venerdì 21 ottobre 2022

Fratelloni & Sorelline (la cosa più radicale da fare)

Era da un bel po’ che volevo (ri)scrivere qui di una serie animata su cui ebbi occasione di lavorare almeno una vita fa, intitolata Gungslinger Girl, tratta dall’omonimo manga di Aida Yuu. Ovviamente, non ne ho più trovato la forza, anzi direi che nel frattempo, volendo trattare davvero dell'opera in questione bisognerebbe invero parlare di quella completa e originale, ovvero proprio il manga, che si è pure concluso ormai da anni. Tuttavia, almeno della (prima) serie animata mi era capitato di scrivere qualcosina privatamente, in inglese, a un mio corrispondente giapponese. Si discuteva dei nostri punti di vista sui contenuti ultimi della narrazione in questione. Insomma una cosa schifosamente otaku...


Curiosamente, sempre una vita fa, Gretel ebbe la voglia di tradurre fedelmente lo scritto anglofono di Hansel. Deliziato dalla bontà del risultato (e consentitemelo, leggermi tradotto in italiano mi fa a tutt'ora proprio un buffo effetto), pensai di pubblicare il frutto delle di lei fatiche, raffinandolo e integrandolo giusto un pochino per l’occasione – e così feci. Ma ripeto, anche questo accadeva una vita fa. Ora approfitto di questo spazio in cui sono un ospite, o un abusivo, per ripubblicare lo stesso testo, con ancor minori aggiornamenti e aggiustamenti ulteriori. ATTENZIONE: resta comunque la traduzione in italiano di un testo originariamente scritto in un inglese pensato per un lettore giapponese, dunque con un certo livello di ‘mentalità linguistica nipponica’ nella testa di chi ha vergato in prima istanza. Per questa semplice ma onesta ragione, probabilmente a lettori ‘puramente italiani’ lo stile di scrittura parrà forse un po' strano, ma forse anche incisivo, come in effetti è il giapponese: sempre molto scolpito e scandito, schietto ai massimi livelli.

In più, si tenga altresì presente che il mio interlocutore dei tempi conosceva tutta la (prima) serie animata quanto me, quindi scordatevi cappelli introduttivi del genere “che cos’è Gunslinger Girl”? Se non lo sapeste (e non sarebbe una colpa) e voleste intendere le righe che seguono (ma sarebbe una colpa?), potreste sempre dare una scorsa alla pagina di Wikipedia sul titolo in questione. In ogni caso, per l'intendimento plenario di molti riferimenti che seguiranno sarebbe necessario aver visto (e aver ben presente) la serie di cui si dice. Mi scuso con gli altri eventuali lettori.

Segue quanto segue.




Gunslinger Girl(s)

Dunque come è noto, ho lavorato alla versione italiana, sia in qualità di adattatore dei dialoghi che di direttore di doppiaggio. Ho scelto personalmente i doppiatori, e in più sono stato responsabile della completa direzione di produzione. Si è trattato di un bel po’ di duro lavoro e, come si potrà immaginare, ho sentito una profonda responsabilità di andare sempre più in profondità nell’opera originale, per capirla appieno.


Per essere onesto, quando venni in contatto per la prima volta con Gunslinger Girl, d'acchito pensai semplicemente: “Ok, diciamo che se GunBuster ed Evangelion erano dei 'bishoujo to robotto anime', questo è un 'rori to teppou anime'...”. (Le espressioni giapponesi significano rispettivamente ‘anime di belle fanciulle e robot’ e ‘anime di lolite e pistole’. La prima definizione venne realmente usata dallo stesso regista Anno Hideaki per definire, tra  il serio e l’autoironico, le sue due opere citate. N.d.T.) Pensavo a questo modo come per disprezzare l’opera. Ma mi sbagliavo. O anche, avevo ragione. Infatti, sia GunBuster sia Evangelion sono certamente dei ‘bishoujo to robotto anime’, ma ovviamente sono anche pieni di idee e momenti significativi. Lo stesso puù dirsi per Gunslinger Girl, che è senz’altro un ‘rori to teppou anime’, ma ha altrettanto un più profondo livello di lettura. In questo senso, chiaramente, il primo punto è: “se si parla di un amore di bambina, quindi di un sentimento d’amore tanto puro e idealistico... vi è alcuna differenza dal condizionamento mentale?” L'autore non esista a mettere questo preciso dubbio sulle labbra di una delle ragazze, ovvero Triela.



Di certo un ‘kanzen rabu’ (amore perfetto/completo, N.d.T.) può condurre una ragazzina totalmente dedicata a fare qualsiasi, qualunque cosa per il suo amato. Il che significa anche che ci si dovrebbe assumere una profonda responsabilità per amare una ragazza molto giovane. Questo perché l’amore, soprattutto l'amore assoluto e radicale di una ragazzina, non è un semplice gioco per godersi una vita compiacente. Quando sono coinvolti profondi sentimenti, un rapporto è sempre serio. Penso che Aida Yuu abbia messo un tale significato in Gunlinger Girl, e penso che questo sia davvero importante in questo mondo moderno di ragazze illuse e ragazzi irresponsabili, che pensano di poter semplicemente godere del sesso come si gode di una festa, o di un pasto...


Per quanto riguarda la prima serie animata di Gunslinger Girl, quella su cui ho lavorato personalmente, il suo contenuto segue la primissima parte del manga, ma ne rielabora il materiale narrativo, dando più approfondimento alla storia di Elsa DeSica & Lauro. Inoltre, le musiche sono perfette e aggiungono grande atmosfera alla storia. Il risultato sembra riuscito, e non si può non aggiungere che il regista del caso, ovvero Asaka Morio, aveva di certo già una certa esperienza con i sentimenti romantici giovanili femminili dai tempi di una certa cattura-carte di nome Kinomoto Sakura. La seconda serie, sottotitolata Il Teatrino, può sembrare di livello qualitativo inferiore, ma in realtà è il felice risultato di un tentativo autoriale di raggiungere una maggiore aderenza grafica allo stile di disegno del manga originale.


Ad ogni modo, che si tratti dei primi volumi del manga o della serie animata, la prima parte della storia ha ovviamente il compito di presentare tutti gli interpreti delle vicende, e i loro vicendevoli rapporti. Ma addentrandosi nella logica di questi ultimi, si vede bene che ogni coppia è in qualche modo bilanciata per rappresentare un particolare stato mentale di 'bambina innamorata’.


La protagonista Henrietta incarna l'archetipo dell’amore positivo, che ha speranza di essere ricambiato. Henrietta può sembrare semplice, ma non lo è. Dietro al suo candido sorriso è presente una onesta consapevolezza della propria situazione. Ma lei ha l’amore, quindi può sopravvivere persino a quella. Nulla può turbare una ragazza che è innamorata e ha la speranza di essere amata. Con Henrietta ecco Giosè, che non è un personaggio semplice. Non è il solito ‘cavaliere buono’. Lui ha ombre oscure in sé, collegate alla morte della sua vera sorella, Enrica (ovviamente Henrietta suona come Enrica-chan [Enrichetta, N.d.T.]).

 

Rico è l'incarnazione dell’amore per la vita, in quanto tale. Si può immaginare una vita senza alcuna possibilità di muoversi, o di fare qualsiasi cosa, sin dalla nascita? Rico è felice di avere una vera vita, e prova una grande gratitudine verso Gian, che gliel’ha concessa. Io penso che in realtà lo ami, a suo modo. Per contro, Gian può sembrare spietato nei confronti di Rico, ma questo perché lui deve ancora ‘ritrovare’ i suoi sentimenti amorosi dopo la perdita di sua sorella Enrica (e non solo). Si noti questo: il maschile di ‘Enrica’ è ‘Enrico’, e penso che il nome ‘Rico’ sia derivato proprio da lì (Rico non esiste realmente come nome italiano). Quindi fondamentalmente sia Giosè che Gian hanno subìto la stessa ferita, la perdita dell’amata sorella minore. Ma mentre questo ha reso Giosè ipersensibile, portandolo a ricreare un’ideale immagine/avatar di sua sorella (Henrietta), Gian è diventato totalmente freddo, persino ‘distruggendo’ l’immagine di sua sorella (come facendola rivivere in un maschio: Rico). Sono piuttosto sicuro che Gian scoprirà presto che ama Rico, solo che ancora non lo sa. Sarà un grande shock per Gian. Questa è la mia coppia preferita.

 

Triela, ovviamente, è la più ‘adulta’ delle cinque ragazzette protagoniste. Lei combacia alla perfezione con Hilscher, perché entrambi sono semplicemente ‘persone incapaci di esprimere i propri sentimenti’. Loro due sono proprio identici. Eventualmente lo scopriranno. Con questo, il rapporto tra Triela e Hilscher è anche il più ‘normale’ di tutte le ‘coppie di fratelli’, perché è fatto di discomunicazione e fraintendimenti emotivi. Le persone che non riescono conoscere onestamente i propri stessi sentimenti difficilmente possono dialogare  con chi amano, perché non riescono ad ammettere a loro stessi la loro stessa realtà e dipendenza emotiva. Ma proprio in questo Hilscher e Triela possono davvero completarsi a vicenda, imparando l’uno dall’altro la dimensione del proprio affetto.

 

Claes è il simbolo dell’amore di una figlia per il padre, la cui figura è incarnata nel suo gestore Labaro. Per di più, un padre, un educatore, purtroppo ben presto morto. Così Claes è il tipo di ragazza che è dovuta crescere in fretta, è diventata fredda e solitaria, e deve vivere per sé stessa solo per ‘onorare’ la memoria del suo mentore. Un dato significativo che viene espresso da Aida Yuu in merito a Claes è la non-ricondizionabilità delle bambine. Con spietatezza Aida Yuu ci ricorda che il primo amore è l’unico che possa avere la speranza di potersi dire il solo, ragion per cui resta poi quello che "non si scorda mai". Curiosamente, pressoché tutti concordano su questo semplice detto popolare, ma la sua altrettanto semplice ragione sembra essere dimenticata pressoché da tutti. Ma nonostante i tentativi di rimozione mnemonica, Claes non può dimenticare del tutto il suo pur defunto referente maschile, ed è quindi ‘condannata’ alla solitudine reale di un amore che è anche tipicamente vedovile.


Angelica... che si può dire di lei? Il primissimo esemplare di bambina con "corpo protesico" (come in Koukaku Kidoutai!) è piuttosto simile a Henrietta, solo persino più giovane. E in più, in quanto prototipo lei soffre di perdite di memoria. Anche se molto drammatico, lei è il personaggio più ‘strumentale’ del mucchio (infatti nel manga è anche la prima a morire). Penso che Angelica sia strumentale all’idea de ‘il cambiamento di un uomo’ in relazione al suo padrone Marco. Marco viene semplicemente distrutto dal senso di perdita del suo affetto per Angelica, che ha continue perdite di memoria. Come può esistere un affetto senza  memoria? Che senso ha l’affetto dinanzi alla caducità dell’essere umano? Credo che ogni vero innamorato, inconsciamente, desideri di non sopravvivere alla persona che ama, ma di morire prima di quella. Ma ancora, il significato di Angelica è lo stesso di quello di Henrietta: una bambina può essere felice fintanto che ha il suo amore, perché è ancora pura. La ‘prospettiva amorosa’ è ancora sufficiente per lei, ovvero esaurisce tutta la sua ‘prospettiva di vita’, che si risolve nella prima (il che, ovviamente, non potrebbe certo dirsi per una donna adulta), infatti alla fine dell’anime si può vedere Angelica morire con un sorriso di felicità sul viso, perché alla fine ha recuperato il proprio amore da Marco. Si noti dunque che è proprio Henrietta empatizzare più di tutti con Angelica, come a evidenziare ancor più la loro affinità di status mentale. E si noti anche che è la stessa Henriteta a ‘spiegare’ i sentimenti di angelica a Marco: certe volte una bambina può capirne di sentimenti femminili molto più di un uomo, anche adulto.

Benché sia imbarazzante, devo proprio ammettere che mi commuovo sempre quando vedo la scena finale con la morte di Angelica sotto la pioggia di stelle cadenti, e le altre ragazze che cantano l’Inno alla Gioia. Credo che questa scena, assente nel manga e realizzata per dare un finale alla prima serie animata, sia molto influenzata da Evangelion. L’ambientazione per le ragazze è identica a quello della fine dell’episodio 11 di Eva (SeishiShita Yami no Naka de - The Day Tokyo-3 Stood Still). Si può notare che Triela e Asuka recitano un ruolo molto simile parlando della società umana e della luce naturale/artificiale. E in più, anche l’uso dell’Inno alla Gioia (usato anche in Eva per la scena finale di Nagisa Kaworu) può essere un riferimento a Evangelion. In un certo senso, la morte di Angelica diventa come la morte di Nagisa Kaworu.

 

 

Infine, Elsa e Lauro. Loro sono proprio al perfetto opposto di Henrietta e Giosè. Se Henrietta è il simbolo di un amore corrisposto, Elsa è il simbolo di un amore disperato. Del resto, Lauro è l’opposto di Giosè: se Giosè è un nevrotico che cerca di prendersi la piena responsabilità dei suoi atti, Lauro è una persona sensibile che cerca di evitare quei sentimenti che sa che non potrebbe sostenere. Curiosamente, si direbbe che tra i due quello ‘normale’ sia certamente Lauro. Tuttavia, fino a che Elsa non ha incrociato col suo sguardo il sentimento tra Henrietta e Giosè, un amore speranzoso, poteva illudersi che la sua devozione ‘a senso unico’ per Lauro fosse sufficiente come sua ragion d’essere. Ma specchiandosi nel suo opposto, ovvero Henrietta, Elsa comprende l’insensatezza del suo sentimento, e quindi della sua esistenza. La fine dell’episodio 11 è davvero un capolavoro, con il montaggio ana-logico degli atti Henrietta ed Elsa. Davvero i quattro ‘cardini’ Henrietta-Giosè-Elsa-Lauro tracciano uno schema perfetto per mostrare i sentimenti e le emozioni umane. La scena in cui Elsa dichiara a Lauro quanto importante sia per lei il nome che lui le ha dato (o come lei dice: ‘donato’) è davvero toccante. “Daiji na mono desu! Zettai wasuremasen! ("È una cosa preziosa! Non la dimenticherò assolutamente!" N.d.T.) Stavo tremando per le profonde emozioni.

 


Elsa ci ricorda che persino una bambina innamorata deve essere ricambiata nel suo amore per avere una possibilità di essere felice. L’amore disperato può dissimularsi in devozione estrema, ma trattandosi di una devozione senza scopo risulta sempre in disperazione. La consacrazione a un ‘dio vivente’ del tutto insensibile all’esistenza stessa del fedele diviene autodistruzione. Ancora una volta, è ben significativo che Henrietta possa comprendere con facilità il sentimento di omicicio-suicidio d’amore di Elsa, del tutto incomprensibile per gli adulti presenti alla spiegazione della bambina. Dunque su tutto e su tutti trionfa questa idea dell’amore giovanile, puro, totalizzante, e quindi estremo e radicale. La cosa più radicale da fare è amare, ma assumendosi la responsabilità dell’amare, la responsabilità dell’essere amati. Questi sono temi che mi sono particolarmente cari, perché io per primo ritengo che la ‘deresponsabilizzazione sentimentale’ sia una delle più grandi piaghe del nostro tempo. La storia di Gunslinger gGirl, al contrario, si incentra sulla profondità di sentimenti imperituri quali il desiderio di fedeltà, di dedicazione a una persona, o a una causa, o a una vendetta. Tutti archetipi che al giorno d'oggi, nella società dei consumi e dell'appagamento mercenario di ogni falso bisogno, sembrano troppo dimenticati, per citare una certa volpe del deserto.



Ma quello sguardo. Quelle parole...


Now back to the future: qui diciamo che si concludeva il testo originale. Quindi, dopo cosìtanti anni, cosa aggiungere a chiosa del tutto?

 

Beh, direi in primis che è davvero mirabile che un così importante, incisivo significato sia stato infuso in quella che, in fondo, resta comunque una narrativa del tutto ‘leggera’ e ‘commerciale’ (per usare termini a me assai sgraditi, ma giochiamo a capirci, suvvia). Chi ha letto il manga fino alla fine, perché come dicevo si tratta di un'opera ormai conclusa e completa, saprà anche che fui un profeta fin troppo veggente sui cardini e sugli sviluppi della narrazione e dei personaggi.

In secundis, quando si parla della responsabilità del sentimento, mi viene sempre da ripensare al fatto che quel bel libro che si intitola Il Principino (per i meno perspicaci: sarebbe la traduzione italiana corretta de Le Petit Prince) sembra davvero essere ben compreso in Giappone, mentre qui in Italia – per non dire in tutto l’occidente – la lettura che se ne fa è del tutto buonista, favolistica e a mio parere persino antitetica rispetto al reale contenuto dell’opera. Varranno a scopo esplicativo poche righe di citazione. I grassettati sono dell'umile Vostro:

 

Le petit prince s’en fut revoir les roses:
– Vous n’êtes pas du tout semblables à ma rose, vous n’êtes rien encore, leur dit-il. Personne ne vous a apprivoisé et vous n’avez apprivoisé personne. Vous êtes comme était mon renard. Ce n’était qu’un renard semblable à cent mille autres. Mais j’en ai fait mon ami, et il est maintenant unique au monde.
Et les roses étaient bien gênées.
– Vous êtes belles, mais vous êtes vides, leur dit-il encore. On ne peut pas mourir pour vous. Bien sûr, ma rose à moi, un passant ordinaire croirait qu’elle vous ressemble. Mais à elle seule elle est plus importante que vous toutes, puisque c’est elle que j’ai arrosée. Puisque c’est elle que j’ai mise sous globe. Puisque c’est elle que j’ai abritée par le paravent. Puisque c’est elle dont j’ai tué les chenilles (sauf les deux ou trois pour les papillons). Puisque c’est elle que j’ai écoutée se plaindre, ou se vanter, ou même quelquefois se taire. Puisque c’est ma rose.
Et il revint vers le renard
– Adieu, dit-il...

– Adieu, dit le renard. Voici mon secret. Il est très simple: on ne voit bien qu’avec le cœur. L’essentiel est invisible pour les yeux.
– L’essentiel est invisible pour les yeux, répéta le petit prince, afin de se souvenir.
C’est le temps que tu as perdu pour ta rose qui fait ta rose si importante.
– C’est le temps que j’ai perdu pour ma rose... fit le petit prince, afin de se souvenir.
– Les hommes ont oublié cette vérité, dit le renard. Mais tu ne dois pas l’oublier. Tu deviens responsable pour toujours de ce que tu as apprivoisé. Tu es responsable de ta rose...
Je suis responsable de ma rose... répéta le petit prince, afin de se souvenir.



Chissà perché in occidente tutti si fermano alla bella prima frase del segreto della Volpe. “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.” Sembra proprio una cosa così poetica e profonda, vero? Una bella massima da stampare sulle magliette e scrivere sui blog. Ma senza capirne il significato. Sono convinto che la maggioranza degli entusiasti che adorano questa massima non ne abbiano neppure sfiorato il significato reale. Che tristezza! Il significato profondo, pesante, del tutto è nella seconda e soprattutto nella terza frase della Volpe. Ciò che si vede bene solo col cuore, non con gli occhi, sono i legami affettivi che si stabiliscono nel tempo dedicato ai riti dell’addomesticamento. L'attaccamento affettivo che ne discende rende "nostro", per noi speciale, unico, quel che prima era indistinto e indistinguibile dai suoi molti, comuni simili. Sono certo che un certo Natsume Souseki concordasse appieno. E come si vede dal crudele fato del Principino, si tratta di legami indissolubili, perché anche se gli uomini hanno dimenticato questa verità, si diviene responsabili per sempre di ciò che si ha addomesticato


Chissà, forse il Principino poteva capirlo perché era ancora un bambino, cioè era ancora puro, proprio come lo sono Henrietta, o Elsa De Sica. Infatti, alla fine il Principino sceglie la morte, e si suicida per espirare la colpa dell’abbandono della sua Rosa. È una lezione molto triste, ma altrettanto valida. Ed è davvero molto più triste notare come anche le lezioni migliori risultino del tutto vane, semplicemente perché non vengono intese. Del resto, suppongo che non ci sia peggior stupido di chi non vuol capire.

Chissà se scommettere sempre sulla minoranza dei coraggiosi che se la sentono di rischiare davvero, e comprendere anche ciò che potrebbe metterli in discussione, può dimostrarsi sensato sul lungo termine.

Chissà.

 Stessa canzone. Cartoline da Roma, Giappone.



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