Premetto che il libro in questione mi è piaciuto. Lo stile dell'autrice (che deve molto ai classici giapponesi), la copertina, l'impaginazione, la scelta della carta... Insomma, non ho alcuna voglia di donarlo alla biblioteca, come spesso faccio con i libri che non mi lasciano niente. La trama narra della relazione omosessuale tra un'insegnante di lingua italiana e una giovane femme fatale cinese, tale Xu. L'incontro avviene a Shangai, che viene abilmente fatta rivivere dalla rodata tecnica della scrittrice. Per quanto cliché, Fame Blu si presenta come una storia di alienazione ben fatta: la protagonista narrante è abulica, in lutto per la morte del fratello e la sovrainformazione della sua nuova città la sommerge, diventando man mano parte di lei. L'esperienza dei rapporti umani, in primis il sesso, si mescola in un tutt'uno a quella del cibo, venendo per di più ostacolata dai limiti linguistici (l'autrice conosce il cinese e utilizza la sua conoscenza per creare incomunicabilità tra i personaggi). L'identità delle due protagoniste, che fanno sesso al mattatoio abbandonato mordendosi a vicenda, è un po' come uno specchio caduto a terra: frammenti dispersi nei quali non si vede altro che se stessi. Il cibo, così come l'amore macabro e tossico, riempiono vuoti compulsivi, ma non curano alcunché. Il tutto, finale a parte (è questa l'unica nota dolente, ma ne parlerò più avanti) sembra quasi un film di Shin'ya Tsukamoto girato da un punto di vista femminile. Poi c'è il locale notturno amato dalla femme fatale, lo spleen e tutto ciò che vogliamo. Questo libro in un certo senso assomiglia prima parte del mio, anche se io lì raccontavo un amore tossico tra un lui e una lei. Eh sì, la borderline straniera. La modella superfiga che ti fa soffrire. Il/la partner tossico/a che a te, te che sei così debole e insicuro/a, sembra infondere un po' di brivido, un po' di voglia di strisciare a terra, le emozioni forti. Qualcosa di nuovo e di poco noioso. Perché ormai scriviamo tutti storie così?
martedì 9 aprile 2024
giovedì 4 aprile 2024
Laboratorio Palestina, un libro di Antony Loewenstein
"Questo libro è stato scritto come un avvertimento riguardo al mondo spaventoso che potrebbe spalancarsi se un etnonazionalismo di stampo israeliano dovesse continuare la sua ascesa in un secolo già segnato dalla volontà di potenza di nazioni che non si piegano a niente, dalla Russia a Israele alla Cina agli Stati Uniti".
Il libro in questione è uscito da poco, è stato scritto da un ebreo nipote di ebrei fuggiti all'olocausto (quindi direi che non si può tacciare di antisemitismo) e a mio parere è un capolavoro di giornalismo, allo stesso modo dell'inchiesta di Yoram Binur di cui avevo parlato qui. In quest'altro post avevo espresso le mie idee personali in merito all'attuale conflitto in corso; l'inchiesta di Loewenstein, rigorosamente documentata, sembra fare un ulteriore passo in avanti rispetto a ciò che avevo scritto e pensato, fornendo un panorama a dir poco distopico dell'attuale presente della nostra umanità. Il libro infatti non si ferma soltanto a far luce sull'efferato militarismo hi-tech israeliano, ma mette in evidenza il controllo dei mezzi di comunicazione, in particolare i social media, da parte del ben noto Stato mediorientale da sempre in simbiosi con gli USA. Altro punto cruciale è l'utilizzo della Palestina da parte dell'industria delle armi israeliana come "ambiente di test" per i propri prodotti, che in seguito verranno esportati verso altri stati o regimi con la garanzia dell'efficienza anti-terrorismo, anche quando il terrorismo sono donne, bambini, ambulanze, ospedali, operatori umanitari e così via, generando introiti multi-miliardari. Detto ciò, in un certo senso mi stupisce che un grande e potente editore italiano come Fazi abbia deciso di pubblicare un libro del genere, contando gli interessi che attualmente l'Italia ha in ballo con Israele (in primis i contratti di fornitura di gas naturale nati dopo la faccenda Nord Stream, e qui si capiscono molte cose in merito alla censura in corso sui nostri media).