venerdì 30 maggio 2014

Apollo no Uta: Recensione

 Titolo originale:Apollo no Uta

 Titolo inglese: Apollo's Song 

Autore: Osamu Tezuka

 Tipologia: Shonen Manga 

 Edizione italiana: inedito (disponibile solo in lingua inglese)

Volumi: 3 

Anno di uscita: 1970



«I wanted to run away from everyone, to live in a world of my own, where nobody would ever find me. This is that world, my world.»

«When you love someone, it puts you above life and death.»

Se pensate che queste citazioni vengano fuori da un anime psicologico anni '90 vi sbagliate di grosso. Le ho prese da "Apollo no Uta", quello che ritengo uno dei migliori Tezuka che abbia mai letto. Si tratta di una grande metafora della vita e dell'amore uomo-donna, in chiave psicologica, filosofica, con un forte nichilismo di fondo e un evidente richiamo alle tragedie greche (l'idea di base sulla quale si sviluppa il manga è il mito di Apollo e Daphne). Per la prima volta, il complesso di Edipo e la psico-analisi compaiono in un media di intrattenimento giapponese; "Apollo no Uta", infatti, è stato inizialmente concepito da Tezuka come mero manuale di educazione sessuale per i ragazzi del periodo, anche se il risultato finale è ben differente; l'infinita fertilità artistica del maestro, anche in questo caso, ha fatto sì che l'opera trascendesse a qualcosa di ben più profondo - un dramma umano struggente, dai molteplici livelli di lettura.


- Siccome non riponi alcuna fede nell'amore, dovrai affrontare infinite prove, soffrendo eternamente i dolori derivanti da questo sentimento -. Così si rivolge la dea Athena a Shogo, un ragazzo disadattato incapace di amare, forse per la durezza della società che lo circonda, oppure a causa del burrascoso rapporto che da sempre ha con la madre, che non si cura di lui, preferendo intrattenersi con i suoi numerosi amanti. Da quando, per caso, aprendo involontariamente la porta della camera da letto, Shogo l'ha vista fare sesso con un estraneo, non riesce più a tollerare l'atto sessuale in sé, fino al punto di arrivare ad uccidere in modo feroce gli animali che lo compiono. Secondo il dottore egli non è normale, ha dei problemi, e pertanto viene spedito in un manicomio di stato, sottoposto all'elettroshock, all'ipnosi e ad un'insolita seduta psicoanalitica. Buio totale. Ed ecco che compare Athena, con la sua implacabile condanna; Shogo verrà catapultato in mondi diversi, e in essi rivivrà ogni volta la stessa storia d'amore tragica in maniera differente, compiendo un processo di riabilitazione psicologica ciclico, onirico e denso di simbolismi.


"Apollo no Uta" ha veramente molte contaminazioni culturali, che vanno da citazioni alla bibbia (l'arca di Noé del secondo arco della storia) fino ad ammiccanti rimandi post-apocalittici ad Asimov (il quarto arco della storia, ovvero la quarta rivisitazione del mito greco di Apollo e Daphne, questa volta in salsa sci-fi, con reminescenze orwelliane). I viaggi onirici di Shogo dopo la condanna di Athena sembrano delle vere e proprie incursioni nell'inconscio, dove il mito, il mistero, i suggestivi panorami usciti dal pennino di Tezuka rendono "Apollo no Uta" un'opera d'arte dal fascino immenso - la scena del tramonto nel secondo arco, il nudo di Daphne, il cimitero dell'intera umanità dopo l'apocalisse. A scanso di equivoci, l'infinito ciclo della vita imposto dalla natura all'uomo viene suggerito da Tezuka nelle prime pagine del manga - che sia la dea Athena un simbolismo per raffigurare la natura, e Shogo l'uomo che non può sfuggire al suo castigo? -; tuttavia, l'eterno ciclo delle rinascite è riservato esclusivamente a chi non è capace di andare oltre la vita e la morte (come suggerisce la seconda citazione che ho riportato in testa alla recensione). C'è molto pensiero buddhista in "Apollo no Uta": è infatti noto che il Tezuka educatore si sia basato sugli insegnamenti di Siddhartha Gautama anche in altre sue opere, "Il Buddha" e "La Fenice" in primis. Nel simbolismo sessuale del manga, tra sogno e psicologia del transfert (si pensi all'innamoramento di Shogo per la sua psicoanalista), rieccheggia lo spettro del pensiero freudiano, a partire dall'evidente complesso di Edipo del protagonista, che arriva addirittura a baciare in bocca (con la lingua) la madre (!); a cercare nelle altre donne quella figura materna che tanto l'ha fatto soffrire.
 

E' un Tezuka molto chiuso e riflessivo, quello di "Apollo no Uta". In particolare il secondo arco della storia, nel quale viene raffigurata una natura idealizzata in cui i predatori convivono con le prede, mi è sembrato denso di riflessioni naturalistiche molto personali; Tezuka era un grande osservatore della natura, in particolare aveva una certa passione per gli insetti, che paragonerà agli esseri umani nel suo celebre "La cronaca degli insetti umani". E' la natura in sé, indissolubilmente legata al ciclo dell'eterna dicotomia eros-thanatos, che in "Apollo no Uta" sembra ossessionare l'autore fino nel profondo; il rapporto che quest'ultima ha con l'uomo, uno dei suoi innumerevoli prodotti, che, in quanto tale, deve contemplare oltre all'amore anche la morte, l'annullamento assoluto - il ciclo eterno, l'eterno castigo reso ancora più pesante dalla coscienza del bene e del male.


Nel primo arco della storia, il mito di Apollo e Daphne abbraccia una riflessione tipica dell'autore: il razzismo, l'odio verso il diverso - non a caso Shogo si ritrova catapultato nella seconda guerra mondiale, arruolato come cadetto dell'esercito nazista, in un'ambientazione che non può non ricordare il ben successivo capolavoro del maestro, "La storia dei tre Adolf" (1983). Lo stesso tema compare come leit motiv anche nell'arco sci-fi distopico, e viene propinato in modo molto schietto, con sanguinose scene dall'impatto molto forte, che impressionano tutt'ora nonostante il dolce tratto retrò del mangaka. 

   
Indubbiamente, "Apollo no Uta" è uno dei picchi massimi di autorialità del maestro, uno dei rari esempi in cui, con cinquecento pagine soltanto, si riescono a trattare argomenti molteplici attraverso un intreccio formalmente perfetto, che sfocia in un epilogo dal grande valore simbolico che mette in evidenza, a lettura conclusa, il messaggio finale dell'opera. Indubbiamente con questo manga Tezuka si rivolge più a se stesso che al suo lettore, rendendolo comunque testimone di una vasta gamma di pensieri, riflessioni sulla vera natura dell'amore, tanta bellezza, tanta poesia, il tutto con quell'alone di mistero che apre la strada a molteplici interpretazioni; il tutto con quella sincerità e schiettezza, mista a grande genio, di colui che ha elevato il fumetto a opera letteraria di indubbia caratura artistica. 

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