domenica 28 marzo 2021

L'origine del male: riflessioni libere


Rivedere G Gundam mi ha fatto molto piacere. Ma dico sul serio. E no, non è soltanto Street Fighter con i robottoni: quelle erano scelte di marketing imposte ad un regista tanto intellettuale quanto nostalgico. La recensione che scrissi anni fa non mi va neanche di cambiarla: non mi va di cancellare o modificare quanto produssi, soprattutto nel punto in cui scrivevo tutto entusiasta dell'Allenby in versione fatina che rinunciava al suo amore per Domon, dato che c'era Rain a dover essere – letteralmente – salvata.  Ci rimasi male, perché in fondo Allenby mi piaceva molto, ma era giusto così. 

La riflessione che voglio qui esprimere è da dove provenga il male, o quantomeno cercare di definirlo. Perché il Devil Gundam, che è la stessa cosa del Lavos di Chrono Trigger, virus che infettava il mondo nella sua intima struttura spazio-temporale, o del Deus di Xenogears, arma di distruzione di massa organica senziente, mi ha dato molto da pensare.  I protagonisti di G Gundam, Domon e Rain, partono come se fossero già praticamente marito e moglie, ma poi arrivano un "virus" (il suddetto Devil Gundam) e una rivale in amore (Allenby) a creare disordine. L'unità viene quindi spezzata, ma poi, mediante coscienza e sacrificio, il virus viene debellato e il nucleo familiare riunito. Questa struttura è molto comune nella tragedia: l'elemento di disturbo è il male, indubbiamente, perché mira all'ordine delle cose, la cui sintesi suprema è l'unione (vuoi spirituale, vuoi tra uomo e donna, vuoi nel gruppo). Se non fosse esistito il male, non ci sarebbe stata alcuna risoluzione, né alcun "rafforzamento" (volendo si potrebbe anche parlare di "senso"). Gli antichi Kabbalisti ebraici raffiguravano questa cosa con la rottura di un vaso primordiale, dal quale ebbe origine l'universo. Ma in fondo, anche il mito dell'Eden era così: unità, e poi dissoluzione dovuta a un elemento di disturbo (in questo caso il frutto della conoscenza del bene e del male). E volendo risoluzione (a volontà dell'individuo/credente/praticante o che dir si voglia). Ovviamente, se non vi è alcuna volontà (la mancanza di volontà è una cosa tipica dell'apatia dell'epoca moderna, che è priva di vere finalità), non vi può neanche essere alcuna risoluzione. E da qui abbiamo l'esistenzialismo, ossia la "narrazione dell'irrisoluzione" delle vite moderne. In pratica delle tragedie a metà , come molte dinamiche sociali/affettive dell'oggidì (vorrei dire la maggior parte, ma non ho dati statistici alla mano).  Ma chiudiamo ora la parentesi e proviamo a classificare i vari tipi di "male".

 

Marito e moglie riuniti sconfiggono il "virus" tramite il temibile "Sekiha LoveLoveLove Tenkyoken" .

 

Il male ontologico, ossia il male come disordine o entropia


Se il male è davvero come un virus, significa che il male è disordine, dato che il virus mina all'ordine dell'organismo ospitante (ne aumenta l'entropia, e guardacaso la morte è il massimo livello di entropia di un corpo). L'ordine ha molto a che fare con la forma, e dato che la definizione di bello è strettamente legata alla simmetria o alle curve dei corpi, il disordine è altresì il brutto, lo sgradevole e tutto ciò che non è grazioso. La vera radice del disordine è indubbiamente la Natura, che essendo cangiante e impermanente, è creatrice sia di ordine che disordine (i virus hanno origine naturale). La Natura è profondamente ingiusta: non distribuisce né virtù né fortuna in modo equo, e non si "cura dei figli suoi" (si capisce quindi dove voleva andare a parare O Fortuna: la fortuna è fondamentale in un mondo in cui il caso, e di conseguenza il disordine è prevalente). Purtuttavia, la forma suprema di ordine dato all'uomo, la forma della sua "rappresentazione" è il linguaggio, ed è anche l'unica forma di "rappresentazione condivisa" che ci sia concessa, l'unica realmente non solipsistica, perché la corrispondenza tra gli umani sensi è indimostrabile tra due individui ("In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio"). Il "mondo delle idee" è dunque il mondo dei concetti verbalizzati in astratto: esistono infatti tanti "mondi delle idee" quanti i linguaggi endemicamente condivisi ( "Dio disse sia fatta la luce e la luce fu").

     L'ordine e il disordine: il DNA, il codice della vita, e le sue mutazioni.                      

L'unico interesse della Natura è perseverare la creazione della vita, tutto il resto è secondario. La morte e il dolore della separazione derivano da queste dinamiche cieche, di certo prive di vero interesse per la coscienza umana. Da qui nascono anche le marcate differenze tra uomo e donna ( non per nulla il Devil Gundam assorbe Rain e raggiunge la sua forma finale in quanto lei è donna e quindi portatrice di vita). La priorità della donna è dunque l'immanenza, la perseveranza (inconscia) della vita, ciò è lapalissiano, mentre sostanzialmente l'uomo è "uno che passa per caso", neanche troppo necessario: una volta compiute le sue funzioni biologiche, può sparire o essere sostituito (in alcune specie di insetti, come fa notare Schopenauer, la femmina uccide direttamente il maschio dopo l'accoppiamento). In ogni caso, non dovendo lui creare la vita, andrà anche incontro a morte prematura rispetto all'altro sesso (a livello di programmazione del genoma). Non stupisce quindi la nascita del patriarcato, meccanismo di tutela del maschio debole, nonché della filosofia tutta. Sono stati infatti i grandi patriarchi del passato a creare religioni e filosofie (l'antico matriarcato, antecedente al patriarcato, si basava soltanto sul culto della Madre Terra e del raccolto: in esso non vi era alcuna divisione tra cielo e terra, ossia alcuna discriminante antientropica), proprio per compensare questo "male come disordine" imposto dalla Natura. L'uomo è molto meno predisposto alla vita della donna, e inevitabilmente sente la necessità di creare strutture che classifichino una realtà che sarebbe definibile semplicemente come "impermanente totalizzante". Che in fondo è l'esistente in sé, con le sue tesi, antitesi e metastasi soltanto apparentemente in conflitto (il famoso "velo di Maya"). Approdare a Schopenauer e Nietzsche a questo punto è molto semplice, una questione di nomenclatura (da notare come l'odio per la Natura di Schopenauer si traduca poi nella sua famosa misoginia). Ciò detto, la colpa che Nietzsche dava ai socratici, colpevoli di aver corrotto il dionisiaco (la spontaneità della Natura) col pensiero razionale, è proprio l'abbandono del matriarcato: i grandi patriarchi che devono elaborare modelli astratti per non soccombere alla loro stessa debolezza nei confronti della donna/morte/natura/cambiamento che dir si voglia. Dov'è quindi il male a questo punto? Nella mente (uomo) o nel corpo(donna)? Indubbiamente, il candidato ideale è la mente, che con le sue strutture crea divisione in ciò che invero è uno, e per di più ineluttabile (la donna genera la vita e cresce i figli, che elaboreranno tali modelli razionali, e il cerchio si chiude). E da questa scelta primordiale tra mente e corpo si ha altresì la nascita delle religioni orientali, che rimandano alla meditazione come forma di controllo dei pensieri. Ma ogni strada conduce comunque al nulla, che in fondo è l'antitesi del desiderio/movimento, che di per sé genera entropia. Gli opposti si uniscono, e si ha quindi il famoso vaso che si deve rompere per dare origine al creato (il vaso poi è l'utero, così come il Graal, siamo sempre lì in termini di simbologia). Il diagramma delle Sephirot, che parte dalla Sephirot più bassa, il corpo o Malkuth, per approdare a quella dello Spirito dopo una serie di passaggi "umanistici" (Kether), altro non è che il percorso dell'uomo alla ricerca di un senso che riconduce inevitabilmente al nulla, perché tutto è uno. L'illuminazione molto probabilmente è la percezione (percezione, non pensiero razionale) del nulla presente in ogni cosa, sia nel bene che nel male. Der wille Zur match. 

Il male ontologico è quindi il nero rispetto al bianco o il bianco rispetto al nero nel diagramma dello Yin e dello Yang: senza entropia non sarebbe necessario un lavoro esterno per limitarla, come da secondo principio della termodinamica. In estrema sintesi, se vogliamo agire su un sistema, è necessario che in esso ci sia del disordine, perché anche noi siamo parte di quello stesso sistema. La trasformazione del disordine in ordine sarà poi proporzionale ai nostri sforzi nel tempo. E' la vera nascita della tragedia, che si ha in concomitanza con la nascita stessa dell'universo e delle sue leggi.


 Il male come mancanza di comprensione e comunicazione


Volendo fare un discorso più pratico, sicuramente la mancanza di comprensione genera divisione. Un esempio è la struttura della commedia romantica, tipo Maison Ikkoku: miscomunicazioni e fraintendimenti tengono in sospeso l'unione della potenziale coppia (la risoluzione) ed è necessario del duro lavoro, volendo innumerevoli prove, per sconfiggere questo tipo di male (che in fondo è sempre riconducibile al disordine e al lavoro necessario a contenerlo, il succitato secondo principio della termodinamica). 

 

Buongiorno tristezza! Ma il "male" anche qui verrà sconfitto.


I limiti nella comprensione tra individui sono strutturali, tant'è che  sulle difficoltà di comunicazione Tomino Yoshiyuki, uno dei pochi intellettuali degli anime, ci ha costruito una poetica. Ci sono divari generazionali, ideologici, sociologici e chi più ne ha ne metta. Spesso la comprensione è impossibile per mancanza di sensibilità, empatia o intelligenza. Ma dato che gli esseri umani non vogliono sentirsi sminuiti, per compensare queste carenze nascono le ideologie, che rimediano alla capacità di comprendere o di provare empatia per il prossimo con formule standardizzate e semplificate. Tutte le ideologie guardacaso non vanno molto d'accordo col corpo, con la percezione del reale e quant'altro, dacché sono una forma di alienazione individuale su larga scala (il consumismo è anch'esso una ideologia, ed è dotato altresì di microideologie derivate a supporto della necessità di individui/consumatori fluidi, solitari ma sessualmente promiscui).

La mancanza di comprensione di sé stessi è lo stesso tipo di male di cui sopra, dacché lascia invariata la propria entropia/disordine interiore senza alcuna possibilità di sedimentazione. Anche in questo caso, non ci sarà alcuna risoluzione in quanto individui. Nasce quindi l'universalità narrativa del tema della crescita: tutti gli individui crescono, e la crescita è un percorso di comprensione sia di se stessi che degli altri. La crescita passa per la sofferenza e per le difficoltà, ma conduce all'unione, sia interiore che con un'altra persona. Se invece non vi è crescita, non vi è stata alcuna comprensione né comunicazione, e quindi il male ha trionfato. Sotto questo aspetto, un'epoca in cui le persone rimangono confuse e infantili è senz'altro un'epoca demoniaca!


Il male come inconsapevolezza


Vi è poi il male come inconsapevolezza, che è un derivato della mancanza di comunicazione con se stessi, perché non si sa cosa si sta facendo, e che quello che si sta facendo può danneggiare gli altri. Le bestie son dotate di istinti regolatori (come faceva notare Konrad Lorentz, ad esempio un corvo non può beccare negli occhi del padrone, dacché è un meccanismo di tutela della specie). L'uomo, invece, non avendo questo tipo di meccanismi, ed essendo comunque per di più animale, può quindi commettere le peggiori azioni, senza tuttavia avere neanche la percezione della loro gravità, dacché interiormente dissociato. Da questa asserzione, ossia della suddivisione dell'uomo in più parti in conflitto tra loro e non consapevoli (e quindi inconsce), nasce la psicologia Freudiana, che si è evoluta poi sino a quella dei giorni nostri. Il "principio di individuazione" è pertanto il raccoglimento di tutti i pezzi del vaso rotto dei Kabbalisti, questa volta portato a dimensione individuale e non più universale, per trovare l'unità suprema che poi alla fin fine è quella pecezione consapevole del nulla di cui sopra, che invero è il tutto. Non stupisce quindi che i mistici di tutte le ere e religioni parlino ripetutamente di consapevolezza e unione nella divisione (e quindi di antientropia): il loro scopo è accrescere la coscienza, la parte più alta dell'albero della vita, che dalle radici del caos tende all'ordine in un andirivieni ciclico di esistenze nel corso del tempo. Ha quindi origine la poetica del karma, il percorso dello spirito verso l'illuminazione, anche attraverso più vite (fattore irrilevante dal punto di vista pratico). La cosa importante da sottolineare è come tutto abbia origine dal corpo e dal corpo si evolva, come sosteneva altresì Nietzsche.

 

 Il male come insensatezza

 

Il male derivante dall'insensatezza (e quindi dall'ingiustizia) è un male puramente percepito, dacché chi lo subisce pretende in qualche modo un senso dalle cose e dal mondo che lo circonda (un po' come Leopardi).  Infinite narrazioni, canzoni e poemi sono stati scritti per dire all'uomo di dare lui stesso un senso alla propria esistenza, dacché la Natura non necessariamente ha bisogno di senso: il senso è un riscontro di cui necessita la mente umana di per sé, dato che è cosa derivativa dal corpo (e qui non sto sminuendo il Platonismo, dacché il vero Platonismo andrebbe letto con gli occhi di un Protagora). Il cercare un senso nelle cose è un attributo puramente maschile: e qui ci riconduciamo alle difficoltà degli uomini di adattarsi alla vita, che semplicemente esiste nelle sue apparenti contraddizioni/rappresentazioni senza necessità di sovrastrutture.

Una rosa non ha bisogno di una cupola che in qualche modo ne limiti la sostanza di cosa che semplicemente è. La stessa metafora appare anche ne Le Petit Prince, che è opera universale in quanto opera sulla crescita e sulla natura dei sentimenti. La stessa vita umana in qualche modo è una forma di educazione sentimentale, dacché è tramite l'amore che la vita persiste nel suo ciclo - volendo eliminare dell'entropia in eccesso dalla nostra visione molto, anzi troppo romantica per i tempi che corrono. E' quindi molto facile trovare del senso in un rapporto di coppia, e sentirsi morire quando questo rapporto finisce. Trovando dapprima del senso in sé stessi e nel mondo, molto probabilmente ne risentirà in meglio anche la propria educazione sentimentale. Ma il vero fulcro della crescita rimane comunque l'amore.

 

 La risoluzione


Una volta individuato il male, non è difficile trovare una risoluzione. Il riconoscimento obbiettivo del male è la cosa più difficile a questo mondo, e spesso ogni male è legato alla sua risoluzione, che ne è una sorta di appendice, legittimo o meno che sia. Molto probabilmente una vittoria sul male è la sua accettazione, con relativo superamento. Detto questo, dato che il male peggiore è quello che va a intaccare i rapporti tra persone, che sono il fulcro dell'esistenza umana, la formula di Le Petit Prince si rivela sempre totalizzante, dacché è una rielaborazione di vita da parte di una persona che in amore ha fallito.  

Le azioni sono più importanti delle parole. Non bisogna cedere alle illusioni ma giudicare le cose in base alla realtà oggettiva. Conosciamo innanzitutto noi stessi.   

 

E di seguito, si potrà costruire un qualcosa con qualcuno, ricordandosi il secondo principio della termodinamica: Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. 

E così il meccanicismo dell'amore conduce a qualcosa che strettamente meccanico non è. Questo perché la comprensione, come quella che il principe matura nei confronti della rosa, è stata frutto di uno sforzo consapevole del tutto antientropico, ossia volto a sconfiggere il male in quanto divisione. E qui forse torniamo al Love Love Sekiha Tenkyoken : l'amore è l'atto supremo di ribellione contro l'amoralità della natura, contro il suo "virus" ontologico. 

25 commenti:

  1. "Il vero Platonismo andrebbe letto con gli occhi di un Protagora" - solo questo varrebbe tutto. Perché le "misure umane" con cui interpretare la realtà (mondi delle idee) sono cerchi concentrici che si allargano intorno all'Io joyceiano secondo una logica di inseme pressoché denso, dall'infinitamente piccolo (singolarità solipsista) all'ifinitamente grande (globalità ideale, di specie se non più), inclusi tutti gli infiniti livelli intermedi di mezzo. Da cui la difficoltà di intrattenere una comunicazione efficace ed efficiente.

    Perfetto.

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    1. Grazie :)

      Questo post è molto autoterapico, e lo è senza esagerazioni o distorsioni. Pensavo tra me e me che è anche molto meglio di qualsiasi articolo scientifico (post)moderno, dato che ormai l'umanesimo è caduto nel dimenticatoio, e si vuole dare la priorità alle macchine e al profitto.

      Visualizzare il male è davvero utile, ci si sente meglio.

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    2. Perché è un onesto modo di estroiettarlo, espellerlo intelletualmente, purgarsene mentalmente. Non si tratta di esorcizzarlo, ma di analizzarlo fuori da noi per poter meglio sostenerlo intorno e dentro di noi.

      In fondo anche le religioni lo fanno spesso, e in molti modi.

      E anche la migliore letteratura lo fa.

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  2. Occorre il male intelligente, disse un tale riferendosi a tutt'altro - direi che sia un modo per (tentare di) restare tanto idealisti quanto concreti. Non si avrà propriamente bei rapporti con altre persone, ma in certi contesti si lascia un altro tipo di bene.

    Non ci avrei pensato, ma è pure sensato descriver questo come un articolo scientifico ben scritto: nel senso che è "compilativo" ma vale più della somma delle sue parti!

    Sulle questioni specifiche non ho da che dire, visto che, per tenere l'analogia, mi manca la conoscenza tecnica necessaria. La sensazione di confusione non è un argomento sufficiente. :-)

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  3. "Occorre il male intelligente, disse un tale riferendosi a tutt'altro - direi che sia un modo per (tentare di) restare tanto idealisti quanto concreti."

    A cosa ti riferisci?

    Ciao!

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    1. Era una citazione assonnata e quindi un po' sbagliata... comunque era una frase da palco poco nota del signor Benson, che ho appreso di recente. :-)

      Nel dettaglio della battuta: mi pare che del "male" come "concetto ideale generale" non si discuta mai (o non più da diverso tempo? forse al massimo nei dipartimenti di filosofia?) - è sostituito ragionevolmente dal male concreto, l'ingiustizia. Se penso a """"discorsi sul male"""" arrivati a un pubblico più o meno numeroso in epoca recente, mi viene in mente appunto il Benson quando affermava teatralmente di rappresentare il Male e di conoscerlo intimamante. (Non proprio discorsi seri, ma va be'.)
      (Tutto ciò negli anni 2000, ovvero, secondo il mio *parzialissimo* giudizio, appena agli sgoccioli del periodo ideale per tali esternazioni: l'anticlericalismo/"satanismo" era più diffuso/mediatizzato sul volgere del millennio? Ora che son passati decenni credo che il contesto sia cambiato.)
      Lui effettivamente era un teatrante nato, ma aveva fatto la sua vita carica di "peggio e meglio cose" e probabilmente ne sapeva qualcosa, del male - e lo esprimeva a suo modo, con un intelletto non molto formale e una cultura molto settoriale.
      Tanto per riprova, appunto negli anni 2000 ha subito un bel po' di male concreto e tangibile - le "esecuzioni" a suon di roba tirata sul palco. Ma da tutto il pubblico amante del trash che lo seguiva sono emerse anni dopo persone che l'hanno rivalutato e difeso, che si sono unite per questo scopo ecc. Insomma si è fatto del bene.

      (Non c'entra molto? Scarsa coerenza logica? Mi appello al titolo "riflessioni libere".;-D)

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    2. Ma ti riferisci al Richard Benson dei meme? Quello è un poveraccio che faceva da valvola di sfogo alle bassezze umane dei suoi "fan".

      Il satanismo comunque mi è sempre sembrato una pagliacciata, una giustificazione di metallari, goth o quella roba lì per scopare promiscuamente purgando il senso di colpa che ne deriva. Il satanismo è un po' come dire "adoro l'entropia e ne faccio la mia religione". Ok, certo. Poi arrivano a 40/50 anni e sono tutti rotti, da ex alcoolizzati e/o drogati che erano.

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    3. Senza dubbio fa(ceva) da sfogo, ma dissento che sia (stato sempre) un poveretto. Vedo che non sei aggiornato sulle indagini sulle sue opere e vita avvenute negli ultimi anni. (O magari ne avresti comunque un giudizio diverso dal mio.)
      C'è un po' di materiale da visionare: solo un po' di ore di video biografici (Francis Kingborn), materiale vario (Brigate Benson) ecc. :-)

      Giusto per iniziare e capire se sei interessato:
      https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/primi-66-anni-richard-benson-autoproclamatosi-signore-metallo-263457.htm?fbclid=IwAR1vippWOUTDAop21GS7t_PVeDPEFOnlByypfXAQxoF__fOhljnUopLjFLo


      (Concordo nel satanismo pagliacciata. Insinuavo che parlare di male sia passato di moda assieme a quello.)

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    4. Sì, penso che non si parli più di male perché sono morte le grandi narrazioni, in particolare nel nostro paesello. Se comunque parlo con africani o arabi loro hanno un concetto di male molto chiaro.

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    5. (E gli "emo" sono stati l'ultimo movimento giovanile! Tutto torna. Va bene, la smetto.)

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    6. Esatto. Ai miei tempi si tagliavano e basta, ora si tagliano su TikTok.

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  4. Oggi gironzolando come un cagnolino che sono per i vicoli di una cittadina di provincia, leggevo le scritte sui muri dei ragazzi un po' "scappati di casa" (nei vicoli più "social"). I nomi si erano fatti quelli di attori e personaggi holliwoodiani, i sentimenti sembrano ancora gli stessi dell'onesta tragicommedia classica. Poi lì vicino leggevo le affissioni funebri: il commiato a un signore scomparso a 89 anni e accoratamente lodato dai cari, accanto una messa in memoria per la morte di un bimbo che nella foto pareva averne quattro, di anni. Mi sono fatto un sincero segno della croce. Un pensiero. Non è detto che Cristo sia solo nelle pur necessarie omelie del sacerdote. Peschiamo una carta ogni giorno, non c'è bisogno di dirlo. Dal mazzo che ci hanno dato, sempre a caso, alla nascita. Le mele e i pinguini, volendo. Il punto è solo l'educazione necessaria per non aggiungere male al male, secondo me. In vita, dico. Male non necessario. Lo spregio del bene, della propria fortuna, e ancor più della sfortuna altrui. Non c'è giustizia nella naturale amoralità, e forse non possiamo crearla noi (titanismo narcisista!), ma la dignità almeno io credo si possa. Scelga il lettore a quale delle parole accanto legare "almeno".

    Il vostro dialogo mi ha grandemente interessato. Ve ne ringrazio.

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    1. Grazie a te per questa bellissima fotografia messa nero su bianco, che senz'altro arrricchisce questa discussione.

      Purtroppo la carenza di educazione al male è proprio una delle cause di mancanza di percezione del male, ciò di cui lamentava *lui* avendo pienamente ragione.

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  5. La volpe sarebbe invero "le renard", maschile (che poi sarebbe "le renard du desert" - il fennec). Senza dubbio questo amico è uno dei "tanti amici" per conoscere i quali il Principino abbandonava la Sua Rosa, quella si simbolo dell'archetipo femminile e sentimentale, unico, per l'autore e il personaggio. Il discoorso, o il segreto, è lo stesso di Odisseo: la maschile tendenza a voler "conoscere" (solo in questo anche Dante fu corretto nel dipingere Odisseo), allontanandosi dal talamo nuziale. Ma a Ulisse poi andrà bene, giacché "bello di fama e di sventura" bacerà la sua petrosa Itaca, seppur dopo aver fatto il giro lungo, causato morti, spezzato cuori. Una via di ritorno cosparsa di sangue. Al Principino va molto peggio: sarà solo per il morso d'un serpente caritatevole che si riunirà alla sua Rosa, neppure parlassimo della Ferrovia Galattica. Certo "uccelli selvatici" non so siano proprio aironi, dal disegno non mi pareva, in ogni caso la più trsite frase che un uomo deve probabilmente imparare a pronunciare, e patire, credo sarà sempre "J'etais trop jeune pour savoil l'aimer". :-(

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  6. Mah anche questo probabilmente è una sovraelaborazione a sproposito e mistificazione dell'uomo invecchiato (perché ci si sente infantili? Non so...).

    Se ci guardiamo intorno la maggior parte delle coppie durature con lei molto giovane vedono un partner maschile altrettanto giovane, comunque molto giovane.

    Questo è quello che vedo. Casomai non alla prima esperienza, che ha soddisfatto comunque gli istinti animali ma in linea di massima giovane.

    Le conclusioni non le traggo, ma c'è questo dato statistico.

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  7. Sovraelaborazione e la parola sbagliata.

    E più sovradrammatizzazione. La storia di Ulisse se ci si pensa e diversa, ^^

    Quella infatti è una dinamica comune. L'altra boh e molto romantica, e sta anche bene in un libro per bambini, perché insegna il rispetto dei sentimenti altrui, le cose a cui dare valore nella vita.

    Ma davvero non ho mai visto uno che vada a pentirsi "ero troppo giovane per amarla"

    Tipicamente invece l'amore spesso fa maturare. In modo forse meno lirico a descriversi, più banale ma più vero.

    E come se alla fine ognuno dentro di sé sappia cosa è serio, cosa è cretinata e se decide di continuare a trastullarsi in vario modo è solo perché non ritiene degna la persona con la quale si accompagna dell'interruzione del trastullo.

    Non sempre ci si innamora in vita, ci sta.

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  8. "Ma davvero non ho mai visto uno che vada a pentirsi "ero troppo giovane per amarla" "

    Hai dimenticato un verbo. Cambia tutto. È il punto cruciale. Il diavolo si nasconde nei "dettagli". Anche le colpe. Anche quelle inespiabili.

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    1. Nuova caterva di parole a caso, auto-giustificazioni e citazioni letterarie/cinematografiche in 3-2-1... :D

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  9. In piena onestà non credo neppure che l'amore si possa imparare più di tanto, è una cosa a cui ho creduto per molto tempo.

    Poi ho visto i miei amici di una vita crescere, dai 15 ai 35... ho visto altre persone incontrate durante gli studi e conosciute a fondo, anche loro cambiare con gli anni.

    Sicuramente invecchiando, ed accumulando bagaglio esperenziale dunque emotivo, si acquisisce più sensibilità, più attenzione ai problemi, capacità d'amare volendo.

    Però ho visto pure tutto sommato questo non cambiare nel tempo. Persone più chiuse in loro stesso hanno continuato in quel modo, casomai fidanzandosi anche, ma finendo a lavorare 12h al giorno perché non riuscivano a fare altrimenti...

    Altri sono stati seri e centrati ad essere amanti nella vita, piuttosto che eruditi, piuttosto che lavoratori, cosi come da giovani cosi crescendo.

    Ho parlato con anziani, di varia estrazione e successo sociale, e con varie storie alle spalle. Ho riscontrato di nuovo questo: chi si concentrava sull'amore a 20anni, era tale anche a 50.

    Chi era solo a 20, era tale anche a 50 e anche se sposato, tanto una scusa per stare lontani da casa si trova sempre. Il lavoro, gli amici, le passioni.

    Forse sono solo tipi umani diversi. Crescere c'entra poco, chi riesce ad amare in genere ci riesce quasi da subito.

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  10. Come no. Le persone sono diverse, certo. È cosa ben nota che certi eletti "nascano imparati", si sa. Potrà anche trattarsi di avere un'inclinazione naturale per i sentimenti o meno, chissà. Ognuno ha il suo carattere e le sue tendenza, la diversità umana è vasta e ricca. Quello che però non cambia è che, come anche tu ricordavi, il vissuto e l'esperito si sedimentano in ciascuno in funzione del tempo della vita di ciascuno, andando a depositarsi in quella che si chiama comunemente "maturità". Che ha molte facce anch'essa, ma nel caso credo si tratti dell'accumulo di riconsiderazione dei propri tentativi di riuscire a comprendere il sé e il prossimo, e le loro dinamiche. Alcuni la chiamano anche "saggezza", che è cosa ben diversa da cultura, intelletto, o intelligenza. La saggezza viene dall'invecchiamento, e spesso tutta una vita non basta, pur continuandoci a sbattere continuamente in faccia le nostre mancanze, i nostri errori e le nostre responsabilità (ovvero: colpe). Per la nostra rielaborazione, e memoria, e rammarico.

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  11. Confesso di non aver compreso una buona parte del post, probabilmente per ignoranza, perchè non conosco molti dei riferimenti che hai citato, però mi ha colpito molto come le cose che hai scritto in qualche modo "risuonino" con un certo modo di sentire che mi è affine. Una delle frasi che mi ha colpito di più quando la lessi parecchio tempo fa è " alla radice di ogni manifestazione religiosa c' è la consapevolezza che ogni forma di separazione genera sofferenza" e trovo tuttora che sia molto vero e in fondo penso sia questo il senso delle parole che hai scritto, sebbene non ne capisca bene il significato.

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    1. Ciao e grazie per il bel commento.


      Questo post è una "strategia di sopravvivenza", proprio come quelle di Mawaru Penguindrum. Pertanto, essendo molto personale, volendo come Utena o quelle opere lì, ognuno può trarne una propria interpretazione.

      Penso che per capirlo del tutto sia necessario conoscermi molto bene come persona. Infatti penso che forse l'unico che può comprenderlo interamente sia Shito.

      La frase che hai tirato fuori tu tuttavia è emblematica, e son contento che ti abbia preso. Emotivamente o intellettualmente non fa differenza. La vita è per di più questione di sensazioni. Da qui la nascita (e il senso) dell'attività poetica - volendo fare un esempio.

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    2. Si, capisco quel che vuoi dire dato che tra i miei "poeti" preferiti ci sono Mamoru Oshii e Andrej Tarkovskj : )
      P.S. Utena l' ho abbandonato al secondo episodio, ma penso che proverò a rivederlo.

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    3. Anche a me piace molto Tarkovskj. :)

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  12. Patire versus pentire. È diverso sì, ma è sempre e comunque un perseguire se stessi, in quel momento, ciecamente. Dolo e colpa cambiano l'entità della pena nei reati, ma nella vita nemmeno tanto. Il risultato è grosso modo il medesimo.

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