venerdì 10 novembre 2023

Le mie vacanze 2023: "Quelli che si salvano sono gli invisibili"


 L'anno scorso ero andato in Giordania con WeRoad: l'esperienza offerta da questa "agenzia di viaggi" è stata una specie di ritorno alle scuole superiori in cui sono praticamente andato "in gita" con degli sconosciuti suppergiù della mia stessa età. Devo ammettere che è stata una bella vacanza - volevo semplicemente fotografare il Mar Morto, rivivere le atmosfere del Clarel di Melville -, che mi ha permesso di conoscere della persone con cui, stranamente, mi son trovato molto bene nonostante la mia misantropia. Ovviamente, poi, finita la vacanza, i rapporti si sono diradati, sicché ognuno è tornato a farsi i casi suoi, cosa legittima nel mondo incasinato di oggi. Quest'anno, invece, dovendo lavorare al libro e volendo risparmiare qualche soldo, non ho fatto alcun viaggio. C'era comunque un lettore molto interessato a conoscermi: io facevo il pigro, non avevo voglia di incontrarlo, ma lui insisteva. L'ho quindi accontentato: sono andato ai Navigli ed eccolo lì il biondo, con la sua maglietta dei Joy Division. Mapo è uno studente di filosofia, ha una decina di anni in meno di me ed è convinto che io sia un supermega intellettuale, uno che potrebbe scalare il mondo ma è troppo coglione e quindi si sminuisce e si mette in disparte, senza rendere gli altri partecipi di tutte le cose che sa. Parliamo per ore di fisica e filosofia, mentre nel frattempo bevo un cuba libre e fumo due sigarette. Gli offro addirittura da bere. Paragona il mio pensiero, che ha conosciuto spulciandosi tutti gli articoli di questo antro infinitesimale della rete (di cui non ho neanche voglia di rinnovare la grafica), a quello di  Feyerabend, un filosofo che manco conoscevo. Mapo per di più è un darkettone, ma non di quelli volgari: è diciamo uno decadente, un "tizio postpunk" che si mangia i My Bloody Valentine a colazione. Abbiamo anche lo stesso gusto per i meme e il trollaggio trashissimo. Siamo amici, è fatta. 


Video artistico by MAPO, in cui sfoggio la mia maglietta degli SLOWDIVE 


La mia vacanza è stata quindi andare all'università insieme a Mapo: ho seguito delle lezioni di filosofia e mentre lui studiava facevo il controediting del mio Antropocoso. All'uni c'è il cosiddetto "Bronx", ossia una sala studio super caotica in cui vedo occhi accesi, vendo gente credere ancora in quello che fa, anche se sta studiando distrattamente o sta facendo pressoché cagnara. Passa uno e mi dice "ShhhWEPS", così, dal nulla, soltanto perché avevo vicino a me la lattina di acqua tonica. Un altro, di punto in bianco e senza conoscermi, mi rivela di aver mangiato del pesce scaduto e mi chiede se starà male. Gli rispondo di prendere del bicarbonato (e qui si vede il mio retaggio da Millennial, l'imprinting della Silent Generation, di quelli che, come i miei nonni, pensavano che il bicarbonato fosse la panacea a tutti i mali). Mi giro verso Mapo e gli dico: "La gente qui ha la faccia pulita, sono presi bene, dico in generale". Lui mi risponde: "Sono giovani, Doc... Ma stai tranquillo che se non sono figli di papà, se non sono dei radiacal chic, sono fucked". Ebbene sì, io ho trentatré anni, quella gente lì ne ha dieci o più in meno di me. Quando facevo io l'università, gli studenti erano più imbronciati. Forse è la mia generazione a essere molto particolare, dato che siamo stati cresciuti da dei vecchi e siamo stati i testimoni di un mondo che ormai non esiste più, ma che tuttavia continuiamo a rimpiangere. I GGIUOVANI mi sembrano oscillare tra tutto questo entusiasmo, tipico anche di Mapo, e stati di depressione totale, di black out allucinante. Ma almeno vanno fino in fondo nelle cose, non si fermano a metà. O si rimboccano le maniche e tirano dritto, o si danno in pasto al tritacarne sociale e mediatico facendosi completamente distruggere. C'è gente che vive dentro delle specie di laboratori artigianali abbandonati riconvertiti a loft; punkabbestia che vanno a fare le terapie di gruppo facendo presente che i problemi dei più vecchi che stanno lì dentro non sono veri problemi, perché ancora legati "all'avere roba", ossia alle aspettative piccolo-borghesi tipiche altresì della MIA di generazione; le gotichelle che studiano matematica mentre si fumano una canna sedute sul porticato, senza dover dimostrare niente a nessuno. Andiamo a mensa, mi siedo al tavolo ed ecco che arrivano due colleghi di università di Mapo. Uno dei due fa già il supplente alle scuole medie. Ci racconta, perfettamente rassegnato, che i ragazzini gli dicono "Oh, ciao guzzo" anzi di "Buongiorno, professore", che ci sono le baby gang, che le ragazzine si filmano con i telefonini ripetutamente, a ogni ora. Io provo della rabbia; tutti gli altri a tavola, ossia gli Zoomer, incluso Mapo, fanno spallucce. E' così la vita, c'è poco da fare. Siamo al capolinea, inutile arrabbiarsi. "Oh, un mio amico vuole farsi la casetta abusiva nel boschetto... Mi sa che quando la fa mi intrufolo da lui e faccio il parassita...". Mi viene allora in mente quando dormivo come un barbone nel furgone con mio padre durante le vacanze, al freddo, e quanto la cosa mi facesse stare male. Loro invece non si sarebbero lamentati affatto, anzi. 


Conosco poi il mito di cui mi ha parlato Mapo, questo suo amico "punk" che va alle sedute di gruppo a insultare la gente (la cosa fa molto Fight Club). Si parla un po' e toh, viene fuori che all'ultima seduta ha litigato con una egirl. Mi dice una roba del tipo: "Eh, ma sta gente mica soffre veramente, fa soltanto finta... lo fa per far trend sui social, mica è veramente fottuta come me!". E qui lo capisco, perché pure io, quando facevo l'università, mi sono sempre sentito fuori luogo (anzi, mi sono SEMPRE sentito fuori luogo, a parte rare eccezioni). Il vero problema è che, chiudendosi a riccio da giovani, ci si brucia, si perde qualcosa di importante che poi non è più possibile recuperare. Poi ci si può illudere, far finta di avere vent'anni quando invece se ne hanno quaranta, ma il tutto potrebbe diventare leggermente grottesco, anche se ormai nella società di oggi non vi è più alcun limite alla vergogna. Nel viavai di ragazzi e ragazze dell'università di Milano, comunque, rivedo tante cose del mio passato, tanti tratti di persone che ormai nella mia vita non ci sono più, tratti che sembrano essere stati passati da quelli che conoscevo ad altri sconosciuti come un testimone, quasi come se un ipotetico Dio ripetesse sempre gli stessi pattern nelle sue creazioni. Vedo una ragazza col caschetto, gli occhioni castani, che sorride alle sue amiche; nel nichilismo attivo di Mapo, attivo perché comunque lui ama quello che studia, rivedo il mio stesso temperamento di quando ero studente; nei suoi amici rivedo delle versioni tirate a lucido di alcune mie cumpe giovanili. L'umanità è sempre la stessa: penso che quando morirò, molto probabilmente ci sarà qualcun altro fatto un po' come me. Nessun dramma, quindi. Capisco Massimo Fini quando dice che per capire veramente la vita bisogna stare insieme ai più giovani, non a quelli della propria stessa età o ai più vecchi.   


Io e Mapo siamo seduti sul muretto e guardiamo le tartarughe: gli sto parlando di uno dei due nuovi libri che sto scrivendo. Gli dico che c'è un fanatico delle armi che odia la società e un suo collega, un tizio col disturbo bipolare di nome Nobo, che narra in prima persona le sue (dis)avventure nella Wasteland relazionale, sentmentale e lavorativa del 2023. Gli racconto un po' di trama e aggiungo che 'sti due qua, a un rave per darkettoni, incontrano una ragazza senza braccio che si unisce a loro. Da lì in poi la storia si fa interessante. Mapo apprezza: "La ragazza senza braccio, da come me la racconti, mi piace molto come personaggio. In questo mondo di patinati e perfettini almeno ci metti dei disadattati, delle persone vere, ci metti gli invisibili, quelli che è come se non esistessero. Tipo gli operai, quelli veri, non i radical chic di merda che mangiano il panino senza andare in mensa ma poi fanno le orge all'estero con i soldi dell'erasmus". Penso allora a un ragionamento che avevo fatto insieme a Shito su Telegram, sempre questa estate, la cui summa è, appunto, "Quelli che si salvano sono gli invisibili". 


Ci sono invisibili che non hanno i social e che si arrangiano come possono, senza alcuna aspettativa. Sono molto giovani eppure sembra abbiano visto già tutto e sanno benissimo cosa aspettarsi dalla vita, ossia niente. Alcuni di loro sono soli come cani e tali resteranno, senza alcuna possibilità di ottenere un briciolo di amore da una ragazza; altri invece magari convivono, ma in appartamenti di trenta metri quadri in periferia. Alcuni altri ancora finiscono morti ammazzati in fabbrica, senza che nessun giornale o influencer dicano qualcosa. Fanno il volontariato nelle carceri e pensano chiaramente che i galeotti siano più privilegiati di loro. Gli invisibili non ci credono più a cose come il comunismo o il consumismo: sono tutte facce della stessa medaglia, dei paraventi per gente che in realtà sta bene e cerca delle supercazzole da dire soltanto per poter scopare. Gli invisibili cercano la verità, ti parlano all'infinito delle loro passioni, devono crescere subito perché per sopravvivere nella più totale solitudine, quella solitudine tipica di chi è stato tagliato fuori dagli avanzi del banchetto sociale che fu, quella solitudine in cui non si hanno millemila like sui social e nessun amico lassù tra i vecchi che comandano, serve diventare duri come il marmo, e completamente autosufficienti. Non c'è spazio per le favolette, nel mondo degli invisibili. In confronto a loro, gli invisibili della "vecchia guardia" come la mia sono anche fin troppo viziati, tutti persi nei loro simulacri infantili - le figurine a cui giocavi da bambino, le sale giochi nostalgiche, i centri sociali e di ritrovo per bambinoni, il blogghino, l'orologino, la pretesa di sistemarsi con la mogliettina carina borghesina. Noi Millennials siamo così tanto viziati che scriviamo piangine, facciamo piangine, bla bla bla, gne gne gne. Gli invisibili nati negli anni duemila invece ti guardano in faccia, sorridono e ti dicono: "Embè? Sei un coglione, Doc!". Come si può dargli torto?

11 commenti:

  1. Decisamente non mi sarei aspettato questo articolo: dà un'interessante prospettiva sulle persone della mia età (uno/due/tre anni in meno, più probabilmente), che salvo qualche fortunatissimo scambio di vedute mi restano inconoscibili. Comunque è utile accorgersi di quanto essere "invisibili" non sia lo stesso che essere "anonimi": in sostanza, quanto persone che dall'esterno sembrerebbero tutte simili e inerti hanno le loro piccole identità e consapevolezze (piccole come in "piccole narrazioni", non in senso dispregiativo!) e le esprimono. Mi dirai che è banalissimo (e di sicuro l'ho anche espresso male), ma tant'è.
    Dato che lo sguardo narcisistico non può mancare quando leggo di ambienti per certi aspetti affini al mio: citando anche il tuo successivo, se i "millennial" dovevano essere a mezzo guado tra due mondi diversi e gli "zoomer" dei primi duemila con cui ti confronti sarebbero nel mondo successivo (teoreticamente non ne sono del tutto sicuro), io probabilmente sono a mezzo guado tra i "millennial" e il mondo successivo a livello generazionale, e pienamente "millennial" a livello culturale; il che mi sembra una dialettica perlomeno più particolare.

    Comunque di sicuro sembri un "supermega intellettuale" a chiunque abbia letto un po' di articoli di questo blog: su quello non serviva soprendersi :D Se nei prossimi mesi passi a Pavia, pregoti farmelo sapere con leggero anticipo: perlomeno verrò a vederti, e spero anche a salutarti, anche se non avrò ambienti interessanti da farti conoscere...

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    1. Gli anonimi veri, ossia anonimi in quanto senza personalità, penso che spesso siano i "visibili", quelli che ci ritroviamo sempre spammati in giro in ogni dove. Distaccandosi dal mondo dell'immagine, dell'ostentazione e dell'apparire, ecco che iniziano a spuntare fuori persone valide che non si caga nessuno.

      Cmq sì, magari un salto a Pavia lo faccio. Ma intendi per una presentazione? Se conosci una libreria che le fa si può organizzare. Ciao!

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    2. (Mah, non saprei: l'"anonimato" dipende dalle esperienze che si ha avuto o meno, e la visibilità talvolta aiuta e talvolta ostacola.)

      Purtroppo temo che a Pavia le librerie non facciano molte presentazioni, o almeno non ho visto avvisi in merito. (Però se doni al Centro manoscritti dell'università un po' di materiale filologico che testimoni le diverse fasi di elaborazione del tuo libro, forse qualcosa ti organizzano :D)

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    3. Ma va, che filologia. Qual è la libreria più grande di Pavia, che chiedo? Grazie.

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    4. Di grande c'è una Feltrinelli dietro Piazza della Vittoria (controllando, è via XX Settembre); se vuoi controllare anche quelle medie, ci sono una Mondadori in Piazza della Vittoria vera e propria e una Giunti in Corso Cavour (questa è più sul piccolo però), più un po' di indipendenti sparse di cui mi spiace non ricordarmi nomi e indirizzi.

      (E soprattutto non insultare la filologia! Tre quarti e più della mia "cultura" viene dalla filologia su opere di terzi anziché dalle opere stesse! :D)

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    5. Bene, alla Feltrinelli credo si possa fare, ne parlo poi con l'editore. ;)

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  2. D'altro canto, tra "consumismo" e "comunismo" c'è davvero solo una misera S di differenza.

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    1. Evidentemente allora è uno scambio a fare tutta la differenza del mondo, se la Settimana enigmistica insegna qualcosa. :D

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    2. "I figli di Marx e della coca-cola", cit. J-L Godard

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  3. Kuhn (tuo collega), Feyerabend e Latour andrebbero fatti leggere obbligatoriamente ai ragazzini delle STEM: umiltà (vera) in più e tracotanza (hybris) in meno. Non credo, però, che il dio del capitalismo approverebbe.

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