Titolo originale: Key the Metal Idol
Regia: Hiroaki Sato, Takashi Watanabe
Soggetto: Hiroaki Sato
Sceneggiatura: Hiroaki Sato
Character Design: Kunihiko Tanaka
Mechanical Design: Takashi Watabe
Musiche: Tamiya Terashima
Studio: Studio Pierrot
Formato: serie OVA di 15 episodi
Anni di uscita: 1994 - 1997
Regia: Hiroaki Sato, Takashi Watanabe
Soggetto: Hiroaki Sato
Sceneggiatura: Hiroaki Sato
Character Design: Kunihiko Tanaka
Mechanical Design: Takashi Watabe
Musiche: Tamiya Terashima
Studio: Studio Pierrot
Formato: serie OVA di 15 episodi
Anni di uscita: 1994 - 1997
Assieme al "Giant Robo" di Imagawa, "Key the Metal Idol" è l'OAV più
significativo della prima parte degli anni novanta, quella antecedente
allo storico ed epocale "Evangelion". Significativo in quanto in esso
sono già contenute alcune delle innovazioni tipiche della seconda metà
degli anni novanta e dei primi anni del duemila, il cosiddetto "dopo
Eva" (il quale, a mio avviso, è il periodo più fecondo della storia
dell'animazione, assieme all'anime boom di fine anni settanta e inizio
anni ottanta). "Key the Metal Idol" è quindi un OAV che mescola assieme
le varie tendenze dei suoi anni plasmandole un anno prima di
"Evangelion", dando origine a uno pseudo cyberpunk più cupo e violento
del solito, nonché dotato di un inquietante substrato mistico
intimamente connesso con la tecnologia e il folklore (ma comunque
risibile rispetto a quello ben più sofisticato presente nelle opere di
Oshii, ABe e Nakamura). Nella sostanza, l'opera è più vicina a Imagawa
che a Hideaki Anno: la trama di "Key the Metal Idol" è infatti molto
complessa, e in ogni episodio vengono proposti una certa quantità di
enigmi e di misteri apparentemente sconnessi i quali, al momento delle
rivelazioni finali - in questo caso si parla di due episodi conclusivi
di due ore circa, pieni zeppi di spiegoni e tecnobubbole -
s'incastreranno tra loro formando un mosaico senza alcuna falla.
L'idea alla base del lavoro di Hiroaki Sato è la trasposizione in chiave
cyberpunk del racconto di "Pinocchio"; la protagonista Tokiko Mima è
infatti una sorta di robot senza emozioni, creato da un "Mastro
Geppetto" la cui identità è avvolta nel mistero; quest'ultimo, prima di
morire, le ha lasciato un messaggio in cui la mette a conoscenza del
fatto che la condizione necessaria ad acquisire un corpo di carne e
sangue è quella di riuscire a far provare delle emozioni a trentamila
persone: ovviamente il metodo più veloce per raggiungere tale obbiettivo
sarà quello di diventare una idol di successo in grado di far breccia
nel cuore del pubblico con il canto. La commistione tra cyberpunk e
mondo dello spettacolo è abbastanza insolita e, sotto alcuni aspetti,
"Key the Metal Idol" si dimostra a tutti gli effetti l'antesignano di
"serial experiments lain", del quale anticipa le atmosfere cupe e
opprimenti, il ritmo narrativo lento e poco digeribile, la protagonista
al limite dell'autismo dotata di un misterioso potere di natura mistica,
divina e tecnologica; inoltre, il rapporto tra Tokiko e la complessata
Sakura è molto simile a quello tra Lain e Arisu, ovvero un'amicizia
molto forte, viscerale, a tratti morbosa. In particolare, allo stesso
modo del suo ben più celebre "figlio", l'opera cerca di sondare il
concetto di identità personale in rapporto alla crescita del settore
delle comunicazioni avvenuto nella sua epoca, ma lo fa rozzamente, senza
riuscire a lanciare un messaggio esistenzialista degno di nota. Detto
ciò, bisogna comunque sottolineare che "serial experiments lain" è una
non-narrazione, mentre invece "Key the Metal Idol" è un'opera dalla
trama lineare (benché apparentemente frammentaria) priva di molteplici
livelli di lettura. Dovrà arrivare "Evangelion" per far sì che
l'animazione giapponese venga in parte indirizzata verso le grandi
non-narrazioni.
Pur essendo un OAV per otaku di seconda generazione, "Key the Metal
Idol", molto coraggiosamente, si addentra in un embrionale
sperimentalismo che verrà successivamente sviluppato in molti altri
anime successivi; non a caso la regia è nelle mani di Takashi Watanabe,
lo stesso regista del lynchiano, opprimente, angoscioso e intenso
"Boogiepop Phantom". Molto probabilmente il mondo delle idol - con tanto
di produttore otaku ossessionato morbosamente dalla taciturna e
remissiva protagonista - è stato inserito al fine di far presa sul
target tipico degli OAV del "pre-Eva"; lo stesso finale della serie - a
mio avviso eccessivamente prolisso e posticcio - è abbastanza
accomodante nei confronti degli otaku e delle loro amate idol virtuali.
A livello tecnico l'opera rientra negli standard della sua epoca; a una
regia molto curata si aggiungono delle animazioni talvolta sottotono,
nonché una gradevole colonna sonora (splendide le sigle di apertura e di
chiusura). Non tutti gli episodi della serie sono in egual misura
brillanti, e in alcuni di essi sono presenti inutili prolissità e
leggeri difetti che rendono la visione poco appagante; tuttavia, a mio
avviso, il grande pregio dell'opera sono le sue ataviche e tenebrose
atmosfere, le quali rimandano a quelle agrodolci e incerte sensazioni
che si provavano di fronte ai complessi e fascinosi anime degli anni
novanta.
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