domenica 28 marzo 2021

L'origine del male: riflessioni libere


Rivedere G Gundam mi ha fatto molto piacere. Ma dico sul serio. E no, non è soltanto Street Fighter con i robottoni: quelle erano scelte di marketing imposte ad un regista tanto intellettuale quanto nostalgico. La recensione che scrissi anni fa non mi va neanche di cambiarla: non mi va di cancellare o modificare quanto produssi, soprattutto nel punto in cui scrivevo tutto entusiasta dell'Allenby in versione fatina che rinunciava al suo amore per Domon, dato che c'era Rain a dover essere – letteralmente – salvata.  Ci rimasi male, perché in fondo Allenby mi piaceva molto, ma era giusto così. 

La riflessione che voglio qui esprimere è da dove provenga il male, o quantomeno cercare di definirlo. Perché il Devil Gundam, che è la stessa cosa del Lavos di Chrono Trigger, virus che infettava il mondo nella sua intima struttura spazio-temporale, o del Deus di Xenogears, arma di distruzione di massa organica senziente, mi ha dato molto da pensare.  I protagonisti di G Gundam, Domon e Rain, partono come se fossero già praticamente marito e moglie, ma poi arrivano un "virus" (il suddetto Devil Gundam) e una rivale in amore (Allenby) a creare disordine. L'unità viene quindi spezzata, ma poi, mediante coscienza e sacrificio, il virus viene debellato e il nucleo familiare riunito. Questa struttura è molto comune nella tragedia: l'elemento di disturbo è il male, indubbiamente, perché mira all'ordine delle cose, la cui sintesi suprema è l'unione (vuoi spirituale, vuoi tra uomo e donna, vuoi nel gruppo). Se non fosse esistito il male, non ci sarebbe stata alcuna risoluzione, né alcun "rafforzamento" (volendo si potrebbe anche parlare di "senso"). Gli antichi Kabbalisti ebraici raffiguravano questa cosa con la rottura di un vaso primordiale, dal quale ebbe origine l'universo. Ma in fondo, anche il mito dell'Eden era così: unità, e poi dissoluzione dovuta a un elemento di disturbo (in questo caso il frutto della conoscenza del bene e del male). E volendo risoluzione (a volontà dell'individuo/credente/praticante o che dir si voglia). Ovviamente, se non vi è alcuna volontà (la mancanza di volontà è una cosa tipica dell'apatia dell'epoca moderna, che è priva di vere finalità), non vi può neanche essere alcuna risoluzione. E da qui abbiamo l'esistenzialismo, ossia la "narrazione dell'irrisoluzione" delle vite moderne. In pratica delle tragedie a metà , come molte dinamiche sociali/affettive dell'oggidì (vorrei dire la maggior parte, ma non ho dati statistici alla mano).  Ma chiudiamo ora la parentesi e proviamo a classificare i vari tipi di "male".

mercoledì 24 marzo 2021

DEADMAN: Recensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: DEADMAN
Autore: Egawa Tatsuya
Tipologia: Seinen Manga
Edizione italiana: Dynamic Italia
Volumi totali: 6
Anni di uscita: 1998~2000 (JP), 1999~2003 (IT)

 

«Lo scorrere di un fiume non si arresta mai... e per questo... non è mai uguale a se stesso.
Nell'acqua che ristagna... la schiuma può unirsi ad altra schiuma... ma non resta mai ferma a lungo.
Gli uomini e il dolore che affligge il mondo... non mutano mai.
»

Dopo una laurea ottenuta presso l'antica e prestigiosa università nazionale di educazione di Aichi (una sorta di Scuola Normale), Egawa Tatsuya decide di abbandonate la carriera di insegnante e di dedicarsi al fumetto, diventando un mangaka. Per un brillante giovane giapponese, nato nel 1961, si trattava di una scelta a dir poco controcorrente, considerata l'assai conformistica società della sua patria, soprattutto ai tempi, ma forse – come capirà al volo chi conosce la sua opera – il già intellettuale Egawa aveva in mente una forma di educazione più anticonvenzionale, se non rivoluzionaria. Nelle sue opere, infatti, mai scevre di una esplicita componente erotica, si direbbe ai limiti della pornografia, eppure del tutto assente di quella nota di voyeurismo ozioso che ne è tipico, l'autore innanzitutto critica con feroce intelligenza proprio il sistema educazionale giapponese: debutta con BE FREE!, l'antesignano del più noto, ma ben più frivolo e pecoreccio GTO, e in seguito, raggiunge grande notorietà con GOLDEN BOY, che non è affatto una mera commedia dai toni erotico-demenziali, come lascerebbe pensare la trasposizione animata. Divenuto ormai una contrastata personalità televisiva da salotti intellettuali, Egawa continua a condurre la sua critica del sistema scolastico giapponese, spingendola verso la svalutazione della formazione universitaria e della società nipponica essa tutta. Giunti negli Anni Novanta, sarà poi il turno anche di DEADMAN, che in effetti non è neanche più un manga vero e proprio, quanto una sorta di saggio di misticismo e filosofia politica travestito da storia gotica di vampiri. Dal punto di vista narrativo, DEADMAN è infatti organizzato (e disegnato) pressoché come una mera serie di dialoghi e racconti tra i personaggi, tanto da far pensare alla forma di trattato filosofico tanto amata da Platone, solo con l'aggiunta dei disegni: si tratta di una vera destrutturazione del medium narrativo chiamato "manga". 

domenica 7 marzo 2021

Hokuto no Ken [ Ken il Guerriero ]: Recensione

Titolo originale: Seikimatsu Kyuuseishu Densetsu - Hokuto no Ken
Regia: Toyoo Ashida
Soggetto: basato sul fumetto originale di Buronson & Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Hiroshi Toda, Shozo Uehara, Tokio Tsuchiya, Toshiki Inoue, Yuho Hanazono, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Masami Suda
Musiche: Nozomi Aoki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 109 episodi
Anni di trasmissione: 1984 - 1987


Alla pari di Natsume Soseki, figlio di samurai che avvertiva il crollo dei valori tradizionali giapponesi a causa dell'occidentalizzazione sfrenata della sua epoca, Buronson, proveniente dalla Marina Militare Giapponese, nel feroce boom economico degli anni ottanta vide una sorta di Wasteland (volendo citare T.S. Eliot più che Mad Max ) nella quale un popolo di guerrieri aveva definitivamente perso la sua identità. Nasce quindi Hokuto no Ken, uno dei manga - qui recensirò l'adattamento animato - più iconici del media, uno shounen da combattimento (e quindi rivolto ad un pubblico infantile) dal contenuto drammatico e truculento. Più che il vario citazionismo rimandante alla cultura pop americana, che rimane soltanto nella patina dell'opera (profondamente e arcaicamente giapponese nella sostanza), la vera fonte di ispirazione di Hokuto no Ken è il Violence Jack Nagaiano, manga post-apocalittico nel quale si consumavano le peggiori bassezze umane. Anche lo stesso protagonista Kenshiro (fortemente ispirato a Bruce Lee), che da come asserisce il titolo dell'opera è il messia, il salvatore, ha un po' la stessa ambivalenza di Jack, tant'è che non mostra mai pietà nei confronti di nemici che chiedono di essere risparmiati, e li fa esplodere come palloncini a furia di calci e pugni.