mercoledì 3 maggio 2023

Il vero significato de "La Storia Infinita" di M. Ende


Sono poco avvezzo alla letteratura fantasy, dico da adulto, trentatré anni compiuti a Gennaio (sono del Capricorno ovviamente). Da ragazzino ho letto Tolkien molte volte, ma da adulto ho poi capito che ne ero così ossessionato perché il mondo reale in fin dei conti mi ripugnava e preferivo rifugiarmi in universi fantastici. Mi colpì particolarmente una dedica presente su una copia del Signore degli Anelli all'epoca regalata a una mia parente dal suo fidanzato: "Qui potremmo essere  sempre insieme, al riparo dalle cose brutte". Forse le parole non erano esattamente queste, ma siamo sempre lì. Secondo me scrivere un romanzo, anche se realistico, è il tentativo di fuga per eccellenza: ci si rifugia nel proprio mondo, anche se questo mondo è fatto di rielaborazioni soggettive di ricordi/persone/traumi personali. L'arte, tutta l'arte reale (non quella delle I.A. o le puttanate nerd commerciali che vengono spacciate dai più per arte), è un mero tentativo di riparazione. In pratica, l'autore di un'opera d'arte o letteraria reale sta semplicemente cercando di salvarsi tramite di essa. "Ci si salva da soli e si muore da soli", in fondo (queste parole non vengono da me, ma da una giovane artista che conobbi circa due anni fa: sempre per rimanere in tema fantasy, mi sono rimaste scolpite dentro come se fossero state scritture runiche). 


Cosa c'entra quindi la Storia Infinita con questo discorso? Per capire effettivamente il romanzo, bisogna capire la sofferenza cui è andato incontro il suo autore. Ende ha avuto una vita miserabile: da piccolo ha visto morire i suoi amici d'infanzia e in seguito, da grande, la sua amata moglie. E' sempre stato un'escluso, il più delle volte incompreso, un po' come la maggiorparte degli intellettuali  venuti su in un mondo industrializzato, superficiale, vano e del tutto refrattario alla cultura e all'evoluzione spirituale dell'uomo (si pensi a Momo e ai suoi uomini grigi; si pensi ad Akutagawa o a Morselli, che si erano suicidati per il suddetto motivo). Non per nulla il film de La Storia Infinita col libro non c'entra niente: è un blockbuster escapistico e nulla più, e infatti si capisce l'accanimento/malcontento dell'autore verso di esso


La verità è che La Storia Infinita parte come tentativo di riparazione: Bastiano si rifugia in un mondo di fantasia, il più grande mondo di fantasia mai concepito: un'ipotetica "fantasia finale" (cit.) che allo stesso tempo è una "fantasia che mai finisce" (la parola "infinita" nell'adattamento italiano è del tutto impropria). Tuttavia in seguito ne diventa il tiranno onnipotente, dimenticandosi addirittura la sua forma originaria di ragazzino sfigato e bullizzato. In Fantàsia, Bastiano può essere ciò che vuole: la realtà non gli serve più, il corpo non gli serve più (e qui mi viene in mente serial experiments lain ). Ma ciò comporterà l'isolamento nella sua torre d'avorio solipsistica, escapistica e riparativa. Sarà quindi costretto a tornare alla realtà. Morale: va bene fuggire, ma occhio. E' pur sempre tutta un'illusione, un parto dell'ego. Se vediamo Bastiano come l'otaku tutto preso dalle sue pseudonarrazioni, La Storia Infinita, almeno dal punto di vista del suo messaggio finale, è una sorta di Evangelion ante-litteram: bisogna aprirsi al mondo, anche se il mondo è una merda, anche se le persone feriscono. Il mondo reale alla fin fine è l'unica cosa realmente esistente, e di mio credo che l'arte migliore sia quella che ha un doppio beneficio: il fatto di essere sia riparativa (per l'autore) che educativa (per tutti gli altri)


E' da notare che una società che comunque fraintende completamente un libro del genere, producendo un film che alla fin fine è un giocattolo (ed è amato da tutti in quanto tale), invero è una società composta da tanti Bastiani che non si sono più risvegliati, che non sono capaci di tornare al mondo reale. Evangelion, per fare un esempio ben noto a chi passa da queste parti, o era stato frainteso da tutti, o aveva fatto incazzare tutti, sia in Giappone che all'estero. I bambini non vogliono che gli si dica che i giochi prima o poi finiscono, che il bel gioco dura poco o, ancora peggio, che ogni cosa ha il suo tempo. Per tornare all'educativo romanzo di Michael Ende, chi prova ad appiccicarci interpretazioni esoteriche, misteriche o quant'altro, in realtà non lo ha veramente compreso, e sta cercando di portarlo allo stesso livello di un fantasy fine a se stesso, ossia un palliativo escapistico (perché alla fin fine questo sono le ideologie new age; e di solito tali ideologie, chissà perché, sono molto affini ai titanici miti solipsistici di autorealizzazione personale tipici delle generazioni pre-millennials. Infatti quasi sempre i boomer e i figli dei boomer, ossia i generazione X, sono i più invasati di complotti ed esoterismo new age in assoluto: la cosa non stupisce). 


Cosa dire per concludere? Una cosa molto banale: la vera arte nasce come tentativo riparativo, certamente, ma ha un bonus: essa continua a esistere anche dopo la morte del suo autore. Quindi, in un certo senso, dato che il dolore dell'esistere e dell'avere una coscienza della propria esistenza è quasi sempre dovuto alla perdita, a una qualche forma di impermanenza del proprio essere e dei propri affetti, chi si mette a fare arte in qualche modo ha sconfitto la morte. Certo, l'universo potrebbe pure lui morire, la razza umana potrebbe autodistruggersi o finire spazzata via da un meteorite o da una serie di catastrofi; ma il fatto che un libro o un quadro possano continuare a esistere anche dopo la morte del loro autore, ecco, questo è sempre meglio di niente. 

Detto tutto questo, un sincero abbraccione a Michael Ende. 

2 commenti:

  1. Articolo nel quale mi riconosco in pieno, in primis come lettore de "La Storia Infinita" (ma non solo) che peraltro avevo visto inizialmente nella versione cinematografica e solo in seguito ho letto quella letteraria, scoprendo appunto le grandi differenze di cui parli e i simbolismi non interamente positivi di Fantàsia che a un certo punto si trasforma da sogno a incubo.
    E - sempre come lettore / spettatore - il discorso si estende in modo ampio anche alla visione di anime di pura evasione che alla mia veneranda età (sono parecchio più vecchio di te) guardo esclusivamente per "staccare" un attimo dalla realtà quotidiana pur con la consapevolezza che la realtà quotidiana non può essere diversa da quel che è, né io posso ormai essere diverso io da ciò che sono.
    E vale anche per la mia attività amatoriale come scribacchino e pseudo-fumettista: qualcuno resta sorpreso quando gli dico che pur essendo ormai convinto che non sono abbastanza bravo per essere pubblicato, continuo a creare storie perché mi piace farlo. In effetti ho notato che soprattutto fra coloro che scrivono, lo scopo sembra essere la pubblicazione e la notorietà: se non raggiungono quell'obiettivo, subentra la delusione e mollano la scrittura scegliendo un altra attività per "evadere" dalle tristezze quotidiane. Nel mio caso l'attività è sempre stata quella, inventare storie. Mi aiuta a perdermi nei micromondi che creo per qualche ora, e quantunque si tratti di un hobby parzialmente sconsigliabile (come tutte le attività che fanno temporaneamente perdere il contatto con la realtà) se non altro è meno pericoloso che riempirsi di alcolici o ricorrere a altri alcaloidi, o guardare i programmi di Barbara D'Urso.

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    1. Ehilà, penso che tu faccia soltanto bene a scrivere senza avere il miraggio del successo. Anzi, secondo me qualsiasi attività umana andrebbe perseguita in modo privo di aspettative. Scrivere alla fin fine è una forma di studio del Sé, un modo per ripararsi e anche capirsi. Nel mio caso comunque ho ricevuto feed positivi da alcuni editori ma poi mi hanno fatto notare che sono un signor nessuno (cosa in realtà neanche così vera, dato che questo blog è cmq frequentato) e che quindi devo pagarmi tot copie o trovarmi degli sponsor in grado di pagarle (e non sto parlando delle solite case ed. a pagamento, ma di case ed. "normali"). Quindi molto probabilmente autopubblicherò.

      Conosco cmq - indirettamente, è un conoscente di conoscenti - un famoso scrittore che nonostante il suo "successo" non è che guadagni così tanto o trombi così tanto. Non siamo più nell'epoca dei vari Bukowski e co. Il "successo" molto probabilmente ora lo si ottiene sparando cazzate sui social mettendo ogni tanto una bella foto dei propri addominali su Instagram.

      Ciauz

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