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sabato 1 ottobre 2016

Mind Game: Recensione

Titolo Originale: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Robin Nishi
Character Design: Yūichiro Sueyoshi
Direzione dell'animazione: Yūichiro Sueyoshi
Produzione: Eiko Tanaka
Musiche: Seiichi Yamamoto
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2004


Era il 2004 quando un titolo passato quasi in sordina in patria, diretto da un regista di mezz'età sconosciuto ai più, fece le sue prime apparizioni nei festival nazionali. Come un vero e proprio pugno in faccia, il film sconvolse fin nelle fondamenta il cinema d'animazione giapponese: distanziandosi dagli ormai abusati tòpoi che monopolizzavano il mercato, l'allora trentanovenne Masaaki Yuasa (questo il nome del regista) e i produttori del vulcanico Studio 4°C decisero di calcare con forza il pedale dell'originalità, mettendo totalmente da parte la logica delle vendite per consegnare alla storia un prodotto quantomai anarchico, unico e irripetibile, fondamentalmente diverso da qualsiasi altra opera fosse stata concepita in precedenza. Trasposizione dell'omonimo manga semi-autobiografico di Robin Nishi, serializzato sulle pagine di "Comic Are!" di Magazine House, "Mind Game" si dimostra fin dai primi fotogrammi un vero e proprio esperimento visionario e anticonvenzionale, capace di amalgamare codici e correnti artistiche differenti – tra cui psichedelia, pop art, surrealismo, avant-garde e materiale live action – come nessun altro lungometraggio cinematografico aveva mai osato prima. Il risultato è un'opera che al momento dell'uscita fu ovviamente ignorata dalle masse, ma che pervenne quasi subito allo status di cult movie celebrato parimenti da critica nazionale e internazionale, persino nei circuiti che fino ad allora avevano bellamente ignorato l'animazione giapponese: il film fu lodato apertamente da mostri sacri dell'industria occidentale come Bill Plympton ("Idiots and Angels") e ottenne diverse candidature a rassegne di grande prestigio, arrivando a vincere il Grand Prize al Japan Media Arts Festival (superando, tra gli altri concorrenti, "Il castello errante di Howl") e ben cinque premi al Fantasia International Film Festival di Montréal, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura. La stessa Madhouse, del tutto estranea alla produzione dell'opera, fu colta da un tale entusiasmo nei suoi confronti che si mise a promuovere la pellicola a spese proprie; difatti non è un caso che quasi tutti i lavori successivi del regista – tra cui i celebratissimi "Kaiba" e "The Tatami Galaxy" – saranno prodotti e realizzati dal noto studio d'animazione fondato da Masao Maruyama.

sabato 4 giugno 2016

Ping Pong the Animation: Recensione

Titolo originale: Ping Pong the Animation
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Taiyō Matsumoto
Character design: Nobutake Itō
Direzione delle animazioni: Nobutake Itō
Musiche: Kensuke Ushio
Studio: Tatsunoko Production
Formato: serie televisiva di 11 episodi
Anno di uscita: 2014


«Le persone talentuose che sanno esattamente chi sono non cercano nulla. Quelli che non sanno chi sono... sono loro che lottano più duramente per vincere, in modo da provare qualcosa.» [Jō Koizumi]

"Ping Pong the Animation". Ovvero lo spokon secondo Masaaki Yuasa.
Se vista nell'ottica della flessione di titoli degni di nota che la sta trascinando in questi ultimi anni, l'animazione giapponese può dirsi arrivata a un punto morto. All'interno dell'ondata di produzioni omologate e iper-schematizzate che ci sta investendo in questo periodo, la ricerca stilistica e la coraggiosa innovazione che caratterizzavano l'industria fino agli anni Novanta sono sempre più un eco lontano, un fioco riverbero che riecheggia privo di forza in mezzo alla penuria di originalità; potersi gustare nel 2014 un prodotto come quello che mi accingo a recensire, vera e propria rivisitazione anticonvenzionale di uno dei generi più in voga nell'ultimo decennio, rappresenta dunque una piacevolissima scoperta.
Ma direi di procedere per ordine.

mercoledì 29 ottobre 2014

The Tatami Galaxy: Recensione

  Titolo originale: Yojouhan Shinwa Taikei
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Tomihiko Morimi
Sceneggiatura:Makoto Ueda
Character Design: Nobutake Ito
Musiche: Michiru Oshima
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 11 episodi
Anno di trasmissione: 2010

 
Un giapponese che parla del Giappone, Hiroki Azuma, nel suo libro sulla filosofia postmoderna, definisce l'otaku come un consumatore ossessivo-compulsivo paradossalmente caratterizzato dallo snobismo tipico del periodo Edo. L'otaku è anche un costruttore di mondi immaginari, un escapista che ama sostituire le tristi esperienze - e delusioni - del quotidiano con mondi fittizi e illusori, amando feticci anziché persone reali - volendo, anche eleganti donne-artefatto legate ad arcaici canoni di bellezza, non più riscontrabili in una frenetica società animalizzata come quella giapponese. E' bene specificare che quello dell'otaku sia un caso limite del giovane figlio della postmodernità, soggetto in genere alienato dal mondo che lo circonda, giacché non riesce a trovare in esso - e in sé stesso - punti di riferimento stabili con cui identificarsi. Il protagonista di "The Tatami Galaxy" indubbiamente soddisfa tutti questi requisiti, a parte il non essere un consumatore ossessivo-compulsivo: egli è una persona passiva, dalla parlantina veloce e dal flusso di coscienza delirante, costantemente alla ricerca del "bello" in un mondo che non rispecchia affatto le sue elevate pretese snobistiche. In ogni episodio lo sventurato andrà incontro a determinati fallimenti sul piano sociale e sentimentale, arrivando addirittura a rinchiudersi in casa come un vero e proprio hikikomori, oppure ad amare platonicamente una bambola - a suo dire - bellissima, dalla raffinata pettinatura e dal portamento elegante. Con una regia estremamente dinamica, postmoderna, estremizzata, dilatata e nevrotica, l'ottimo Masaaki Yuasa mette in scena una commedia incentrata sui problemi tipici di un giovane giapponese dall'identità frammentaria, non definita - egli non ha nemmeno un nome - che si appresta a intraprendere le prime relazioni sentimentali e ad affrontare l'ambiente universitario.

sabato 7 giugno 2014

Kaiba: Recensione

 Titolo originale: Kaiba
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Masaaki Yuasa/Madhouse
Sceneggiatura: Masaaki Yuasa
Character Design: Nobutake Ito
Musiche: Kiyoshi Yoshida
Studio: Madhouse
Formato: serie televisiva di 12 episodi
Anni di trasmissione: 2008


Un inaspettato incipit in "medias res" ci catapulta in un mondo a noi totalmente sconosciuto e incomprensibile, di cui non conosciamo nulla e di cui nulla ci viene spiegato. L'assenza di una voce narrante esterna agli avvenimenti dona alla serie quel tocco di realismo che lascia in un primo momento confusi, smarriti, sensazioni che condividiamo con il protagonista stesso che, come lo spettatore, si ritrova precipitato in un mondo alieno e oscuro. Egli ha perduto infatti le sue memorie e, dimentico del suo passato, inizia un surreale e onirico viaggio alla ricerca di se stesso.