sabato 22 ottobre 2022

Oblio: Recensione


Oblio è un fumetto creato da un "collettivo" di autori e autrici regalatomi in amicizia da una di questi (grazie Diletta). È un'opera mista (ogni capitolo ha un disegnatore differente) basata sul senso di perdita (il protagonista perde la fidanzata in un disastro ferroviario) e la successiva riparazione del vuoto, dell'Oblio per l'appunto, che inevitabilmente segue al trauma. Il fumetto, composto da un unico volume autoconclusivo, è nato come autoproduzione per essere poi definitivamente distribuito dalla casa editrice Double Shot. La qualità generale dei disegni è buona e le tematiche di grande interesse per chi come me apprezza le narrazioni psicologiche e introspettive. Non si tratta tuttavia di un'opera perfetta: in Oblio vi sono troppi alti e bassi, troppa voglia di strafare e di lasciare il segno a tutti i costi, ovviamente a discapito di coerenza e realismo. 


Il capitolo che ho apprezzato di più è il primo: Michelangelo Tani fornisce un affresco molto evocativo e realistico del momento della perdita: sembra quasi di essere lì, sul treno, con l'amore della propria vita. La cosa forse ha valenza (involontariamente) simbolica: la morte, la perdita, il lutto, la separazione dalla propria amata è the real deal, la cosa reale. D'altro canto tutto il resto dell'opera, ossia il modo di affrontare tale "cosa reale", mi pare invece troppo macchiettistico e succube della finzione. La cura al trauma sembra più una forma di sedazione che una vera guarigione: la nuova ragazza del protagonista è una tizia conosciuta in discoteca con cui lui ha una relazione più sessuale che altro; all'ospedale c'è il pagliaccio che fa ridere i bambini stile Robin Williams e quindi sì, visto lo spettacolo tutto a posto, possiamo anche guarire. 


Il punto più basso dell'opera è indubbiamente il finale, che nella sua apparente inconsistenza e fighetteria da bimbi nichilisti intenti a leggere Schopenauer sulle giostre di Gardaland, in realtà è un po' il coronamento di un percorso fin da subito confusionario, una ricerca di senso fin troppo ostacolata da sensazionalismo e americanate di ogni tipo. Ci deve essere qualche vignetta splatter sulla guerra e allora il protagonista deve per forza incontrare un barbone reduce del Vietnam; ci devono essere delle rozze citazioni a Stephen King che cozzano con l'introspezione, relegandola involontariamente a simulacro: il mostro/ombra/male assoluto da affrontare con titanismo infantile, francesino, come se il dolore e la perdita avessero realmente un volto, una forma e un senso. 



Insieme al talento indiscutibile di Michelangelo Tani, ho molto apprezzato l'espressività di Genny Ferrari, il cui capitolo si potrebbe dire che sia il mio "secondo preferito". La fumettista infatti presta molta attenzione alle emozioni dei personaggi, ai loro primi piani, agli sguardi ecc. Peccato che il finale sputtani poi tutto, non riuscendo a far diventare il fumetto neanche un'opera di "ricostruzione del sé" con un fine ultimo, con un qualche senso educativo che non sia la solita piangina millennial verso il mondo/società brutta e cattiva. Da notare comunque il tratto espressionista di Antonio Marino, che disegna il capitolo più introspettivo dell'opera (che tuttavia ho trovato molto debole nei dialoghi).  

                                


Volendo fare un discorso più generico, la verità è che perdere la persona che si ama, addirittura vederla morire, è un dolore talmente grande che non può mai essere veramente rappresentato (vedasi La Nascita della Tragedia di Nietzsche). Ogni rappresentazione ha soltanto una funzione riparativa, allo stesso modo dell'affetto a pagamento elargito dagli psicologi o dalle prostitute. L'assenza della persona amata pesa più di un macigno; il vuoto, modulo vari strati di finzione e sedazione introiettati al fine di colmarlo, rimarrà sempre e a prescindere da tutto. In vita ciò che si danneggia si danneggia e basta, e ripararlo lascerà sempre qualche traccia di irrisoluzione, un po' come un vaso rotto i cui cocci sono stati riattaccati l'un con l'altro con la colla. Incontrare un barbone alla David Lynch nel proprio sogno, come accade nel capitolo disegnato da A. Marino, è cosa quasi risibile rispetto a una Juliette Binoche che si sfrega la mano contro il muro fino  a farsela sanguinare in Trois Coleurs: Bleu. Le stanze in cui prima c'era la persona amata che diventano vuote, silenziose, con tu che devi viverci dentro nonostante tutto, con il torace che ti si gela, le mani che ti tremano, le occhiaie che quando ti guardi allo specchio fanno quasi paura. Non c'è la guerra, non ci sono il Ponte Morandi e l'irritante magna magna dirigenziale italiota che uccide e affama la gente, non c'è I.T. né il pagliaccio buon samaritano dell'ospedale. Non c'è nulla, niente, tabula rasa. Forse era questo che volevano davvero rappresentare autori come Bergman, Antonioni o Kieślowski. Ma erano altri tempi, non esisteva ancora l'immersione totalizzante nella finzione/sedazione dell'oggidì. Esisteva una coscienza del reale e soprattutto della realtà della sofferenza. 


Chiusa la parentesi cinematografica e volendo tornare sul psicologico/filosofico, a seguire dal trauma, esistono vari gradi di danneggiamento, e vari gradi di riparazione. Nonché diverse tendenze all'aggravamento o all'alleviamento. Il fatto è che tutto ciò richiede tempo, la percezione dell'amore altrui, un tessuto sociale coeso. Tutto cose assenti nell'oggidì. Ed ecco che la finzione diventa una delle poche cose a cui attaccarsi per non cadere, appunto, nell'Oblio. E qui si spiega tutto il dramma del nostro tempo, in cui l'amore lo si paga o lo si ricerca in cani e/o pupazzi dei Pokémon, relazioni tossiche o, volendo generalizzare, nei feticci consumistici e umani tutti. E questo fumetto ne è un esempio lampante: nel dolore ci si aggrappa ai propri feticci consumistici adolescenziali, ai propri totem dell'intrattenimento, perché a livello umano non vi è nient'altro a parte essi.

11 commenti:

  1. "Ed ecco che la finzione diventa una delle poche cose a cui attaccarsi per non cadere, appunto, nell'Oblio. E qui si spiega tutto il dramma del nostro tempo, in cui l'amore lo si paga o lo si ricerca in cani e/o pupazzi dei Pokémon, relazioni tossiche o, volendo generalizzare, nei feticci consumistici e umani tutti. E questo fumetto ne è un esempio lampante: nel dolore ci si aggrappa ai propri feticci consumistici adolescenziali, ai propri totem dell'intrattenimento, perché a livello umano non vi è nient'altro a parte essi." Tutto vero.
    Sempre felice di vedere il blog attivo.

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    1. Sì, ora che ho più tempo libero e non so cosa fare riprendo/iamo col blog. Ovviamente tengo questa grafica vecchia anni novanta e tutta la legnosità a esso associata. Mi piace fare l'anticonformista :D

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  2. Felicitazioni anche da parte mia per la presenza di nuovi articoli. Il mondo del fumetto indipendente, nostrano e non solo, è abbastanza difficile da navigare, e magari ci sono un sacco di prodotti validi di cui non si viene a conoscenza senza incontri più o meno fortuiti (appunto) o senza beccare gli autori sui social!
    Per curiosità, la co-autrice ti aveva detto che l'animo dell'opera era creare una narrazione realistica, oppure qualcosa di più "ideale" e simbolico? (Chiaramente dal suo punto di vista, magari gli/le altri/e la pensavano diversamente.)

    P.S. Il libro di cui dicevi è a buon punto? Sta per uscire? :⁠-⁠)

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    1. Ehilà. Da quel che ho capito frequentando questa mia amica, che ne conosce tanti e anche di affermati, di solito campano lavorando per l'estero, dato che pagano molto meglio e ci sono più opportunità che qui. L'opera è cmq principalmente dell'autore/sceneggiatore e di simbolico mi dicono dalla regia che c'è soltanto la colorazione.

      Il libro l'ho finito e sto cercando una casa editrice. Se entro un anno non ne trovo una decente, registro l'ISBN io e lo metto a disposizione sia in ebook che cartaceo print on demand.

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    2. Avevo letto male e capito che ogni capitolo fosse sceneggiato e disegnato indipendentemente dagli altri, come penso sia comune... Questa organizzazione mi ricorda quasi quei video animati di YouTube in cui ogni spezzone di 3 secondi è realizzato da una persona diversa! A un primo sguardo possono sembrare caotici, ma se fatti con criterio danno un valore aggiunto alla storia.
      Per il resto, talvolta mi chiedo quanto dei loro ricavi derivi dalla "vendita diretta" ai fan e dalle collaborazioni nate spontaneamente sui social e quanto da contratti editoriali (senza distinguere mercato italiano ed estero): probabilmente varia abbastanza.

      Nelle case editrici principali avranno una gran coda di manoscritti da leggere... Però anche quello è un mondo vasto. Da esterno, immagino che se si accetta di non avere una buona distribuzione in libreria e di vendere quasi solo su ordinazione, qualcuno si trovi più o meno sempre. Escono perfino i romanzi della Caruso, il tuo sarà anche migliore! Buona fortuna :D

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    3. "Per il resto, talvolta mi chiedo quanto dei loro ricavi derivi dalla "vendita diretta" ai fan e dalle collaborazioni nate spontaneamente sui social e quanto da contratti editoriali"

      Di preciso non so, ma lavorando anche per l'estero campano decentemente, da quel che ho capito.

      "Da esterno, immagino che se si accetta di non avere una buona distribuzione in libreria e di vendere quasi solo su ordinazione, qualcuno si trovi più o meno sempre"

      No, queste case editrici che fanno print on demand sono scam che si basano sul narcisismo degli autori. Conviene autopubblicarsi piuttosto che andare da loro, anche perché di solito ti propongono contratti in cui ti inculano i diritti d'autore.

      "Escono perfino i romanzi della Caruso, il tuo sarà anche migliore!"

      Sì, alcuni mi hanno detto che è meglio di molti best seller, inclusa la mia editor. Un professore universitario di una casa editrice random invece mi ha detto che è scritto bene ma che i personaggi gli fanno cagare e che i problemi dei millennials sono cazzate giornalistiche passate di moda. Ma vabbò, non è un libro destinato ad accademici con la cattedra sopraelevata e l'ego iperuranico.

      Vedremo, tanto il manoscritto è lì, non scappa. Prima o poi avrai modo di leggerlo :D

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    4. Ah beh, ne avevo un'immagine più ingenua, del tipo "pubblichiamo qualunque cosa possa vendere tot copie, e se quello ha un blog che qualcuno legge si porta dietro qualche acquirente a scatola chiusa" :D

      (Riguardo il narcisismo degli autori, non posso non notare che se si fosse trattata di una mia opera sarei stato estremamente più suscettibile alle critiche, e mi sarebbe pericolosamente facile convincermi di aver scritto qualcosa di del tutto originale o viceversa la solita minestra riscaldata. Fortunatamente dubito di aver mai qualcosa da pubblicare!)

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    5. Ahahaha, no, non credo che quella gente abbia bisogno di questo blog per farsi pubblicità. Poi cmq la mia è una stroncatura.

      "sarei stato estremamente più suscettibile alle critiche, e mi sarebbe pericolosamente facile convincermi di aver scritto qualcosa di del tutto originale o viceversa"

      Io no, se sono critiche sensate, come quelle dei miei editor. Poi cmq ho affrontato la stesura in modo professionale, come se scrivere fosse stato un secondo lavoro.

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    6. Sì, certo, mi riferivo in specie a quella del professore, e in generale a quelle "distruttive" che per di più colpiscono eventuali incertezze che già c'erano. Soprattutto l'ambito dei puri rapporti umani mi darebbe un grosso timore di cadere nel genere "romanzetto intimista che si sarebbe potuto scrivere decenni fa ma si spaccia per contemporaneo". Ma appunto difficilmente potrei scrivere in maniera professionale.

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    7. Venendo fuori da un'ambiente accademico abbastanza duro e vivendo da solo a Milano sono abituato a lottare e a non aspettarmi niente dalla gente.

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  3. Tra l'altro mi stupisce che si possa speculare e guadagnare su tutto ciò che riguarda l'uomo, sia i vizi che le virtù. L'uomo è come il maiale, non si butta via niente. Neanche il suo narcisismo.

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