sabato 28 marzo 2015

Hunter x Hunter: Recensione

Titolo originale: Hantā x Hantā

 Titolo inglese: Hunter x Hunter

Autore: Yoshihiro Togashi

 Tipologia: Shounen Manga 

 Edizione italiana: Planet Manga

Volumi: 32 (in corso)

Anni di Pubblicazione: 1998



"Hunter x Huter" è uno shounen decisamente atipico; una di quelle letture le quali inizialmente ingannano, ma che in seguito si rivelano formidabili, imprevedibili, talvolta geniali. Già, perché nell'approcciarsi al primo numero del manga sembra di esser capitati di fronte al ben collaudato viaggio di formazione del solito ragazzino prodigio dai capelli sparati in cerca del padre; tutto sembra banale, ordinario, senza molte cose da dire rispetto a quanto non sia già stato detto nel contesto degli shounen moderni. Ma non è così. La mano estremamente autorale di Yoshihiro Togashi prende i classici cliché del genere e li plasma rendendoli più eterogenei attraverso insane commistioni con i generi più disparati, arrivando talvolta a decostruirli; egli possiede una follia bizzarra, avvenente, nella quale c'è ancora spazio per una sottile e ricercata logica. "Hunter x Hunter" si tratta infatti di un connubio tra follia e ragione quanto mai denso di spunti creativi e risvolti memorabili; un manga in cui viene rappresentato un mondo di fantasia in cui si muovono degli individui altrettanto particolari e imprevedibili; ma il tutto, a suo modo, possiede una certa carica di "realismo" e di coerenza strutturale, come "Le bizzarre avventure di JoJo" insegnano. I combattimenti, ad esempio - come nel manga sopracitato - si basano sulla strategia, sulla psicologia e sul ragionamento; la forza bruta spesso si rivela inutile: si tratta di scontri tra personalità, ognuna con i suoi dubbi, il suo background, le sue ragioni di vita e il suo credo. Nell'opera compaiono decine e decine di personaggi tutti differenti tra loro, ma caratterizzati in modo impeccabile, dotati di una caratterizzazione psicologica "verosimile" e di degli obbiettivi personali messi perfettamente in relazione con il mondo fittizio che li circonda - anch'esso curato nei minimi dettagli. 

venerdì 27 marzo 2015

Neon Genesis Evangelion: spunti per un'interpretazione.



Il nuovo vangelo, il vangelo dell'epoca post-moderna.

Scrivere una recensione a proposito di Evangelion nel 2012 non è cosa facile; dal 1995 sono passati quasi diciassette anni e su quest'opera sono stati spesi (metaforicamente parlando) litri e litri di inchiostro, sono state costruite interpretazioni di ogni genere e specie, impalcature spesso infondate, alle volte forzate, in alcuni casi invece interessanti e produttive. Si tratta di una serie che ha segnato intere generazioni di appassionati, e la sua fama ha portato il seme della discordia nel mondo, tanto da far discutere ancora oggi le masse. Con la consapevolezza quindi che ciò che andrò a scrivere forse non sarà nulla di nuovo, né di temerario o straordinario, sicuramente già esplicitato da molti, cercherò comunque di dare un'impronta personale alla mia recensione, sperando di non esagerare, e di non annoiare.

lunedì 23 marzo 2015

Hotarubi no Mori e: Recensione

 Titolo originale: Hotarubi no mori e
Titolo inglese: Into the Forest of Fireflies' Light
Regia: Takahiro Oomori
Soggetto originale:Yuki Midorikawa
Sceneggiatura: Takahiro Oomori
Character Design: Akira Takada
Musiche: Makoto Yoshimori
 Studio: Brian's Base
Formato: Film
Anno di uscita: 2011


L'atmosfera calda ed elegiaca di un paesino di campagna in piena estate, una misteriosa e sovrannaturale foresta ai piedi di un monte in cui il mito e la leggenda vogliono vi dimori una antica divinità; la diafana e impalpabile linea tra sogno e realtà si assottiglia, caldeggiata da una soave atmosfera di bucolica tranquillità che permea l'ambiente circostante, conferendogli un sapore trasognato.

domenica 22 marzo 2015

Infinite Ryvius: Recensione

 Titolo originale: Mugen no Ryvius
Titolo inglese: Infinite Ryvius
Regia: Gorou Taniguchi 
Soggetto originale: Hajime Yatate 
Sceneggiatura: Yōsuke Kuroda/Yuichiro Takeda
Mecha design: Kimitoshi Yamane 
Character Design: Hisashi Hirai 
Musiche: Katsuhisa Hattori 
 Studio: Sunrise/Bandai Visual
Formato: serie di 26 episodi
Anno di uscita: 1999


Immaginate di essere sperduti nello spazio, soltanto con qualche centinaio dei vostri simili. Dovete costruire una società partendo da zero, dacché, senza alcun controllo, immancabilmente il caos prende piede, sia nella vostra mente che nelle vostre interazioni con chi vi sta intorno. Individui differenti l'uno dall'altro, ognuno con i suoi lati oscuri nascosti da una maschera la quale, nei momenti più stressanti e densi di difficoltà, mostra alcuni segni di cedimento: e mentre sta per staccarsi, tra un sorriso falso e uno sguardo truce appena abbozzati, iniziano a subentrare gli istinti, le pulsioni aggressive, la ferocia, l'invidia, il fanatismo, l'incomprensione, il tormento interiore. Perché è inutile negarlo, la vera natura umana, quando si viene messi alle strette, si contorce all'interno delle proprie viscere con fare inquietante; e se ci si sforza di sopprimerla, essa diventa ancora più inarrestabile; non c'è alcuna via di scampo, quando non esiste alcun freno inibitore in grado di controllarla. E dopodiché, in modo molto simile ad un acuto e folle grido di terrore, essa fuoriesce; il male penetra nei rapporti interpersonali, nella società, nelle dinamiche che prima erano tenute sotto controllo da quell'indispensabile patto stipulato dall'uomo con le sue istituzioni, quegli organi sovrumani - ma allo stesso tempo fallaci, in quanto composti comunque da uomini - a cui un essere debole e inetto ha affidato il compito di proteggerlo da sé stesso.

sabato 21 marzo 2015

Il Vampiro che Ride: Recensione

 Titolo originale: Warau Kyuuketsuki

 Titolo inglese: The Laughing Vampire

Autore: Suehiro Maruo

 Tipologia: Seinen Manga 

 Edizione italiana: Coconino Press

Volumi: 2

Anni di Pubblicazione: 1998 



La narrazione inizia con un rimando alle desolate rovine cosparse di cadaveri e di sciami di mosche di Hiroshima e Nagasaki; dopodiché si sposta nell'attuale Giappone, dove i vizi e i mali prodotti dall'umanità - ed in particolare da una gioventù ridotta allo sbando - non si sono ancora estinti dopo una catastrofe apocalittica, inimmaginabile ed annichilente. Poco importa che un'anziana donna vampiro sia sopravvissuta all'inferno post atomico e sia giunta sino ai giorni nostri per mietere qualche vittima innocente succhiandole il sangue, talvolta facendola rinascere come vampiro. Lei è il male minore, allo stesso modo dei suoi "figli"; il vero male è la razza umana, così abnorme, ottusa, viziata, corrotta, perversa, animalizzata: mostruosa più di ogni vero mostro partorito dalla sua stessa immaginazione.

venerdì 20 marzo 2015

God's Child: Recensione

 Titolo originale: Kami no Kodomo

 Titolo inglese: God's Child

Autori: Nishioka, Kyoudai

 Tipologia: Seinen Manga 

 Edizione italiana: Non disponibile

Volumi: 1

Anni di Pubblicazione: 2009 

 
 
"God's Child" rientra perfettamente in quel disturbante sottogenere che personalmente amo definire "horror nichilista giapponese", sottogenere del quale "Midori shoujo Tsubaki" e "Litchi Hikari Club" sono un valido esempio di degni rappresentanti. Siamo di fronte alla provocatoria messa in scena della vita di un Gesù Cristo perfettamente antitetico all'originale; un serial killer psicopatico nato da delle feci in una latrina, quanto mai freddo, inquietante, cinico, sadico, lussurioso, ma allo stesso tempo lucido, consapevole di compiere le più grandi aberrazioni e raccapriccianti crudeltà che l'uomo sia in grado di concepire.

domenica 15 marzo 2015

Bokurano (anime): Recensione

Titolo originale: Bokurano
Regia: Hiroyuki Morita
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Mohiro Kitoh 
Character Design: Kenichi Konishi
Mechanical Design: Shingo Natsume
Musiche: Yuuji Nomi
Studio: GONZO
Formato: serie televisiva di 24 episodi
Anno di trasmissione: 2007


Premetto che Mohiro Kitoh è un mangaka decisamente controverso. Le sue opere più note, tali "Narutaru" e "Bokurano", contengono un'innata carica di cattiveria pura e di cinismo; senza parlare poi dell'elevato numero di stupri su minori, di eventi raccapriccianti e di stermìni di massa che potrebbero far torcere le budella ai lettori più sensibili. Ma il peggio è che questa "cattiveria malata" del mangaka non è gratuita, ma ontologica: essa si fonda su un coerente pensiero nichilistico di fondo, sull'elevamento a postulato del principio "homo homini lupus" di Hobbes, sulla critica alla selettiva società giapponese e ai suoi eccessi, sull'odio viscerale verso gli americani. E' chiaro che adattare dei manga del genere a degli anime da mandare in onda sia una cosa ben difficile, sopratutto quando si tratta di estetizzazione della violenza, anche verso minorenni, e di "coltellate" autorali supportate da strane e affascinanti commistioni tra macabro e misticismo orientale. Ci avevano provato con "Narutaru", ma si sono dovuti ricredere: la serie infatti fu troncata alla tredicesima puntata, prima del (devastante) finale del manga. Con "Bokurano" ci hanno riprovato ancora, ma ahimé il regista odiava il manga originale: odiava la sua ferocia, la sua crudeltà, il suo finale narrativamente perfetto, con tutta la sua filosofia pessimista - e senza speranza - degna di un Schopenauer in piena crisi depressiva. Inutile dire che per me il manga di "Bokurano" sia un capolavoro, formalmente coerente fino alla fine, con il suo truce messaggio e la sua matematica freddezza. 

sabato 14 marzo 2015

Aku no Hana - I fiori del male: Recensione

Titolo originale: Aku no Hana
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Shuzo Oshimi
Sceneggiatura: Aki Itami
Character Design: Hidekazu Shimamura
Musiche: Hideyuki Fukasawa
Studio: ZEXCS
Formato: serie televisiva di 13 episodi
Anno di trasmissione: 2013

 
Esistono anime che hanno senso solamente in Giappone. "Aku no Hana" è uno di questi. Spesso, italiani e stranieri, quando si ritrovano di fronte a questo tipo di opere, compiono un grosso errore, e le valutano trascurando la società e il contesto che le ha prodotte. Non si può valutare "Aku no Hana" secondo gli usi e costumi della società occidentale, molto meno rigida, formale e opprimente di quella giapponese. Chi ha studiato lingua giapponese conosce benissimo i numerosissimi suffissi onorifici i quali devono essere utilizzati per rivolgersi ad una persona a seconda del grado di confidenza, dell'età, della posizione sociale e così via. Già questa peculiarità della lingua di per sé rende benissimo l'idea di quanto questa società, da molti di noi sconosciuta, sia asettica e formale, così tanto da arrivare in alcuni casi ad annichilire la personalità degli individui, la loro sessualità, il loro amor proprio. Inoltre, i giapponesi hanno una concezione del voyeurismo molto marcata e sui generis; il feticismo e l'attaccamento patologico, morboso, all'oggetto dei desideri manifestato da molte persone del sol levante deriva dall'oppressione e dalla frustrazione che genera in esse la società, con i suoi ritmi alienanti e proibitivi. Il fortunato che ha studiato giapponese, o che comunque si è informato ed ha esperienza nel settore manga/anime, è anche ben a conoscenza del fatto che il termine "otaku" inteso nel suo senso originario è ben diverso dal significato occidentale. Non si tratta di un nomignolo simpatico per identificare esclusivamente un appassionato di manga/anime; nella società giapponese, un otaku è un individuo problematico, asociale, con forti difficoltà a rapportarsi con il prossimo, ossessionato da determinati oggetti e/o prodotti del consumismo giapponese. Un otaku è un emerginato, di sovente identificato come ritardato dalle altre persone. Un otaku s'interessa morbosamente a degli oggetti, spesso anche solo per la loro forma, il loro colore, i loro meccanismi. Possono esistere anche otaku che s'interessano di libri senza comprenderne veramente il significato, solo per il gusto di averli e di sentirsi speciali rispetto agli altri, quelle persone così asettiche ed omologate da quell'impersonale ed autoreferenziale organo il quale è la società giapponese. Il marcato voyeurismo è una dimensione tipica dell'otaku, quindi non mi stupirei affatto se esso degenerasse in feticismo a causa di un disagio interiore più patologico della media.