martedì 23 dicembre 2025

Katia vuole fare la scrittrice


 “Siamo una casa editrice che ama investire sui giovani talenti: è da sempre nostra premura organizzare incontri di discussione tra gli autori e il loro pubblico. Inoltre, come avrà già notato, siamo molto, ma molto attenti al sociale”. La facciotta alla Helen Kane di Katia ascoltava entusiasta quella specie di agente immobiliare che gesticolava dall’altra parte dello schermo. Per via delle sue umili origini e della sua tendenza a chiudersi in se stessa, una tendenza a cui un individuo in camice bianco affibbiò l'etichetta di autismo, Katia aveva avuto un’adolescenza a dir poco difficile; a ciò si sommava il suo essere un po’ paffutella e il suo scarso interesse per le mode e l’apparire. Insomma, nonostante la sua giovane età, Katia già si sentiva in qualche modo vecchia, tant’è che arrivò più volte a chiedersi: cosa lascerò di me il giorno in cui morirò? Cosa lascerò di tutto questo mio pensare, di questa mia sete di bellezza, di questa necessità di assoluto che da sempre vaga per la mia mente? Da qui il bisogno di scrivere: grazie alla scrittura Katia aveva trovato una sorta di rifugio, di conforto dell’anima; poter pubblicare il suo lavoro, pensò, avrebbe potuto aiutare altre persone con i suoi stessi problemi; o in qualche modo le avrebbe rese testimoni dei suoi pensieri più profondi e rari, che sarebbero rimasti scolpiti in eterno tra le pagine del suo libro. Quella piccola casa editrice, quindi, contando anche il fatto che tutte le altre avevano bellamente ignorato il suo manoscritto, pensò potesse fare al caso suo. 

giovedì 18 dicembre 2025

Giochiamo a merda? - Parte seconda


Intorno a ora di pranzo incontrai mio padre all’ingresso del campeggio: indossava un orologio nuovo, lucente, che non avevo mai visto prima. Sul quadrante c'era scritto "Omega". 
«Ciao pa’, fatta la spesa?».
«Sì, adesso andiamo a mangiare».
«Bello l’orologio…».
Mio padre ignorò le mie parole e continuò a insistere per farsi prestare il televisore dal custode, che a un certo punto si rassegnò e glielo andò a prendere controvoglia. Tornati all’MB100, dopo aver messo due bistecche sul fuoco, colui che col suo seme aveva innescato il meccanicismo che mi mise al mondo predispose il piccolo Mivar attaccandosi alla rete elettrica del campeggio. Una volta pranzato ruttò, aprì la sedia sdraio e, armato del suo nuovo orologio, si mise a guardare i suoi soliti telefilm americani, dei rush superomistici intervallati da pubblicità friggi cervello. 
Quando aveva a che fare con la gente delle roulotte, inclusi i fratelli di Laura, che passavano spesso davanti alla nostra dimora con i loro sacchi in mano, mio padre si comportava come un agnellino: era amichevole e salutava sempre tutti. Nondimeno, nonostante fosse lampante che gli zingari lo infastidissero, non mi aveva mai espresso alcun divieto di frequentarli: l’importante era che non lo disturbassi quando dormiva o faceva le sue cose.

giovedì 11 dicembre 2025

Careless people (Gente che se ne frega), un libro di Sarah Wynn-Williams


Le poche volte che apro Facebook o Instagram mi sale un improvviso senso di nausea: tutti che litigano con tutti, la guerra tra maschi e femmine, i reel stupidissimi di gente che fa smorfie e spara cazzate alla ricerca di una flebile fiammata di notorietà. Di certo i social non sono più ciò che erano intorno al duemiladieci, anni nei quali, anzi di essere vere e proprie macchine antropofaghe, si rifacevano a blog e forum col miraggio progressista di "connettere tutti". Sarah Wynn-Williams (che d'ora in poi abbrevierò con S.W.W.), l'autrice del qui presente libro, aveva iniziato a lavorare in Facebook proprio in quegli anni: da immagrata neozelandese qual era, riuscendo a farsi assumere inventadosi il ruolo di responsabile dell'interazione tra gli executive dell'azienda e politici e capi stato, ha di fatto vissuto il sogno americano, constatandone poi le falle e la decadenza (tant'è che nel libro, a scanso di equivoci, viene addirittura citato Citizen Kane di Orson Wells). La sostanza di tutto ciò è che un nerd piccolo borghese di Harvard, Mark Zukerberg, da ragazzotto ingenuo e poco interessato alla politica (inizialmente manco li vuole ricevere, i capi di stato), una volta raggiunta la consapevolezza della propria potenza, si trasforma in un pericoloso affarista megalomane ossessionato dal rendere Facebook un Moloch globale, uno strumento di potere grazie al quale lui e i suoi più fidati collaboratori calibrano le scelte dell'algoritmo (che decide cosa le persone devono vedere e quindi pensare) in modo tale da massimizzare il proprio guadagno, senza curarsi delle conseguenze che ciò può avere sulla società (un esempio lampante citato dall'autrice, nonché documentato da Amnesty International, è il ruolo che Facebook ha avuto nello sterminio dei rohingya da parte delle forze armate di Myanmar, per dirne una). Una persona mediamente intelligente capirebbe già da sé, senza alcun bisogno di informarsi, quanto i social e la pseudocultura da essi portata in auge sia nociva per la specie umana; ma qui, in questo coraggioso libro (che ha venduto un sacco nonostante la censura imposta da Meta), tutto ciò viene messo nero su bianco. 

domenica 23 novembre 2025

Eraserhead, Lynch e il surreale tormento dell'indelebile (by Molly)


Molte volte ci troviamo di fronte ad opere trascendentali, metafisiche ed introspettive. Penso che Eraserhead, lungometraggio immerso in un'impronta simbolica, onirica e psicoanalitica, sia proprio una di queste. David Lynch è un regista noto per l'impronta sfuggente e spesso apparentemente priva di senso delle sue pellicole, una caratteristica che rende impossibile darne un'analisi univoca e concreta. Questo perché l'artista lascia parlare il proprio inconscio, mettendosi in disparte e ricercando il senso, per l'appunto, nel proprio nonsenso interiore.  

Direi che in generale il cinema vanta, per sua natura, un mix di arti diverse: immagini, musica, dialoghi. Ma in concreto si tratta di un modo di narrare che si fa strada principalmente mediante la vista, la più immediata modalità della percezione. Le immagini sono più veloci nel parlare all'inconscio rispetto alle parole e Lynch lo sa benissimo, tant'è che pare quasi ricercare nello spettatore una sorta di compatibilità emotiva. E la mia, in questo caso, l'ha sicuramente trovata. Eraserhead, indipendente opera prima (parlando di lungometraggi) di Lynch, girata a strettissimo budget nell'arco di cinque anni, rappresenta, a detta dell'autore, il suo film più personale e spirituale, ed è certamente reo di avermi regalato, nella sua angosciante atmosfera, una delle esperienze più affascinanti della mia vita.

sabato 15 novembre 2025

Dalla postmodernità alla postumanità


 La postmodernità era ancora un luogo di narrazioni, piccole narrazioni, pseudo-tali o addirittura l'assenza di esse; delle narrazioni che in qualche modo, nonostante tutto, raccoglievano ancora in sé un chicco di significato, poiché la modernità, o in qualche modo i soliti archetipi dell'umano, rintoccavano pur sempre sul fondo del barile (tipo che ne so, Kirkegaard opportunamente citato in Evangelion; oppure Utena, che per significato non è poi così diverso dalla Recerche di Proust). La letteratura postmoderna era Pynchon, Cărtărescu e compagnia: un bel casino, certamente, ma si trattava pur sempre di letteratura. Un prompt generato automaticamente con ChatGPT rastrellando l'internet (tra l'altro violando il diritto d'autore) è pur sempre letteratura? È pur sempre umanità? Ha pur sempre un significato? Alcuni diranno che l'I.A. è uno strumento, così come  una volta lo era il vocabolario online. Ma per me no, non è così. Questa intelligenza artificiale è un cambiamento radicale, una cosa che non può essere paragonata a nessun oggetto appartenente al passato.