lunedì 31 maggio 2021

Le pseudo narrazioni: osservazioni di un lettore

Devo ammettere che il post sulla definizione di pseudonarrazione ha generato un certo dibattito tra i lettori. In particolare un certo Seele94 penso che abbia donato al blog un commento molto onesto e lucido che riporto qui per dargli maggiore visibilità:

 

«Credo che diventare adulti senza aver avuto la possibilità di vivere una vita affettiva e sentimentale decente, comporti tutta una serie di difficoltà e di problematiche. Come si manifestano tali problematiche? Difficile dirlo, visto che ogni persona reagisce diversamente dinnanzi al medesimo dolore, alla medesima mancanza. Arrivare a 30-40 anni suonati con ancora l'idea in testa della donna angelo, della relazione adolescenziale turbolenta e coinvolgente, della coppia tanto affiatata quanto affamata di felicità, secondo me non è altro che un meccanismo inconscio atto a mettere una pezza su quella che fino a quel momento è stata una vita non vissuta, fatta di storielle sentimentali assenti o molto precarie: una non vita, fondamentalmente. La verità è che se non si ha avuto la possibilità di diventare adulti tramite un percorso funzionale, ci si arriverà in modo "sbagliato", con tutte le problematiche e i disagi che esso comporta. Giunti a 30 anni in tale modo, riuscendo a mettere pezze più o meno grandi alle proprie lacune, ci si ritrova ad avere (generalmente parlando) una posizione socio-economica consolidata, e si è finalmente appetibili dopo anni di invisibilità. Quello che, tuttavia, si può raccogliere ora è ben diverso da quello che si poteva raccogliere qualche anno prima, quando la gente si avvicinava a te mossa da un genuino interesse verso la tua persona, piuttosto che da motivazioni di tipo convenzionale. Ciò che si può raccogliere in questo tipo di scenario diventa così tanto misero, che la pseudonarrazione funge da escapismo; un modo come un altro per tirare avanti ignorando quella che è una realtà, per molti, inaccettabile o troppo dolorosa.» [Seele94] 


Dopo un po' di tempo, il lettore mi ha informato di aver scritto un articolo derivante dalle (sue) riflessioni maturate durante la lettura del mio post. Tale scritto lo potete reperire qui, sul suo blog personale, e dato che potrebbe fornire spunti di riflessione interessanti, con la sua autorizzazione lo riporto per intero a seguire.

 

Pensieri sconclusionati con un pizzico di depre [by Seele94, autore del blog La fortezza di Iserlon]


Ho deciso di affrontare dei temi a mio avviso molto importanti, distaccandomi un po’ da quello che è stato (almeno fino a questo momento) lo scopo principale di questo blog. A differenza delle altre volte farò a meno di scalette più o meno rigide, in modo tale che possa riversare un po’ tutto quello che mi passa per la mente.

Alcuni tra i lettori più giovani non ricorderanno il periodo storico, risalente a qualche anno fa ormai, in cui svariati appassionati di anime e manga si identificavano come otaku. Tale definizione, ormai riconosciuta quasi all’unanimità anche qui in occidente come dispregiativa, inizialmente fu motivo di vanto per molti appassionati. Ciò che distingue un otaku da un semplice appassionato, è l’ossessione verso una determinata cosa. Ma a prescindere dal tipo di connotazione che possa avere il termine per alcuni, per quale motivo una persona diventa ossessionata? Le ragioni sono sicuramente tante, ed io non ho assolutamente la presunzione di poterle elencare tutte, tanto meno di poterne parlare in modo approfondito. C’è tuttavia un aspetto che a mio avviso si correla strettamente con l’ossessione degli anime e dei manga, e di cui vorrei parlare in modo molto approfondito all’interno di questo articolo: la potenza della narrativa.


Quando (e perché) la narrativa diventa “dannosa”?

La narrativa diventa devastante e pericolosissima nel momento in cui è capace di andare “oltre”. Nel momento in cui lo spettatore o il lettore si convince che le sue opere preferite, i personaggi ad esse correlati, i messaggi, le situazioni ecc… siano applicabili e validi anche nel mondo reale. In tale ottica credo che poche altre narrative siano pericolose come quelle degli anime, in quanto fortemente immersive ed edulcorate. Tutto ciò a mio parere è un pregio, non fraintendetemi, quello che rischia di diventare un problema non risiede tanto nel media in sé, quanto nella mente di chi lo fruisce.

C’è anche da dire che in questo senso è opportuno fare le dovute precisazioni. Un’opera come Akage no Anne (o più generalmente i meisaku e non solo) non è strutturata in modo tale da creare un universo alternativo più o meno efficace con la sua struttura, le sue regole, i suoi personaggi, i suoi messaggi. La narrativa di Takahata Isao è basata sul ricalcare la realtà in maniera molto fedele, quindi è pressoché impossibile trarre da essa un qualche messaggio distorto, com’è altresì impossibile fare confusione tra i due mondi (realtà e narrativa). E’ difficile (io direi impossibile) che Takahata e le sue narrazioni vengano preso a modello da un otaku per un qualsivoglia tipo di escapismo. Sarebbe, a voler fare un esempio stupidissimo, come uscire da una padella rovente per buttarcisi all’interno di un’altra padella altrettanto rovente. Il problema sorge quando si passa da una padella rovente ad un bagnasciuga accarezzato da una gentile brezza fresca.

L’otaku non è contento della sua realtà: la trova soffocante, insulsa, poco degna di essere vissuta, motivo per cui sfrutta la narrativa come escapismo; spesso degenerando anche in hikikomori. “Il mondo non mi piace, non è giusto, quindi io non lo accetto e vivo in maniera alternativa”. Un fenomeno tipico di realtà moderne e benestanti, in cui non vige la preoccupazione per la sopravvivenza che è garantita alla maggior parte delle persone. Quando i bisogni primari sono soddisfatti, si cerca un modo di andare oltre, ed è qui che subentra la necessità ed il bisogno di essere amati, di sentirsi accettati o più semplicemente di sentirsi parte di una realtà. Una realtà che non li accetta, una realtà che non viene accettata, creando una specie di circolo vizioso.


Cosa spinge un otaku ad alienarsi così tanto dalla realtà e a trovare così tanta soddisfazione nella narrazione anime? Si potrebbe stare ore a discutere su quanto le pressioni sociali siano devastanti nei confronti dei giovani: che ad un certo punto scelgono di ritirarsi dal gioco in quanto non riescono più a gestire la forte pressione di realizzazione sociale. Così come si potrebbe parlare del consumismo e dell’edonismo della società, che impongono modelli sempre più difficili da raggiungere, tagliando volta per volta una fetta sempre più ampia di persone dalla giostra sociale. Così come si potrebbe stare a discutere ore ed ore su quanto una famiglia disfunzionale possa essere devastante per un ragazzo che, timidamente, cerca di tracciare una rotta all’interno della sua vita (la solita e tipica situazione della madre troppo apprensiva e il padre assente).

Tuttavia credo che, non so se volutamente o meno, la questione più importante venga sempre messa in ombra, quasi come a volerla nascondere del tutto. Mi riferisco alla componente sessuale, affettiva e relazionale, che per molti giovani diviene sempre più una vera e propria chimera. Per molti ragazzi le prospettive di vita da questo punto di vista, sono così scarse che rinchiudersi in casa non appare una cosa così deludente rispetto alla svariate e misere alternative (prostituzione, relazioni vuote, continui rifiuti). Non è di certo un caso se il mercato anime, soprattutto negli ultimi decenni, abbia investito tantissimo su modelli di personaggi idealizzati che incarnassero al meglio non solo i desideri erotici dello spettatore, ma anche e soprattutto un background caratteriale e comportamentale impostato in un certo modo, difficilmente appartenente al mondo reale. Welcome to the NHK ad esempio propone una “ragazza angelo” che, nonostante tutti i problemi che si porta dietro, riesce a tirare fuori dai guai il classico ragazzo timido, introverso, insicuro, senza che egli facesse chissà che cosa per poter meritare il suo interessamento. Di opere così ce ne sono a bizzeffe, serie che non intendo assolutamente sminuire, ma è bene rendersi conto che tali meccanismi nella realtà sono più unici che rari.

 

Incapacità di diventare adulti

E’ abbastanza curioso notare come si sia passati, nell’arco di qualche decennio, da Uchuu Senkan Yamato e tutte le sue illusioni basate sulla rivincita della seconda guerra mondiale, ad anime in cui la rivalsa principale è quella di poter avere un legame speciale con la propria fidanzata. C’è evidentemente una somma di problemi personali e sociali che caratterizzano l’insurrezione di tali desideri espressi in modo così forte dalla narrativa degli ultimi anni.

Uno dei problemi è dovuto alla disgregazione del tessuto sociale, tipico della società postmoderna. Una società che si sposta sempre di più su concetti illusori come la crescita personale, la scalata gerarchica, l’edonismo sfrenato che trova riscontro in squallide app dating e social network. Tutto ciò a discapito della genuinità dei rapporti interpersonali, che vengono del tutto svuotati dalla profondità d’animo. Tutto è finalizzato al cercare di apparire al meglio, risultando dei vincenti agli occhi degli altri. In quest’ottica le persone divengono veri e propri strumenti al soddisfacimento di tale aberrante fine. Tale situazione impoverisce i rapporti umani e li rende dei simulacri, basati su un rapporto di mutua convenienza. Il secondo, che a mio parere è strettamente consequenziale al primo, è basato sull’incapacità dell’otaku di voltare pagina e di diventare adulto. Non è di certo un caso se il sogno sentimentale più frequente tra questa gente sia una ragazza adolescente, mediamente sui 16 anni: sessualmente insicura, mentalmente matura, capace di stare al mondo, ma bisognosa di attenzioni e premure. Una donna che ha bisogno di quel tassello per potersi realmente sentire una persona completa: e quel tassello è costituito dallo sfigato (inteso come persona socialmente debole e poco apprezzata, senza connotazione negativa da parte del sottoscritto), dal ragazzo o uomo illuso che si getta a capofitto in queste “pseudonarrazioni” (inteso come narrazione simulacro).

La cosa più triste è che spesso si arriva a 30-40 anni nel corpo, ma adolescenti nell’animo. Con un bagaglio di esperienze sentimentali precario o nullo, avendo in testa ancora la storia da sogno con una ragazza bellissima, giovanissima, intelligente e caratterialmente affine con la propria persona. Secondo me tutto questo non è altro che un meccanismo inconscio atto a mettere una pezza su quella che fino a quel momento è stata una vita non vissuta, fatta di storielle sentimentali assenti o molto precarie: una non vita, fondamentalmente. La verità è che se non si ha avuto la possibilità di diventare adulti tramite un percorso funzionale, ci si arriverà in modo “sbagliato”, con tutte le problematiche e i disagi che esso comporta. In tale ottica credo che la componente affettiva, sessuale e sentimentale siano fondamentali per poter diventare adulti. E se questa cosa risulterà assente fino ad un’età importante, ci sarà sempre un pezzo mancante che vorrà essere riempito in un modo o nell’altro.


E’ fondamentale capire questo passaggio affinché si possa comprendere quanto sia forte ed intenso il bisogno di escapismo nei confronti di tante persone. A tutto ciò, purtroppo o per fortuna, ci sono delle alternative. Non tutti fuggono dalla realtà: alcuni ne ignorano del tutto i meccanismi, altri la comprendono e decidono di affrontarla. Coloro che la ignorano sono convinti che prima o poi la loro vita svolterà, e che saranno le loro azioni, i loro sforzi, il loro impegno smodato a produrre dei risultati soddisfacenti. Mi spiace essere disfattista e proporre una visione del tutto negativa della realtà, tuttavia credo che nella maggior parte dei casi la cosa si tramuterà in un nulla di fatto. Sarebbe bello se la vita fosse come un distributore in cui inserisci virtù ed esce fuori un quantitativo proporzionale di felicità, ma basta aver vissuto un minimo ed avere un po’ di cervello per capire che spesso non sarà così che andranno le cose.

L’altro modo è affrontare la realtà, ammesso che sia possibile. Come ho già detto precedentemente, è molto difficile riuscire a voltare pagina come se una persona avesse la bacchetta magica. Metaforicamente parlando sarebbe come salire tre piani di scale senza fare i gradini uno alla volta, e ritrovarsi magicamente in cima. Ma facciamo finta sia possibile: facciamo finta che, tramite la forza di volontà o con un aiuto psicoterapico, si riesca a risolvere tutti i propri complessi e ad affrontare la propria condizione, diventando adulti saltando l’adolescenza e facendo finta che l’amore mai vissuto non sia stato poi un grosso problema. Affrontare il fatto che l’amore della vita e quel rapporto speciale non solo non ci sono mai stati, ma molto probabilmente non ci saranno mai e che, fino alla fine, bisognerà fare i conti unicamente con sé stessi e con la propria miseria.

Interiorizzare definitivamente che ciò che si potrà avere sarà un rapporto sentimentale vuoto, basato unicamente (o quasi) su una convenienza reciproca, e non sull’amore e sulla comprensione, oppure sulla “verità”, termine abusato in Yahari ore no seishun love kome wa machigatteiru. Quasi a voler sottolineare che ottenere quel tipo di legame sia più unico che raro al giorno d’oggi, visto quanto siano falsi e insulsi i rapporti medi: capaci di crollare alla prima difficoltà o folata di vento. Del resto basti anche soltanto guardare quanto sia alta la percentuale di divorzi e quanta infelicità e frustrazione ci sia nelle coppie medie che si sono accontentate di quello che passava il convento, della realtà, affrontandola e scendendo a patti con essa. Scappare e rifugiarsi in queste pseudonarrazioni, affrontare la vita, o ignorarla stupidamente; sembra che non vi sia poi chissà quale differenza sostanziale sul risultato che esse producano: miseria.

 

Come se ne esce?

Non se ne esce. La società attuale non dà vita facile alle persone un po’ più sensibili e bisognose di affetto, è necessario trovare delle strade alternative. A mio parere il modo più efficace di far fronte a tale situazione è l’equilibrio. Un equilibrio dato dalla consapevolezza di tutto ciò che ci circonda, agendo sempre nell’ottica di ottenere il massimo risultato con il minor ritorno di sofferenza possibile. Non curandosi troppo del prossimo che non ha voglia di avere a che fare con noi, ma al tempo stesso imparando a ricompensare quei piccoli gesti di affetto di coloro più meritevoli di attenzione. Tenendo sempre bene a mente che i rapporti che si vengono a creare non sono mai basati su amore incondizionato, verità e genuinità, ma su convenienza (qualsiasi essi siano). Non per questo bisogna precludersi l’opportunità di vivere una relazione sentimentale qualora se ne abbia la possibilità o un qualsiasi altro rapporto, ma è sempre bene essere consapevoli che qualora l’equilibrio di convenienza reciproca si disallineerà, automaticamente il rapporto cesserà di esistere. Tale modo di vedere la vita porta inevitabilmente ad una svalutazione dei rapporti umani, ma è una diretta conseguenza della realtà in cui viviamo, oltre che un modo molto efficace per far fronte ad una sofferenza tangibile come la mancanza di affettività.

E’ fuori di testa pensare di riuscire a costruire un legame con una persona come quelli che si vedono negli anime, ma non per questo bisogna sminuire tali opere. Vanno prese con la giusta filosofia, e bisogna avere quell’intelligenza ed esperienza necessarie per imparare a distinguere bene i due universi. Sul concetto di equilibrio ci viene ancora in aiuto il nostro caro Takahata Isao, con Akage no Anne e le sue innumerevoli metafore sul passaggio dall’infanzia all’età adulta. Diventare adulti non risiede tanto nell’abbandono delle proprie fantasie, quanto più che altro nell’accettazione che le medesime siano tali e basta, e va benissimo così. Anche perché vivere una vita così tremenda senza anestetizzarsi un minimo, è una follia poco adatta ai deboli di cuore.

 

Non potrò mai dimenticare la splendida cima che si stagliava sopra quegli orizzonti. Comunque nessuno potrà mai privarmi del diritto di vivere nella mia fantasia, o di ritagliarmi uno spazio nel mondo dei sogni.


Vero anche che è difficile dire “tutto è bene, quel che finisce bene” quando non hai avuto le stesse fortune (nelle sfortune) di Anne Shirley, ma in questo senso la vita è poco equa e lo sforzo da fare varierà da persona a persona. In ogni caso credo che la comprensione di ciò che ci circondi sia la chiave. Le illusioni fanno male, non servono a nulla, meglio aprire gli occhi e fare a botte con la realtà cercando di conoscerla il più possibile, piuttosto che andare alla cieca ingozzandosi di speranze che mai verranno soddisfatte. Accettare che la storiella che con l’impegno si raggiunge qualsiasi (o quasi) risultato sia solo una favoletta, e capire quando le cose dipendono da noi e quando invece sfuggono al nostro controllo. Togliersi i propri sfizi, qualsiasi essi siano (nei limiti della legalità e del buon senso, ovviamente), godersi la vita per quel poco che offre e assaporarlo al massimo, invecchiare, finire in una cassa da morto, e tanti saluti. Ma con la consapevolezza che più di fare quel che si è fatto, non era possibile fare.

30 commenti:

  1. Qualcuno disse che "una fortuna nella sfortuna fa del bene, una sfortuna nella fortuna fa del male". Non è un calcolo algebrico. Sembra proprio che a contare nella psiche del soggetto sia solo il segno del "delta". In questo senso, fortuna e sfortuna sono percezioni soggettive e come tali puramente relative. Di assoluti non ce ne sono. Neanche qui.

    Il post è brillante, a mio dire. I grassetti sono focali, ma spesse volte le verità più crude stanno ai margini dell'area di fuoco, subito lì, tra le righe, quasi nel sottotesto. Un complimento e un ringraziamento.

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    1. Grazie a te, Shito. Concordo con te sulla presa di coscienza relativa alla percezione della realtà. Restando in tema, e parlando sempre di percezione: l'anaffettività di chi vorresti fosse un caro, viene percepita in maniera così tanto diversa dalla gente, che mi lascia esterrefatto il più volte. C'è chi, come me, ne fa una malattia; chi invece si fa una risata e si gode l'effimero semplicemente per quello che è, senza aspettarsi null'altro. In questo senso credo che avere "fame" di amore e di affetto, sia quasi un problema da risolvere in un modo o nell'altro, laddove non sia possibile alimentarlo in maniera sufficientemente soddisfacente.

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    2. " In questo senso credo che avere "fame" di amore e di affetto, sia quasi un problema da risolvere in un modo o nell'altro"

      Dopo periodi intensi di digiuno di qualcosa, la psiche tende a sovracompensare e ad arcuire la sensazione di "fame".

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  2. >> Prima che shito rincintrullisse in tutto ne disse una buona che ancora conservo: l'amore non e mai a convenienza.

    Intendi fino a una settimana fa?

    https://www.pluschan.com/topic/6527-il-massimo-sforzo/?do=findComment&comment=469149

    In ogni caso sì, il disinteresse reale (mancanza di convenienza) nel rapporto è sempre uno dei pilastri della mia concezione di amore.

    Quello credo vanga per tutti.

    La necessità ovvero il bisogno esistenziale è invece un ambito più delicato, e credo che emanciparsene del tutto sia cosa data solo a certi veri mistici.

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  3. Il disinteresse reale, come lo definisce Shito, è un concetto molto bello. Peccato che nella realtà non trova validità alcuna. Le persone staranno con noi fino a quando riusciranno a trarre dal rapporto (qualsiasi esso sia) uno o più vantaggi. Nel momento in cui la bilancia pende da una delle due parti, il rapporto inizierà a scricchiolare e nei casi più gravi si può anche sfaldare definitivamente. E' dura accettare la realtà, ma purtroppo distogliere lo sguardo idealizzando i rapporti non serve a molto. Pure a me piacerebbe la fidanzatina come in Welcome to the NHK, ma realisticamente parlando una ragazza è attratta da me per i miei lineamenti del volto, è interessata a fare uno stile di vita di un certo tipo, sistemarsi, soddisfare il proprio bisogno di maternità ecc... Non è un discorso sessista, alla fine anche l'uomo agisce allo stesso identico modo.

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  4. Capisco che siamo scimmie un po' evolute ma ridurre il rapporto umano solo in una questione d'istinti è molto riduttivo e mina alla complessità della psiche umana. Spesso il disinteresse nasce perché siam troppo portati a dar ascolto ai nostri istinti e non c'è più nulla reale di essi, mi verrebbe da dire che pure la necessità di una ragazza ideale sia nato sotto questo impeto ed è proprio grazie a mille lotte contro l'emarginalizzazione, ovvero di aspettative che surfano sull'onda naturalistica che finalmente abbiam raggiunto uno stato di emancipazione di esse. Poi ci son tanti esempi di relazioni che vivono comunque nonostante i compromessi e si potrebbe pure dire che lo fanno perché hanno paura delle conseguenze del separamento, ed il matrimonio stesso si potrebbe dire un collante che garantisce una relazione a discapito di cosa ci dice il cazzo, che attenzione, ascoltarlo non fa bene, non importa quello che dicono alfa, beta e incels. Si potrebbe entrare nel reame biologico e vedere l'essere umano come essere organico messo in moto da reazioni chimiche, vedendo l'essenza finalistica del tutto. Ma secondo me bisogna riconoscere che pure il nostro intelletto che riesce a contrastare questi istinti, fa parte di quel pentolone e pretendere di essere di più equivarrebbe al pretendere di sganciarsi dalla natura, ma questa roba è impossibile visto che se la natura non ci fosse noi non esisteremmo. Qua faccio gioco di una narrazione: immaginati come quell'eroe che ad un certo punto del suo viaggio si deve scontrare con la parte oscura di sé. Ogni atto bisogna viverlo come se ci tenessimo che la parte lucente trionfi.

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    1. Certo, ma infatti io sono il primo a dire che è un modo molto limitante di vedere la realtà, ma quali alternative ci sono? Le relazioni sociali, le famiglie, i rapporti sentimentali, non sono più quelli di una volta (ammesso che prima fossero migliori, si intende). Le statistiche fanno paura, 1 matrimonio su 2 che fallisce è davvero assurdo, senza contare tutte quelle coppie che stanno assieme per non dover subire le (tristi) conseguenze di un'eventuale separazione o divorzio.

      Bisogna essere fortunati: trovare quella persona disposta a fare dei "sacrifici". Quella persona disposta a non gettare tutto alle ortiche alla prima persona più bella che fa la corte o alla prima difficoltà interna. Ma realisticamente parlando quanto è difficile trovare una persona del genere? In tutti gli altri casi bisognerà pure trovare un modo per vivere, o no?

      Non è che si deve aspettare in eterno quella persona o quella situazione che potrebbe anche non arrivare mai.

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    2. Seele io credo che le donne stiano venendo diseducate a concedersi.

      Spesso trovare quello ricco, bello, affermato etc e solo un alibi per nkn dire sono innamorata. E drammatico.

      La teoria di shito... Amare senza aspettarsi nulla e pericolosa perché suffraga tale andazzo. E a mio avviso porta solo infelicità, a entrambi nella coppia.


      Detto ciò, fai del tuo meglio. La mia idea e che in Italia si stia un po peggio che altrove perché siamo notoriamente un popolo avaro, ed kl donarsi e l'opposto dell'avarizia.

      Sempre shito - che post addietro mi tacciava di conflitto con la mia nazione non troppi anni fa rifletteva sul verbo fottere he in italiano e anche fregare.

      Chi si impegna e non ottiene niente e fottuto. Vale in amore e vale nel lavoro. C'e un solo modo per non essere fottuti, giocare al ribasso.

      Le conseguenze personali ancor prima che lavorative sono drammatiche

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    3. "Ma realisticamente parlando quanto è difficile trovare una persona del genere?"

      Penso che sia semplicemente una questione di fortuna. Concordo sul fatto che viviamo in un tempo di merda, ma esistono ancora oasi di felicità. L'altro giorno ho conosciuto la fidanzata di un mio amico. Innamorati, conviventi, ben disposti l'uno nei confronti dell'altro. Felici e con passati personali credo perfetti, senza alcuna stortura.

      Però sinceramente credo che le persone sfortunate, volendo anche solo in amore, vuoi per mere causalità vuoi per traumi passati che in qualche modo li hanno resi feriti/debilitati già prima ancora di mettersi in gioco, nel momento in cui si sforzano lottando contro corrente, assumono più valore di quelle persone a cui la fortuna ha già dato tutto senza troppo sforzo. Poi si sa benissimo che i mostri peggiori vengono fuori dal vizio e dalla mancanza di disciplina (sopratutto interiore). E torniamo di nuovo alla nocività del benessere assoluto.

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    4. "mi verrebbe da dire che pure la necessità di una ragazza ideale sia nato sotto questo impeto"

      Di solito gli idealismi vengono fuori in potenza quando devono colmare vuoti molto profondi. Mi viene in mente tipo l'Aum Shinrikyo, che guardacaso è figlia della caduta del muro di Berlino, come faceva notare Prandoni. Ma gli esempi sono infiniti. Nel nostro caso è il consumismo/industrialismo che uccide fortemente ciò che è umano. Da qui le metanarrazioni. Quando poi profonde latenze personali e spirituali, coadiuvate da tutto un campionario ormai ben noto di storture sociali e familiari, si mescolano al nulla interiore ontologico, hai l'hikikomori che aspetta la ragazza angelo che lo salvi.

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    5. La penso anche io così...

      Poi in realtà ognuno e un povero cristo disgraziato.

      Anche una Ragazza bellissima, intelligentissima, senza traumi famigliare o non si concede a nessuno (>>dramma) o si fa scopare da uno, in quel momento si rimette alla volontà del tizio, che se si stanca /ne preferisci un sltra la farà sentire carta igienica.

      Un maschio anche perfetto etc o si fa solo le seghe (=dramma), o le paga e basta (=dramma), o si innamora di qualcuna e fa più del dovuto per lei, se lei lo delude e un dramma..

      Anche tra persone immacolate l'amore e tensione e drammaticità.
      Mi ha colpito la frase dell'ex moglie di. Bezos... Tipo darò tutto in beneficenza finché la cassaforte sarà vuota.

      Nei sentimenti e in gioco il se. E sempre drammatico.

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    6. >Chi si impegna e non ottiene niente e fottuto. Vale in amore e vale nel lavoro. C'e un solo modo per non essere fottuti, giocare al ribasso.

      Le conseguenze personali ancor prima che lavorative sono drammatiche

      Purtroppo o per fortuna non la penso così, capisco che in Italia abbiamo la gerontocrazia che si sente a fiotti e sono uno di quelli che se ne andrebbe se ne avesse l'occasione per come son messo. Ma per me vedere il fallimento come un'inculata totale è dannoso per te stesso, perché non vedi meriti in esso, ma è proprio attraverso il fallimento che possiamo assumerci responsabilità e cercare di fare meglio.

      Per entrare nel personale, a me piacerebbe inventare storie tramite disegni, ma so già che nell'ambito lavorativo avrei poche chance, allora il problema dov'è? Secondo me sta nel proiettare il successo nelle storie altrui, poco si sa di chi non ce la fa ma i vincitori hanno tutti la loro storia da raccontare e si vedrà sempre una causa intrinseca a loro da appioppare alla causa dei nostri possibili fallimenti, com'è che diceva Tolstoj? Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
      Quindi trova il tuo modo per andare avanti e non cercare come fare successo, quello verrà per puro caso.

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    7. >Di solito gli idealismi vengono fuori in potenza quando devono colmare vuoti molto profondi. Mi viene in mente tipo l'Aum Shinrikyo, che guardacaso è figlia della caduta del muro di Berlino, come faceva notare Prandoni. Ma gli esempi sono infiniti. Nel nostro caso è il consumismo/industrialismo che uccide fortemente ciò che è umano. Da qui le metanarrazioni. Quando poi profonde latenze personali e spirituali, coadiuvate da tutto un campionario ormai ben noto di storture sociali e familiari, si mescolano al nulla interiore ontologico, hai l'hikikomori che aspetta la ragazza angelo che lo salvi.

      Concordo sull'industrializzazione. Però credo che la causa dell'hikkikomori siano ancora più complesse. Un mio amico mi ha detto per esempio che usava il lavoro per fuggire dalla sua famiglia. Condivido che il lato sentimentale carente sia un fattore importante, ma ci son pure tante piccole accezioni che mi lasciano col giudizio sospeso, ma di sicuro vanno ricercate nel contesto sociale, non solo familiare.

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    8. Società e famiglia sono le due facce della stessa medaglia. Se è debole una delle due, è debole anche l'altra. Se ad esempio ci sono genitori inetti, è a causa del contesto sociale in cui sono vissuti. E così via.

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    9. Però rimane ancora una cosa complessa, si possono ricercare tutte le cause possibili ma c'è sempre qualcosa di non incastrante in un individuo con il suo contesto sociale, ovviamente dipende sempre dall'individuo. Ho letto un libro che si chiama The Blank Slate e per quanto sia ideologicamente rifritto penso che abbia almeno il merito di mostrare le cause per le quali non bisogna pedare troppo la concezione Lockiana, ci sarebbe tanto da migliorare nell'epoca odierna ma credo che dove siamo arrivati oggi sia stato un fattore che ha aiutato a sorreggere la quantità di individui che abita il pianeta che al tempo stesso ironicamente può essere pure causa della miseria di un individuo, per la sua natura competitiva. Mi viene in mente il film The Man Who Stole the Sun che parla di questo professore che si fa una bomba atomica a casa e alla fine del film, prima di farla esplodere, se ne esce con una frase che la società (giapponese) è morta, però secondo me dietro c'è sempre una causa di non aderimento a certi ideali, credo che il destino dell'uomo è così tanto complesso che è impossibile da affibbiare a un solo fine.

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    10. Comunque era un collega di un mio amico, non il mio amico, mi scuso per l'errore.

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    11. Certamente. Uno dei tanti problemi è la nostra natura di animali con coscienza, che rende le cose molto complicate. Ma in fondo siamo stati creati dalla natura per sopravvivere, non tanto per vivere. Questo è uno dei motivi per i quali le emozioni negative sono così forti nell'uomo: puro istinto di conservazione. La negatività però non porta davvero da nessuna parte, e l'ho visto sulla mia pelle.

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    12. >Società e famiglia sono le due facce della stessa medaglia. Se è debole una delle due, è debole anche l'altra. Se ad esempio ci sono genitori inetti, è a causa del contesto sociale in cui sono vissuti. E così via.

      Certo: anche perché la società non è altro che il macrocosmo, composto da tante piccole cellule/unità costituite dalla famiglia.

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    13. >Certo: anche perché la società non è altro che il macrocosmo, composto da tante piccole cellule/unità costituite dalla famiglia.

      Eppure ogni individuo dentro la famiglia fa la differenza, tipo quando se n'è andato mio padre anche se ne sento la mancanza non posso negare di aver riscontrato un aumento positivo della mia autostima, poi ci son stati altri fattori. Ma non credo che la società sia un concetto così hegeliano per la famiglia.

      >Certamente. Uno dei tanti problemi è la nostra natura di animali con coscienza, che rende le cose molto complicate. Ma in fondo siamo stati creati dalla natura per sopravvivere, non tanto per vivere. Questo è uno dei motivi per i quali le emozioni negative sono così forti nell'uomo: puro istinto di conservazione. La negatività però non porta davvero da nessuna parte, e l'ho visto sulla mia pelle.

      Hai detto proprio una bella cosa.

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  5. Seele94: so di essere sempre molto fraintendibile, e me ne scuso, ma se puoi cerca di non fraintendermi. Ti ho commentato dicendo che l'emancipazione persino dai mutuali bisogni esistenziali è cosa da asceti mistici. Chiaramente non parliamo di persone normali, come non credo né di te né di me. Per contro, credo concorderai che i profondi bisogni esistenziali della persona, quali la necessità di realizzarsi nell'amore di un* compagn*, il desiderare ardentemente la serenità di chi vogliamo proteggere (avere cura), il desiderio di avere un proprio alveolo familiare, o persino la oggi tanto vituperata necessità di aderenza a taluni canoni culturali (diversi per ciascuna cultura) siano cose ben diverse dalle più spicce, grette e volubili "convenienze alla bisogna". Essenzialmente, penso comunque che l'amore reale, persino "il grande amore", sia sempre essere la persona che serve a un'altra persona, nel momento in cui le serve. Ma "servire" include una gamma molto vasta di necessità, dalle più profonde e spirituali alle più meschine e materiali. Siamo sempre corpo e spirito (credo Fedda mi segua, qui), e siamo pur esseri sincroni soggetti al mutamento, ma io dico che tra i grandi mali della postmodernità è proprio la superficialità materialistica, Chiaramente questa tendenza è proprio la negazione del sentimento, che è facoltà spirituale per definizione. Ma non è necessario essere mistici asceti per capirlo: basta trovare la gioia in un sorriso dell'amata, piuttosto che lo sfogo di una "scopata" (tanto per far rima).

    /\/\/\/\/

    AkiraSakura: il dialogo nella vignetta iniziale mi spaventa, perché "scolpire il mondo a nostra foggia", non è possibile. Quella vignetta è principio di realtà contro principio di piacere, ovvero sanità mentale contro principio di pazzia. Negli effetti, l'unica scelta è in cosa e per quanto adeguarsi al mondo che è, e che "non cambia in base ai nostri desideri". Il compromesso è necessario, e neppure la scelta del livello minimo di compromesso necessario è rimessa al singolo. Sopra quel minimo, che è diverso per ciascuna vita, forse si apre un minimo spiraglio di possibilità di scelta. Se ce la si fa. Forse.

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    1. Si ho capito, ma sono tutte cose che non si fanno da soli. Se dall'altra parte non c'è la stessa frequenza d'onda su cui viaggi te, puoi anche far coadiuvare alla perfezione materia e spirito, ma non si risolve nulla perché la coppia si tiene in bilico grazie allo sforzo di due unità.

      Avere un proprio equilibrio è fondamentale laddove incontri quella persona che è capace di accettare ed apprezzare la tua essenza, ma ripeto: in tutti i casi in cui non è così (a mio avviso molti più di quel che si immagina) è necessario trovare un modo alternativo per vivere. Si sarà felici? Certo che no, ma è inevitabile.

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    2. "Essenzialmente, penso comunque che l'amore reale, persino "il grande amore", sia sempre essere la persona che serve a un'altra persona, nel momento in cui le serve. "

      Tutto ciò che esiste nell'universo è frutto di caso e necessità, diceva Democrito.

      \_/\_/\_/

      Nella vignetta di Narutaru c'è tutta la filosofia dell'Aum, che alla fin fine è una metanarrazione. Eppure in sé contiene già i solipsismi individuali dei Chuunibyou. Se devo comunque essere sincero in me c'era una marcata componente di inaccettazione della realtà, e questo è uno dei motivi per cui ero così legato a quel manga.

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    3. Quello che hai scritto con la tua solita (e preziosa!) onestà mi fa pensare a questo: essere insoddisfatti della *propria* realtà è una cosa. Ovviamente anche questa insoddisfazione delle proprie condizioni può condurre a mal partito, ma in sé non ha nulla di psicotico, e può divenire il motore di un cambiamento reale – e positivo – del sé. Tuttavia, proiettare la propria insoddisfazione per il proprio mondo su tutto il mondo è forse già una forma di nevrosi borderline molto tendente alla psicosi. Quindi sì, capisco perché parli di chuunibyou.

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  6. Penso che tu abbia ragione. D'altro mi pare anche che la pessima educazione sentimentale di quest'epoca, volta a esaltare miti di gretto materialismo e narcisismo, che non possono che ritardare grandemente la crescita interiore di ogni soggetto, non faccia altro che "remare contro" e rendere un'ampia fetta di umanità sempre più refrattaria alla comunione spirituale, all'affetto reale, e a tutte quelle cose la cui assenza temo si chiami "solitudine2 e "disperazione", variamente dissimulata o sedata nei modi più vari, fantasiosi e atroci.

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  7. Son tornato alla dissertazione sul "meta-" per motivi contingenti, e vorrei chiedere: l'(1) e (2) nel testo sarebbero i riferimenti del significato di "meta-" come complemento di argomento? In tal caso vorrei segnalare che non funzionano. Ciò soprattutto perché mi sembra che le altre fonti non collimino.

    Riducendomi a Wikipedia ita/eng (che io cito con molta più "nonchalance" di 00 :-)), il termine "metafisica" è nato con gli scritti di Aristotele che riguardavano lo studio dell'Essere come principio e le "cause prime" dell'universo: ovvero qualcosa di "metafisico" nel senso comune. Il titolo unificante è posteriore, e al di là del fatto che i concetti esposti siano "metateoretici" rispetto alla filosofia fisica, la teoria più comune sulla nascita del titolo sarebbe che nei manoscritti i libri sulle cause prime si trovavano "*oltre* (concretamente *dopo*) i libri sulla Fisica".

    Poi, una delle poche conoscenze di greco che ho è che i trattati/poemi filosofici greci "intorno alla fisica", il genere che in latino si tradurrà con "De rerum natura", si intitolavano "Peri physeos". Questo dimostra che c'era almeno un altro comune e istituzionale complemento di argomento, almeno all'epoca in cui tutto tal patrimonio filosofico è stato sistemato (ellenistica?). C'è da dire che questi lavori affrontavano tematiche più "metafisiche" che fisiche ("L'Essere è e non può non essere" ecc.), ma gli originali erano di secoli anteriori ad Aristotele e quindi al conio del termine "metafisica".

    In sintesi, probabilmente il concetto "fisica" unificava le parti "scientifiche" e "ontologiche" prima che i commentatori di Aristotele le separassero, e il fatto che le ultime si chiamino "meta-" sembra dovuto a un gradiente tra il concreto e l'astratto, passo successivo rispetto a quello tra l'ontico e l'ontologico (che a me non ricorda nulla prima di Kant, ma le mie conoscenze filosofiche non sono quel granché).

    Da questo, non vedo necessità di invocare "meta-" complemento di argomento per parlare di "metacinematografia" ecc: basterebbe supporre "meta-" come "oltre" nel senso di "cosa ci sta dietro? quali sono *i principi* della cinematografia che qui si applicano?" ecc.


    Prendete questo cumulo come stima per l'argomentazione. :-)

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  8. Ringrazio l'autore per la condivisione delle proprie considerazioni - sempre di rara qualità e intensità - e di altri contributi validi come quello di questo post. Mi chiedo, quanto all'influenza della (meta)narrazione, cosa ci dicano gli anime più recenti. Un vecchio quasi-boomer come me (1974) tende ad accorgersi di come lentamente, ma costantemente, stiano comparendo sempre più spesso personaggi estremamente "istituzionalizzati", soprattutto quanto alla rappresentazione delle figure dei genitori e degli adolescenti nelle ambientazioni "realistiche".
    Cerco di spiegarmi meglio: sembra che attualmente la scelta del fruitore (specie di opere con ambientazione contemporanea) sia tra l'avvincente "fanta-zoo sociale" (es. Tokyo Revengers: non sono così aggiornato ma mi pare che quelle bande di bosozoku siano anacronistiche, puramente funzionali a trasporre l'epica del battle romance in uno scenario da ventunesimo secolo, quindi l'elemento fantasy non è costituito dal solo balzo temporale...), e, all'opposto, quel contesto da "sponsorizzato dal ministero per la famiglia e la conformità sociale" che solo ora mi accorgo affacciarsi in modo così schietto.
    Sono l'unico rimasto di stucco nel vedere Mirai di Hosoda e a rabbrividire vedendo i due perfetti, serafici e algidi genitori-modello? Sono io, o i ragazzi di "Seven days war", rispetto agli adolescenti descritti negli anime (anche negli slice of life)fino a poco tempo fa sembrano lobotimizzati o usciti da un campo di rieducazione per rampolli famiglie abbienti? Uhm… forse sono uscito dal contesto di questo post, ma è un pensiero che mi girava in testa da parecchio, chissà che qualcuno non abbia avuto questa stessa impressione, o abbia una bussola per capire "dove stiamo andando" (signora mia)?

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    1. Guarda, il tuo commento mi è piaciuto, grazie a te per queste osservazioni. Penso che comunque ciò che dici sia conforme alla metanarrazione del Mulino Bianco: degli otaku figli di genitori divorziati vogliono per forza di cose vedere i genitori modello nei cartoni animati. Poi Tokyo Revengers non l'ho visto, quindi in quel caso non saprei cosa dire.

      Ciao!

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    2. Secondo me ogni tipo di narrazione non potrà mai rappresentare totalmente la realtà, l'unica cosa che possono fare è trovare un confronto con le tue narrazioni e vedere di trovare punti in comune o di distacco. Non vorrei anche che con le narrazioni fortemente pessimistiche ci convincano totalmente dell'opposto di quello che le narrazioni della famiglia mulino bianco ci vogliono fare credere. È come creare profezie apocalittiche.

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    3. Innanzitutto ti ringrazio per aver letto ed apprezzato il mio articolo. Quanto al resto delle tue considerazioni, non credo di poterti rispondere adeguatamente visto che gran parte delle opere da te citate non le ho viste. Tuttavia ricordo relativamente bene Mirai e devo dire che l'ho trovato un film davvero riuscito ed interessante nel suo intento. Un mosaico costituito da tanti piccoli tasselli che rappresentano tanti piccoli momenti vissuti con i propri cari, in un mondo che prende le distanze da questi tipi di valori che vanno sempre più affievolendosi. Negli intenti e nella sua rappresentazione scenica, è un film che mi ha ricordato la poetica di Isao Takahata (ho avuto flebili rimandi ad opere come Yamada e Jarinko Chie).

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