Titolo originale: Zettai Shounen
Regia: Tomomi Mochizuki
Soggetto: Ajia-do, Genco, Kazunori Ito, Sogou Vision, Toys Works
Sceneggiatura: Kazunori Ito
Character Design: Masayuki Sekine
Musiche: Hikaru Nanase
Studio: Ajia-do, Genco
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2005
«E’ dentro noi un fanciullino che non solo ha
brividi, […] ma
lagrime ancora e tripudi suoi. […]
Noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un
nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena
meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa
sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello.
Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età
giovanile forse così come nell’età matura, perchè in quella
occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno
badiamo a quell’angolo d’anima donde esso risuona.»
[Giovanni
Pascoli]
Ayumu Aizawa è un adolescente introverso, apatico e
di poche parole, che durante l'estate si reca dal padre, che risiede
in una piccola cittadina di campagna. Mentre vaga senza meta per le
strade di un luogo privo di attrattive, egli incontra Miku, una
bambina che parla e ragiona come un'adulta, la quale lo invita a
cercagli il suo amico scomparso, Wakkun.
Per caso, in un giorno apparentemente noioso e
ordinario come tanti altri, finalmente Ayumu incontra Wakkun, ma
quest'ultimo, ben lungi dall'essere un bambino in carne ed ossa, si
tratta di una sorta di Zashiki-warashi con gli stessi abiti e
le stesse sembianze che Ayumu aveva in tenera età. Wakkun
interagisce con alcuni strani yokai che paiono più degli UFO che
delle creature del folklore giapponese, delle “fate materiali” le
quali, all'occorrenza, da bizzarri oggetti meccanici luminosi si
trasformano in bolle di energia che vagano per l'aria allo stesso
modo del polline. Come se da questo incontro Ayumu avesse recuperato
un frammento smarrito della sua anima, egli si reca assieme al sé
stesso bambino a giocare nel bosco, ammirando la semplicità della
natura e delle cose, senza pretesa alcuna. Ma dopo questo evento, in
città incominciano a diffondersi voci indiscrete, secondo le quali
dei kappa sono apparsi in un ambiente ormai violato dalla
precarietà del misterioso e dell'inaccessibile. La giornalista Akira
Sukawara, attratta da questo clima insolito, incomincia ad indagare
sulle misteriose apparizioni, interagendo con gli asettici ritratti
di una giovinezza svuotata e malinconica la quale, con la dovuta
sofferenza interiore, sta muovendo i primi passi verso l'adultità.
Kisa Tanigawa è una bellissima ragazza la quale,
dopo essere stata oggetto di bullismo alle superiori, ha deciso di
non frequentare più le lezioni, e di vivere alla giornata,
deambulando per le vie della città, d'inverno, circondata dal
grigiore delle costruzioni attorno a lei, grigiore che si fonde a
dovere con i cupi colori del suo mondo interiore - squarciato da una
vita senza scopo e dal peso della depressione. Il suo mal di vivere
viene tuttavia alleviato da una bizzarra “fata meccanica” dalla
forma di un pallone di Rugby, che ella ha battezzato, con molto
affetto e dolcezza, “Bun-chan”, come se si trattasse di un
caloroso animaletto. Quest'ultimo però non si tratta di una “fata”
come quelle del paese estivo di Ayumu; la Sukawara, infatti, sempre
sulle tracce degli eventi paranormali legati ai “kappa” - è
passato un anno e mezzo dall'ultima apparizione di Wakkun -,
classifica Bun-chan e affini come “malignità materiali”,
scoprendo che esse sono in “guerra” con le “fate materiali”
della campagna.
La reazione di Kisa ad un triste evento indotto dal
suddetto conflitto è struggente, ed ella, incapace di affrontare la
realtà, si lascia andare, chiudendosi nella sua stanza colma di
gingilli elettronici come una perfetta hikikomori, tagliando ogni
contatto col mondo esterno, anche col suo fidato amico innamorato di
lei, Shigeki Kobayakawa, altra vittima dell'onnipresente bullismo –
perfetta metafora della durezza della società giapponese – il
quale, d'altro canto, reagisce alle insidie del mondo esterno
coltivando la sua particolarissima passione per lo Shogi, del quale
vuole diventare un giocatore professionista. Ma tra un giorno
ordinario e l'altro, nel quale ci si aggrappa allo straordinario per
fuggire da ciò che fa soffrire, lo straordinario decide di
manifestarsi definitivamente agli occhi di tutti, rompendo il velo
delle convenzioni: ed ecco apparire in alto, nel cielo grigio, un
enorme UFO dalle sembianze di un sincrotrone volante, dal quale
sembrano provenire le varie “fate” e “malignità” dell'altro
mondo, che interagiscono e si annichiliscono tra loro come se si
trattassero di particelle nucleari - i costituenti elementari della
natura.
“Zettai Shounen” è uno slice of life
molto particolare, nel quale il passaggio dall'adolescenza all'età
adulta – tematica cruciale nell'animazione giapponese, sicché
nella società nipponica l'infanzia, la vecchiaia e l'adolescenza
sono gli unici periodi “privilegiati” della vita – viene
sviscerato in modo alquanto “pascoliano”, ovvero con la dovuta
enfasi sull'incapacità di vivere dei protagonisti, sulla loro
difficoltà di uscire dal nido, nonché sul loro bisogno di
conservare il lato più puro e infantile della personalità una volta
entrati nel grigio mondo degli adulti. Dotata di un mood
agrodolce e sofisticato, con la sua grafica giocattolosa e i suoi
colori brillanti, l'opera sceneggiata da Kazunori Ito – rinomato
braccio destro di Mamoru Oshii - è caratterizzata da un ritmo
lentissimo, giapponese in tutto e per tutto; l'eleganza delle
immagini, l'acume e la complessità dei dialoghi, la commistione tra
folklore shintoista e tecnologia che sfocia nel mistero e
nell'indefinito, sono tutte caratteristiche le quali, con una certa
dolcezza, fanno da contorno ad una storia dai forti connotati
simbolici in cui – in modo affine al pensiero orientale – non
accade praticamente nulla, giacché è la percezione stessa delle
cose a conferire loro valore e “movimento”.
«In passato, le regioni più alte di questa
montagna erano inaccessibili. Ma adesso, ognuno può andarci a suo
piacimento. Ciò che è sacro e ciò che è mondano... Il normale e
l'anormale... Nel passato, i confini tra questo genere di cose erano
strettamente protetti. […]»
«… Io davvero non so di cosa tu stia
parlando.»
«Oggigiorno, con la gente che ragiona a questo
modo [si riferisce all'apatia
intellettuale di Ayumu], i confini tra le cose si agitano.
E quando ciò accade, la membrana del mondo si dirada. E poiché si
dirada... questi esseri che dovrebbero esistere in altri domini si
mostrano nel nostro mondo. Ma ciò non è né buono né malvagio.
Semplicemente è.»
[Dialogo tra Heigorou Suzuki e Ayumu Aizawa]
La gioventù di “Zettai Shounen” - per ovvi
motivi - è quella giapponese di inizio anni duemila che, privata di
punti di riferimento fissi sui quali contare e catapultata in un
mondo ostile e scevro di prospettive future, si rifugiava, in preda
alla depressione e all'apatia, in un incerto rifiuto del mondo
esterno, misto all'insofferenza dovuta all'esclusione dalle sue
dinamiche ed interazioni. Ma in fondo, l'opera scritta da Kazunori
Ito appartiene al ben noto filone della Nuova Animazione Seriale,
e con ciò si fa carico delle tematiche tipiche di tale corrente, in
particolare della presa di coscienza sociologica del postmoderno e
delle reazioni dei giapponesi a tale mutamento.
Il “punto di riferimento fisso” dell'opera sono
gli anziani, che vengono sempre dipinti come sagge guide spirituali
da ascoltare e comprendere; immuni ai dubbi e alle ambiguità
caratteristiche del tempo in cui sono cresciuti i giovani come Ayumu
e Kisa, essi, allo stesso modo della generazione di Ito, osservano la
postmodernità dall'esterno, e dispensano perle di saggezza sul come
viverla, senza condannarla né demonizzarla, sicché sono immuni a
quell'assai diffusa idealizzazione del passato – squisitamente
indotta dal narcisismo - tipica della maggiorparte delle loro
controparti reali. Quello che il vecchio Heigorou Suzuki dice al
protagonista contiene in sé proprio la constatazione del crollo
delle differenze tra “sacro” e “profano”, tra “alto” e
“basso”, ovvero, in altre parole, la “liquefazione” della
verticalità e dell'incorruttibilità dei valori giapponesi. Le varie
“fate” dello shinto provenienti da questa incapacità di definire
assetti antropologici verticali sono anche “meccaniche”: nel
postmoderno giapponese, la tradizione deve integrarsi armonicamente
con la tecnica, senza tuttavia perdere la sua identità ed arcaicità.
La pigrizia intellettuale e l'inettitudine di Ayumu e soci pertanto
devono venire meno, e a tal fine l'opera lancia numerosi messaggi
positivi alla fragile gioventù del suo tempo – «Trust
Yourself»,
«Think and Act»,
delle scritte sui muri inquadrate più volte nel corso del secondo
arco.
«Su tutto il pianeta i videogiochi appaiono
realistici, e vengono creati film fatti interamente in computer
grafica, come se la realtà stesse diventando l'illusione.
Stiamo vivendo in un'era in cui la linea tra
virtuale e reale è offuscata.»
[Notiziario]
Sebbene “Zettai
Shounen” sia un'opera dimenticata e sottovalutata dai più, ad
occhi attenti e privi di pregiudizi si rivela un coacervo di
riflessioni tipiche del suo tempo – non molto distante dal nostro
-, alcune delle quali rivelano palesemente la mano di un Kazunori Ito
il quale, nella plumbea quiete che caratterizza il titolo, riprende
in modo più leggero uno dei risvolti del capolavoro cinematografico
“Patlabor 2” e, in generale, della poetica di Mamoru Oshii:
l'impossibilità di definire una linea di demarcazione nitida tra
realtà e illusione nel contesto in cui viviamo. Ed ecco che Kisa,
dato che ritiene che nel mondo reale nessuno possa comprenderla
veramente, si rifugia nella sua stanza vedendo nel suo pseudo pallone
da Rugby Bun-chan l'unico oggetto degno del suo candore ed affetto,
un amico magico e meccanico allo stesso tempo, che i più non possono
vedere, ma sul quale ella è convinta di poter fare affidamento per
non sprofondare ancor più nel baratro della depressione. La
solitudine dei personaggi di “Zettai Shounen” viene rappresentata
senza alcuna tendenza al melodramma, in modo secco e realistico,
grazie all'accurata gestione di silenzi e dialoghi.
Ma “Zettai Shounen”
non è soltanto Kisa e Ayumu; nell'opera vi è un velato parallelismo
tra le interconnessioni delle numerose particelle/”fate
meccaniche”, che s'interfacciano tra loro in un insieme
totalizzante d'interazioni – questo in fondo è la Natura – il
cui scopo – sempre se ce ne sia uno - non è accessibile alla mente
umana – la natura dei misteriosi yokai meccanici e i motivi della
loro esistenza non verranno mai rivelati -, e quelle che legano gli esseri
umani, una moltitudine di ritratti disparati ed eterogenei la cui
realistica caratterizzazione ben si amalgama con le tematiche
trattate. C'è Shione Unno, che vorrebbe
fidanzarsi con un ragazzo
ben visto da tutti per integrarsi nella società e superare il suo
disagio derivante dalla mancanza di una posizione ben definita nel
mondo; c'è l'artista fallito Jirou Hatori, vagabondo ai margini del
sistema che si diletta ad osservare le persone dall'esterno senza
“sporcarsi”, o meglio, senza indossare alcuna maschera - «La
gente è sempre alla ricerca di come apparire agli occhi altrui...
ma, non importa quale sia il caso, ognuno alla fin fine vede sempre
ciò che vuole vedere»;
c'è Rieko Yamato, la
classica ragazza della porta accanto, la tipica compagna di classe
“perfettina” che, nel momento in cui interagisce con persone
quali il cupo Shigeki Kobayakawa, si riscopre irritante e banale, e
pertanto cerca di cambiare... insomma, sono tanti gli uccelli
senza ali che desiderano volare ma non riescono a farlo, ed
essi vanno incontro ad un graduale processo di crescita, che li
porterà in alcuni casi a rivedere i propri passi – un anno dopo
aver incontrato Wakkun, un Ayumu maturato e consapevole dirà: «Tutto
quello che è accaduto e tutto ciò che accadrà ha un significato»,
tradendo pienamente il
suo iniziale nichilismo giovanile.
Tecnicamente parlando, dal punto di vista di regia e
animazioni “Zettai Shounen” risulta abbastanza nella media; ciò
che invece eccelle – oltre alla sceneggiatura - è il comparto
musicale, dotato di eleganti brani caratterizzati da una “bellezza
semplice” che ben si accompagna ai numerosi dialoghi dei
personaggi. Sobrio, malinconico, bizzarro ed elegante, l'anime viene
incorniciato da una frizzante sigla di apertura e dal canto soave
della sigla di chiusura, alla quale seguono esilaranti anticipazioni
dell'episodio successivo nelle quali gli animali domestici dei personaggi della serie mettono in scena un brevissimo spettacolo di
cabaret carico di uno strampalato sense of humor. Chiusa la
parentesi, tornando alla tematica cruciale del cambiamento
affrontata nella serie – la crescita delle persone, non
soltanto quella esteriore, ma anche interiore -, è bene far notare
che essa sia affine ad un substrato psicologico tipicamente
giapponese – la riscoperta dei valori del passato e della propria
identità in quanto parte di un gruppo.
«Questo mondo è molto più complicato, ricco e
pieno di misteri rispetto a ciò che pensa la gente. Dopo che un
qualcosa di così inaspettato è stato rivelato [si
riferisce all'apparizione dell'UFO/yokai a forma di sincrotrone],
non ho altra scelta che cambiare.»
«Ciò di cui stai parlando la gente lo sapeva
già. Ce ne siamo soltanto dimenticati.»
«Non potrei ricordare
qualcosa per innescare il cambiamento?»
«Tu non puoi dire
soltanto che cambierai. Devi farlo e basta.»
[Dialogo tra Jirou Hatori e una donna anziana]
In particolare, con la sua raffinata vena poetica
l'opera intende stimolare il tipico sentimento giapponese dello
“stupore sincero per le cose del mondo”, il Mono no Aware,
che, in fin dei conti, è lo stesso che provano i bambini nel momento
in cui incominciano ad interfacciarsi con la realtà esterna, che
appare loro meravigliosa, illimitata e carica di misteri, sebbene ciò
non sia visibile agli occhi di quegli adulti che hanno dimenticato il
proprio bambino interiore. In un mondo dominato dalla tecnica in cui
tutto è scontato, monotono e uguale, è necessario un cambiamento
nel modo di percepire le cose, cambiamento che secondo l'opera
può avvenire non soltanto riscoprendo un sentimento atavico assopito
dal postmoderno, ma anche prendendo coscienza di sé stessi in quanto
esseri umani interconnessi con il tutto. Ciò detto, il fanciullino
va accolto attivamente, senza crogiolarsi in esso praticando
l'escapismo. Cambiare implica ritornare a vedere il velo di
Maya con meraviglia, acquisire una nuova percezione più
“emozionale” e “poetica” della realtà, ma senza cascare nel
suo inganno e, sopratutto, passando definitivamente all'età adulta,
senza rimanere eterni bambini imprigionati nel metaforico utero
materno del non-senso e della comodità. Da qui la fondamentale
divergenza tra il messaggio di “Zettai Shounen” e quello di
Pascoli, sebbene i punti in comune tra i due siano molteplici.
D'altronde, il poeta italiano scrisse: «Che in qualcuno non sia,
non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe
di lui la miseria e la solitudine… In alcuni non pare che egli sia;
alcuni non credono che sia in loro… Forse gli uomini aspettano da
lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché non
le vedono, o in altri o in sé, giudicano che egli non ci sia.
PS: Clicca qui per un'intervista agli autori e per il location hunting.
PS: Clicca qui per un'intervista agli autori e per il location hunting.
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