domenica 12 novembre 2023

Doveva essere il nostro momento: Recensione


"Sarebbero dovuti essere speciali, l'anello di congiunzione tra il vecchio e  il nuovo millennio, tra l'analogico e il digitale, e invece non erano niente. Non erano stati destinati a  niente. Non avevano lasciato alcuna traccia, se non battute ironiche sotto infinite discussioni inutili".  


Ed eccolo qui, il miglior libro della Caruso, molto probabilmente il romanzo contemporaneo più bello che abbia mai letto. L'autrice, ormai giunta alla maturità artistica, abbandona quasi completamente i cliché narrativi da fanfiction per scrivere un'opera adulta, riflessiva, che in un mondo editoriale dominato dai boomer fa un po' da bandiera/contraltare di un'intera generazione di esclusi. "Doveva essere il nostro momento" narra dei Millenial, ossia i nati tra l'85 e il 95, quelli con una gamba fissata nel mondo pre-crisi e l'altra (mutilata) nella Wasteland post-crisi. Noi trentenni siamo molto particolari: i nostri genitori sono stati la generazione più viziata e inetta alla vita di tutte, gli X; i noi stessi bambini, spesso cresciuti con i valori della Silent Generation, ossia quelli dei nonni, hanno vissuto nella bambagia degli albori di internet, dei cartoni animati su MTV, di tutta una serie di frivolezze e certezze sociali che poi, con l'avvenire della crisi dei subprime a inizio anni duemila, sono tranquillamente andate a farsi fottere. Noi Millennial siamo così attaccati ai feticci della nostra infanzia perché, in fondo, non abbiamo mai accettato il "mondo che è venuto dopo", quel capitalismo gretto, meschino e antropofago dell'oggidì. D'altro canto, in confronto agli Zoomer (i nati negli anni duemila) siamo stati dei privilegiati, e il privilegio, inutile dirlo, genera pretese eccessive. A tutto ciò si aggiunge l'educazione ricevuta dai nonni, che, al giorno d'oggi, in un'epoca completamente priva di valori e di senso, si rivela più un handicap che un vanto. Il Millennial che ha fatto "carriera" al vecchio modo, infatti, è quasi sempre un depresso o un compulsivo, perché sa benissimo di aver fatto valangate di sacrifici per niente o, ancora peggio, per farsi svalutare e sbranare dall'onnipresente, carnivoro dio Saturno globalizzato. Ciò premesso, inquadrato il contesto, passiamo al libro in sé.  


"Invece alla fine Zan lo aveva contagiato con i suoi deliri, così come aveva fatto con l'assurda idea che vivere in modo diverso, in condizioni più umane, fosse possibile". 


Zan è un Millennial che dopo essere uscito fuori di testa a furia di moderare per pochi soldi i contenuti del deep web infiltrati nel clear web quali pedopornografia, decapitazioni ecc., decide di rigettare completamente l'epoca della sovra-informazione e di creare in Sicilia una setta in cui si vive come negli anni novanta, e in cui tutto ciò che appartiene a dopo il duemila è proibito (quindi internet limitato, niente social media, si possono guardare solo programmi televisivi dell'epoca e così via). Il Guru si porta con sé Cloro, una famosa influencer Zoomer che ha sedotto via chat; Leo, un Millennial che non è mai stato in grado di dare una direzione alla sua vita; alcuni altri personaggi che rimarranno sullo sfondo. Il focus della narrazione è costituito da Leo e Cloro che se ne vanno via dal baglio, ossia il luogo in cui si teneva questo strano settarismo del "rifiuto della postmodernità cattiva", e intraprendono un viaggio in macchina per tutta l'Italia dell'era Covid, cercando di trovare un senso alla loro vita. Verrà quindi fuori quanto Cloro sia stata cannibalizzata dai social media, nonché sfruttata dalla madre, una generazione X malata di consumismo; quanto Leo, alla fin fine, arranchi proprio perché, contrariamente alla ragazza, sia ancora dotato di delle forme di altruismo e idealità fuori dal tempo, che cozzano completamente con una società di macchine saturate di informazioni disposte a distruggere e, soprattutto, a distruggersi per qualche like, qualche impulso binario dettato dai loro cervelli ormai abituati a ragionare soltanto con zeri o uni, con "sì" o "no", proprio come il software dei computer o degli smartphone a cui stanno perennemente attaccati. 


Cloro: "Mi sono sempre detta che nessuno mi ama perché sanno tutto di me. E questo non va bene, perché presa tutta intera, io non sono una persona amabile". 

Leo: "Non lo è nessuno, preso tutto intero".


Cloro e Leo non sono due personaggi da manga, ma effettivamente due "persone reali" con un'ottima caratterizzazione e credibilità. Anche le loro interazioni e come va a finire la loro storia è roba del tutto plausibile. In lei ho ritrovato una buona summa della sofferenza psicologica delle ragazze più giovani, in lui invece molti spunti biografici dell'autrice (dopotutto ho letto tutti i suoi libri, quindi, almeno indirettamente, la conosco). La narrazione è composta da un andirivieni di flashback e di riflessioni che emergono come sfoghi catartici nell'andirivieni molesto, ma empatico, dell'irrisolutezza di questi due personaggi principali; i rant taglienti, rabbiosi, ma del tutto giustificati, che l'autrice sparge qua e là per la strada sembrano tutti convergere verso l'asserzione "postmodernità è disumanità". Passato il vuoto dell'autostrada semideserta e dell'incomunicabilità assoluta, rimane soltanto la conseguente rassegnazione e presa in atto dell'impotenza del singolo di fronte all'oblio ipertecnologico che di fatto sta distruggendo i rapporti tra persone. In particolare, come evidenzia il dialogo tra Cloro e Leo di cui sopra, l'amore per sua natura ha una dimensione umana, ossia naturalmente parziale; nel momento in cui si vuole cancellare l'umanità con la tecnologia e l'overdose d'informazione, ahimè non è neanche più possibile essere capaci di amare: ci si satura dall'interno e la percezione che le persone hanno dei propri simili viene a sua volta saturata. Pertanto non si può essere percepiti come un "tutto intero". Siamo esseri fallaci, parziali, che hanno bisogno di completarsi con i loro simili per poter sopravvivere. Condannare gli esseri umani alla solitudine significa ucciderli. 


La cosa più importante, comunque, e il discorso vale per qualsiasi opera artistica, è che questo libro mi ha fatto riflettere su me stesso e sul mondo in cui sto vivendo, e con questa osservazione termino una recensione del tutto positiva  (sì, la gestione tra i flashback e cosa sta accadendo nel presente ogni tanto è confusionaria, ma ciò per me non è un difetto, considerato il contesto del romanzo postmoderno).

Nessun commento:

Posta un commento