che esprime il format sul quale gli anime cosiddetti moe attuali si basano. Quest'opera era un po' come Urusei Yatsura, ossia un harem di belle ragazze "congelate" assieme al protagonista in un'eterna adolescenza. Infatti Vlad Love è in un certo senso la "parodia della parodia", il "riflesso del riflesso". Ossia qualcosa di non strettamente necessario, un mero divertissment d'autore. 

domenica 28 marzo 2021

L'origine del male: riflessioni libere


Rivedere G Gundam mi ha fatto molto piacere. Ma dico sul serio. E no, non è soltanto Street Fighter con i robottoni: quelle erano scelte di marketing imposte ad un regista tanto intellettuale quanto nostalgico. La recensione che scrissi anni fa non mi va neanche di cambiarla: non mi va di cancellare o modificare quanto produssi, soprattutto nel punto in cui scrivevo tutto entusiasta dell'Allenby in versione fatina che rinunciava al suo amore per Domon, dato che c'era Rain a dover essere – letteralmente – salvata.  Ci rimasi male, perché in fondo Allenby mi piaceva molto, ma era giusto così. 

La riflessione che voglio qui esprimere è da dove provenga il male, o quantomeno cercare di definirlo. Perché il Devil Gundam, che è la stessa cosa del Lavos di Chrono Trigger, virus che infettava il mondo nella sua intima struttura spazio-temporale, o del Deus di Xenogears, arma di distruzione di massa organica senziente, mi ha dato molto da pensare.  I protagonisti di G Gundam, Domon e Rain, partono come se fossero già praticamente marito e moglie, ma poi arrivano un "virus" (il suddetto Devil Gundam) e una rivale in amore (Allenby) a creare disordine. L'unità viene quindi spezzata, ma poi, mediante coscienza e sacrificio, il virus viene debellato e il nucleo familiare riunito. Questa struttura è molto comune nella tragedia: l'elemento di disturbo è il male, indubbiamente, perché mira all'ordine delle cose, la cui sintesi suprema è l'unione (vuoi spirituale, vuoi tra uomo e donna, vuoi nel gruppo). Se non fosse esistito il male, non ci sarebbe stata alcuna risoluzione, né alcun "rafforzamento" (volendo si potrebbe anche parlare di "senso"). Gli antichi Kabbalisti ebraici raffiguravano questa cosa con la rottura di un vaso primordiale, dal quale ebbe origine l'universo. Ma in fondo, anche il mito dell'Eden era così: unità, e poi dissoluzione dovuta a un elemento di disturbo (in questo caso il frutto della conoscenza del bene e del male). E volendo risoluzione (a volontà dell'individuo/credente/praticante o che dir si voglia). Ovviamente, se non vi è alcuna volontà (la mancanza di volontà è una cosa tipica dell'apatia dell'epoca moderna, che è priva di vere finalità), non vi può neanche essere alcuna risoluzione. E da qui abbiamo l'esistenzialismo, ossia la "narrazione dell'irrisoluzione" delle vite moderne. In pratica delle tragedie a metà , come molte dinamiche sociali/affettive dell'oggidì (vorrei dire la maggior parte, ma non ho dati statistici alla mano).  Ma chiudiamo ora la parentesi e proviamo a classificare i vari tipi di "male".

mercoledì 24 marzo 2021

DEADMAN: Recensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: DEADMAN
Autore: Egawa Tatsuya
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Dynamic Italia
Volumi totali: 6
Anni di uscita: 1998~2000 (JP), 1999~2003 (IT)

 

«Lo scorrere di un fiume non si arresta mai... e per questo... non è mai uguale a se stesso.
Nell'acqua che ristagna... la schiuma può unirsi ad altra schiuma... ma non resta mai ferma a lungo.
Gli uomini e il dolore che affligge il mondo... non mutano mai.
»

Dopo una laurea ottenuta presso l'antica e prestigiosa università nazionale di educazione di Aichi (una sorta di Scuola Normale), Egawa Tatsuya decide di abbandonate la carriera di insegnante e di dedicarsi al fumetto, diventando un mangaka. Per un brillante giovane giapponese, nato nel 1961, si trattava di una scelta a dir poco controcorrente, considerata l'assai conformistica società della sua patria, soprattutto ai tempi, ma forse – come capirà al volo chi conosce la sua opera – il già intellettuale Egawa aveva in mente una forma di educazione più anticonvenzionale, se non rivoluzionaria. Nelle sue opere, infatti, mai scevre di una esplicita componente erotica, si direbbe ai limiti della pornografia, eppure del tutto assente di quella nota di voyeurismo ozioso che ne è tipico, l'autore innanzitutto critica con feroce intelligenza proprio il sistema educazionale giapponese: debutta con BE FREE!, l'antesignano del più noto, ma ben più frivolo e pecoreccio GTO, e in seguito, raggiunge grande notorietà con GOLDEN BOY, che non è affatto una mera commedia dai toni erotico-demenziali, come lascerebbe pensare la trasposizione animata. Divenuto ormai una contrastata personalità televisiva da salotti intellettuali, Egawa continua a condurre la sua critica del sistema scolastico giapponese, spingendola verso la svalutazione della formazione universitaria e della società nipponica essa tutta. Giunti negli Anni Novanta, sarà poi il turno anche di DEADMAN, che in effetti non è neanche più un manga vero e proprio, quanto una sorta di saggio di misticismo e filosofia politica travestito da storia gotica di vampiri. Dal punto di vista narrativo, DEADMAN è infatti organizzato (e disegnato) pressoché come una mera serie di dialoghi e racconti tra i personaggi, tanto da far pensare alla forma di trattato filosofico tanto amata da Platone, solo con l'aggiunta dei disegni: si tratta di una vera destrutturazione del medium narrativo chiamato "manga". 

domenica 7 marzo 2021

Hokuto no Ken [ Ken il Guerriero ]: Recensione

Titolo originale: Seikimatsu Kyuuseishu Densetsu - Hokuto no Ken
Regia: Toyoo Ashida
Soggetto: basato sul fumetto originale di Buronson & Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Hiroshi Toda, Shozo Uehara, Tokio Tsuchiya, Toshiki Inoue, Yuho Hanazono, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Masami Suda
Musiche: Nozomi Aoki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 109 episodi
Anni di trasmissione: 1984 - 1987


Alla pari di Natsume Soseki, figlio di samurai che avvertiva il crollo dei valori tradizionali giapponesi a causa dell'occidentalizzazione sfrenata della sua epoca, Buronson, proveniente dalla Marina Militare Giapponese, nel feroce boom economico degli anni ottanta vide una sorta di Wasteland (volendo citare T.S. Eliot più che Mad Max ) nella quale un popolo di guerrieri aveva definitivamente perso la sua identità. Nasce quindi Hokuto no Ken, uno dei manga - qui recensirò l'adattamento animato - più iconici del media, uno shounen da combattimento (e quindi rivolto ad un pubblico infantile) dal contenuto drammatico e truculento. Più che il vario citazionismo rimandante alla cultura pop americana, che rimane soltanto nella patina dell'opera (profondamente e arcaicamente giapponese nella sostanza), la vera fonte di ispirazione di Hokuto no Ken è il Violence Jack Nagaiano, manga post-apocalittico nel quale si consumavano le peggiori bassezze umane. Anche lo stesso protagonista Kenshiro (fortemente ispirato a Bruce Lee), che da come asserisce il titolo dell'opera è il messia, il salvatore, ha un po' la stessa ambivalenza di Jack, tant'è che non mostra mai pietà nei confronti di nemici che chiedono di essere risparmiati, e li fa esplodere come palloncini a furia di calci e pugni.

sabato 27 febbraio 2021

8 Mile: Recensione

 Regia: Curtis Hanson
Soggetto: Scott Silver/Eminem
Sceneggiatura: Scott Silver
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2002

Negli ultimi mesi di reclusione istituzionalizzata, era inevitabile che passassi dai mix vaporwave di Biggie Smalls e Ice Cube a Eminem, che era molto popolare quando ero adolescente. Sicuramente la recensione di un film del genere sembrerà stridente nel contesto di un blog che (almeno dichiaratamente) tratta recensioni di anime e manga. Eppure la gioventù che viene rappresentata in 8 Mile - a parer mio - non è molto diversa da quella che consumava anime negli anni novanta ("Super Nintendo, Sega Genesis... When I was dead broke, man, I couldn't picture this" cantava Biggie Smalls/The Notorius B.I.G.). 8 Mile avrebbe potuto benissimo essere un anime di successo: i punti che andava a toccare erano sempre dei nervi scoperti, sia in oriente che in occidente. Ma veniamo a noi.  

lunedì 8 febbraio 2021

Fushigi no Umi no Nadia [ Il mistero della Pietra Azzurra ]: Recensione 2.1 (by AkiraSakura & Shito)

Titolo originale: Fushigi no Umi no Nadia
Regia: Anno Hideaki
Progetto: Miyazaki Hayao (non creditato), Kubota Hiroshi
Struttura della serie: Ookawa Hisao,
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Tanami Yasuo (come: Umino Kaoru)
Character Design: Sadamoto Yoshiyuki
Mechanical Design: Yamashita Ikuto, Anno Hideaki
Musiche: Sagisu Shirou
Realizzazione: GAiNAX, Group TAC
Animazione: Touhou, KORAD
Formato: serie televisiva di 39 episodi
Emittente: NHK
Anni di trasmissione: 1990~1991
 
 
«Nadia... donna ni atte mo, ikirou!» 
(«Nadia... per quel che dovesse accadere, vivi!»)
 
 
L'ennesima revisione di Nadia dei Mari delle Meraviglie, una serie animata che nel passato di chi scrive (e qui sono ben due teste e quattro mani!) ha in qualche modo lasciato un segno, o quantomeno contribuito a un arricchimento personale, non fa altro che reiterare un nostro atavico dubbio. Ossia: ma Evangelion era davvero necessario?
Molto probabilmente, considerando la sua universalità di anime sulla crescita/vita (così come volendo lo era Galaxy Express 999, altro totem dell'animazione giapponese seriale), Nadia potrebbe per paradosso dirsi l'opera più "matura" di Anno Hideaki. Matura proprio perché rivolta ad un pubblico infantile, senza tuttavia essere banale; per i bambini, infatti, è facile subirne il fascino senza coglierne appieno i vari significati. Da adulti, invece, a parte le sbavature dovute a una produzione fin troppo caotica (tratto tipico della GAiNAX, quand'era ancora la GAiNAX), l'opera si rivela come un intreccio brillante di filosofia, psicologia, relazioni umane. E tanta fascinazione fantascientifica.