venerdì 15 dicembre 2023

L'arcano significato di Puella Magi Madoka Magica



Nell'anno 2011 si era molto parlato di Mahou☆Shoujo Madoka Magica, una serie animata giapponese di quell'anno, anche nota col titolo internazionale in latino (!) classico (!!) di PUELLA MAGI MADOKA MAGICA (si pronuncia "puèlla màGHI màdoka màGHIca", con la fonetica restituta). Persino sulle varie board online nostrane vi era stata una certa frizione tra sostenitori e detrattori dell'anime, dove la critica più comune che veniva mossa verso l'opera di Shinbou Akiyuki e Urobuchi Gen era quella di un eccessivo, nauseante manierismo espressivo, ovverosia il suo replicare Sailor Moon, NarutaruBokurano, persino Pretty Cure, ma senza la verve del passato, quanto piuttosto e per contro applicandovi un'estetica loli-moe esasperata, compiaciuta e allucinata (allucinante?), frammista a sprazzi di scene e scenari che si sarebbero potuti definire post-dada, ecc. C'era inoltre chi paragonava la serie alla coeva Mawaru Pingdrum di Ikuhara Kunihiko, con cui in effetti non aveva e non ha nulla a che spartire, da cui ulteriore fraintendimenti di lettura. Detto tutto questo, è platealmente ovvio che Madoka Magica sia innanzitutto un'opera creata da otaku marci e rivolta e dedicata ad altri otaku marci, e quindi pienamente postmoderna e intimamente, strutturalmente autoreferenziale, decadente e degenerativa, oltreché pornograficamente violenta e voyeuristicamente lubrica. In pratica si tratta si qualcosa di realmente, e forse volutamente, disgustoso. Più che la tipica sospensione di incredulità di una narrazione fantastica, quest'opera parrebbe quasi voler instaurare nel pubblico una sorta di "sospensione di dignità", come a stipulare tra autori e fruitori un patto-non-detto di vittimistica e indulgente autocommiserazione dell'essere dei patetici reietti sociosentimentali. Tuttavia, come spesso accade con la finzione giapponese, anche dinanzi ai peggiori deragliamenti di depravazione, la serie ha comunque  un significato preciso, forte e chiaro, che chi scrive ritiene di valore. Credo sia per questo che, in passato (anche se con un usuale ritardo, perché sono tardo) mi sforzai, quasi mi violentai a guardare gli episodi fino all'ultimo, sorbendone l'amaro veleno sino a ingollarne sinanco l'aspro calice. Il significato vale più di tutto, il contenuto prima della foma, sempre, sempre. Eppure, scoprii con mio sommo sgomento, alla gran parte degli "appassionati" italiani sembra che il senso ultimo di questa serie sia tragicamente sfuggito, dunque in questo post – privo di qualsivoglia tempismo – cercheremo di enuclearlo così da metterlo in brillante luce. Perché non è mai troppo tardi per capire qualcosa, o il bene di non si sa chi, come sempre. Dacché ognuno so salva da sé.



Belle parvenze. Ottimi auspici.

Innanzitutto, ma di cosa tratta Madoka Magica?

Come è facilmente intuibile dal titolo, si tratta di un anime di maghette, un genere molto comune nell'animazione giapponese. Chi scrive ebbe il suo debutto professionale nel settore scrivendo uno "studio sulle maghette" (魔女っ子の研究, "majokko non kenkyuu"), ed era ormai quasi trent'anni fa (1994), tuttavia ora sottolineo come sia qui necessaria una più puntuale digressione strettamente linguistica, che ai tempi sarebbe stata inaccessibile a me per primo. Ovvero: quando si parla di "maghette", in genere ci si riferisce al termine originale giapponese di "majokko" (appunto: 魔女っ子), che in effetti sarebbe però doveroso tradurre come "streghette". Fa differenza? Sì. Questo perché "majo" (魔女) è un composto dato dai caratteri di demone-femmina, e indica pertanto una femmina demoniaca, quindi da intendersi propriamente come una "strega". Nel termine, giapponese come italiano, è intrinsecamente inteso un forte senso di femminea malignità, che di certo metterebbe d'accordo tutti i più diligenti e forcaioli inquisitori del passato, e per contro farebbe ancor più certamente esplodere il cervello alla larga maggioranza dei benpensanti di oggi, ma per quel che si voglia la lingua si determina da sé, e la linguistica diacronica ci parla della nostra storia culturale. Tant'è. Dunque tornando a questa particolare serie animata, specificatamente intitolata PUELLA MAGI MADOKA MAGIKA, abbiamo in effetti delle "majo" (魔女, streghe), gli antagonisti della situazione, mentre come protagoniste ci sono anche e soprattutto delle "mahoushoujo" (魔法少女), ovvero "fanciulle magiche": in questo ben più complesso composto di composti troviamo in primis 魔, cioè "ma", che è sempre il carattere di "demone", a cui aggiungendo poi 法, "hou" (che significa "tecnica, metodo") si ottiene 魔法, "mahou", che significa dunque "tecnica demoniaca", o "pratica maligna", insomma maleficio, magia, stregoneria. Ovviamente 少女 (shoujo, per intenderci lo stesso di "shoujo manga") si compone a sua volta di "piccola-femmina", ovvero ragazzina, fanciulla. Ergo in mahoushoujo abbiamo "tecnica demoniaca" (magia) + "piccola femmina" (fanciulla, ragazzina), quindi in totale il senso del composto è precisamente "fanciulla magica", o volendo proprio "maghetta". Tuttavia, noterete che scrivendo solo il primo e l'ultimo carattere  del tutto si torna inevitabilmente a majo, 魔女, strega.


Brutte sensazioni. Cattivi presagi.

 
Sembra una cosa complessa, in fondo si tratta di etimologia straniera di un sistema linguistico agglutinante e pittografico, molto diverso dal nostro, tuttavia è necessario cogliere e tenere a mente il banale fatto umano che agli occhi di un nativo tutta questa complessità sarebbe anzi ovvia a livello di intuizione persino inconscia. Certo la diversità linguistica è davvero meravigliosa, quando approcciata così, tenendo questa pacifica cognizione in testa: è proprio ritrovandoci nudi dinanzi alla diversità che iniziamo davvero a schiudere la nostra mente. In ogni caso, qui la cruciale importanza di questi termini e del loro rapporto si capirà in seguito, in modo altrettanto lampante, persino per noi stranieri. Perché nella storia di questo anime abbiamo essenzialmente varie ragazzine prescelte dall'animaletto magico di ordinanza, chiamato Kyubey/Cuba e certo un po' sui generis fin da subito, che vengono da lui "reclutate" appunto come "fanciulle magiche", Con una vera e propria sottoscrizione di un apposito contratto, l'inquietante bestiola realizzerà un desiderio della ragazzina di turno, e lei, così dotata di poteri magici, dovrà ripagare la regalìa impegnandosi a lottare per sconfiggere delle creature maligne dapprima non meglio identificate ma chiamate appunto "streghe", che risiedono in loro dimensioni surreali e parossistiche ma vengono dette responsabili delle morti violente e dei suicidi che avvengono nel mondo degli esseri umani (tenete a mente anche questo). Viene altresì specificato che le fanciulle che diverranno "magiche" sono scelte in ragione della grande entità del loro desiderare, per l'intensità della speranza con cui vogliono vederlo realizzato. Sembrerebbe tutta una cosa nobile e bella. Una meritocratica selezione delle migliori giovinette che vengono investite del più altro onore per compiere la più nobile delle missioni, vero?

Ma in realtà è tutta fuffa, ed è tutta una truffa.


Sono simpatico e carino, vero? E in più, anche immortale!
 

I più scaltri e arguti tra il pubblico avrebbero a questo punto già dovuto fiutare un sulfureo odoraccio di patto col diavolo, ma che volete, la gioventù è pura ingenuità, e poi non solo, è ancora molto peggio. Infatti le vicende prendono subito un tono molto tetro e sanguinoso, in netto contrasto con il design bambinesco delle ragazzine, ma se questa orrida distonia grafica ancora non bastasse, pur sfiorando livelli di compiaciuto sadismo grafico infantile pressoché ripugnanti, la svolta narrativa si rivela ancor più crudele:

1) la vita delle fanciulle magiche è a tutti gli effetti contenuta nel loro "ciondolo magico", gadget anch'esso d'ordinanza per il genere narrativo del caso, che in effetti contiene l'anima stessa delle "fortunate" ragazzine. Il loro corpo è ridotto a un fantoccio, una sorta di zombie o golem.

2) Perdere il ciondolo significa per tanto la lobotomia, romperlo significa morte. Di riffa o di raffa, niente di piacevole. Per di più, il ciondolo si consuma, o meglio si contamina, si annerisce, e va costantemente rigenerato, ossia purificato, proprio eliminando streghe. Ma cosa succede se invece diventa tutto nero?

3) Succede che la fanciulla magica del caso diventa lei stessa una strega, irreversibilmente, e come tale verrà cacciata ossia eliminata da altre fanciulle magiche future.

Una dinamica niente male, eh? La precisa battuta pronunciata da Kyubey/Cuba sul merito, che giunge come enunciazione (qualcuno direbbe "spiegone") del pacifico ovvio alla fine di un certo episodio e che lascia a dir poco sgomenta la protagonista, è esattamente la seguente:

"Kono kuni de ha, seichou tochuu no josei no koto... shoujo-tte yobundarou? Dattara, yagate majo ni naru kimitachi no koto ha... mahoushoujo to yobubeki darou ne."

Che tradurrei/adatterei (sempre molto fedelmente) come:

"Su questa terra, le femmine in corso di sviluppo le si chiama fanciulle, no? Quand'è così, quanto a voialtre che presto o tardi diventate streghe... vi si dovrà chiamare fanciulle magiche, eh?"

A voi la bellezza delle traduzioni precise e puntuali, che fanno capire gli originali reali. Ognuno si salva da sé, purché gli sia stata fornita tutta la preparazione necessaria. La preparazione alla comprensione di un testo straniero è la precisione della sua traduzione in una lingua a noi comprensibile, tutto qui. Quindi da quelle due semplici righe si capisce indubitabilmente come mai dicessi che era cruciale il rapporto etimologico tra majo 魔女 e mahoushoujo 法少, e spero che ora il barrato vi aiuti laddove la pronuncia delle parole italiane non può. Si noti inoltre che, nella succitata spiegazione testuale, per 'sviluppo' si trova lo specifico termine giapponese seichou, che indica specificamente proprio lo sviluppo fisico femminile (ovvero dei caratteri sessuati secondari, quali la comparsa del seno, dei peli pubici, nonché l'arrivo delle mestruazioni, ecc). Alla faccia della schwa, eh?


Adoro le spiegazioni espresse in termini univoci e puntuali!


È altresì molto interessante, anzi direi fondamentale, ribadire come Kyubey/Cuba esplichi questa terribile verità come una semplice realtà di fatto, della quale non si può che prendere atto, come se noi qui dicessimo "beh, sì, in italiano la materia plastica si chiama anche "gomma", no? Allora un'imbarcazione fatta con una grossa gomma la si dovrà chiamare "gommone", eh?" – una cosa del genere, quasi risolta nell'evidenza terminologica.

Così, essenzialmente si apprende che tutte le streghe sono ex-fanciulle magiche "esauste", "esaurite".

Ma esaurite in cosa?

Nella loro speranza, nel loro candore, nella loro purezza.

Si diceva infatti che non tutte le ragazze possono divenire mahoshoujo: solo alcune ne hanno il potenziale. Il potenziale è la grandezza dei desideri/speranze di ciascuna, in buona sostanza la loro predestinata disgrazia, poiché la dimensione del speranza [desiderio] risulterà nella dimensione della successiva disperazione [rimpianto], tant'è che a tutta prima Kyubey/Cuba si stupisce di riconoscere proprio Madoka abbia un alto potenziale: lei è una sempliciotta senza problemi né ambizioni che di desideri non ne ha alcuno. In ogni caso e non a caso, il ciondolo delle fanciulle magiche si chiama "Soul Gem", perché come dicevamo contiene la scintillante anima delle ragazzine, ma quell'anima è dapprima pura, cristallina, scintillante. Poi si contamina con le brutture della vita, con la disillusione, soprattutto con la perdita della speranza, e così si annerisce di disperazione. La candida speranza delle giovinette volge in nera disperazione delle ragazze cresciute, che da fanciulle magiche diventano inevitabilmente streghe, il cui annerito ciondolo prenderà ora l'eloquente nome di "Grief Seed", e che verranno cannibalizzate da altre, nuove, più giovani fanciulle magiche, le quali diventeranno poi a loro volta future streghe. In un ciclo continuo ed eterno. Dunque la parte più atroce della citata truffa non è solo che per "sopravvivere" le mahoushoujo dovranno 'cibarsi' di majou per tirare avanti, onde purificare continuamente la proprie Soul Gem, ma che le majou non sono altro che mahoushoujo del passato, "esaurite", "corrotte", ovvero nelle quali la speranza (kibou) si è mutata in disperazione (zetsubou) – ossia per le quali la Soul Gem, non essendo stata 'scaricata' della disperazione che accumula, si è mutata in Grief Seed. Quando si dice "mors sua, vita mea", un vero e proprio moto perpetuo di vicendevole antropofagia, o meglio ginofagia, letteralmente., perché è tutto al femminile. Chi si ferma è perduta, poiché la fanciulla magica che si rifiutasse di uccidere le streghe, avendone scoperta l'origine e cadendo vittima della pietà, diverrebbe ben presto strega a sua volta e verrebbe uccisa. Un vampiro pietoso non sopravvive, e così una pietosa Carmilla. O sbrani o sarai sbranata. Una specie di Saturno che mangia i suoi figli al contrario, e nell'altro sesso: non il vecchio che si ciba dei giovani, ma le giovani che si cibano delle vecchie. Di fatto è così, è per forza così.


Ho fatto i compiti e ho capito, ma non mi sembra carino...


Suona abbastanza spietato, come ipotetica tesi dell'angioletta crudele? Eppure questo è ancora soltanto l'inizio, una cosetta cattivella, ma niente più. Proseguiamo.

Ciò che Kyubey/Cuba illustrerà in seguito, sempre con la sua distaccata, gaiamente scientifica ilarità, è che tutta questa storia sorellicida viene in effetti intenzionalmente innescata, anzi incubata, e quindi perpetrata in giro per il mondo e nel corso della storia dala bestiola stessa e dai sui numerosi simili, perché a ben sapere lui non è che un singolo esponente di una specie cosmica primordiale nota appunto come gli "inCUBAtor". E perché mai questi pucciosi simapaticoni farebbero tutto ciò? Forse per il diletto di una razza di cattivissimi alieni dall'intelligenza superiore ma annoiati? Sarebbe un bel cliché, ma no, macché. A ripensarci, un personaggio di un anime assai intelligente, dinanzi al ragazzino protagonista che strepitava: "ma questo è troppo crudele!", commentava con distacco: "anche la crudeltà è una legge di natura". Wow, non proprio una massima da nostrano "buon pastore" (avatar medioevale di Gesù Cristo incubato a Roma), ma chi scrive ricorda ai nostrani lettori che in Giappone si usa dire, come un'ovvietà: "non si può essere tutti felici contemporaneamente". E quindi è così, Cuba/Kyubey non fa altro che lo sporco lavoro che serve a mandare avanti l'universo...


Tutto limpido e chiaro, no?


No, beh... "mandare avanti l'universo"? Cioè, ma in che senso?

Ah, sì, è presto detto: in un successivo, sempre molto esplicito dialogo della serie, tutta la faccenda viene portata su di un piano di metafora meccanicistica-fisica (entropia universale e cose simili): la razza degli incubator raccoglie l'energia "antientropica" che serve a mantenere in moto le cose del mondo, anzi proprio tutte le cose che esistono nell'universo. Senza questa "raccolta di energia" operata dagli incubator, l'universo raggiungerebbe la quiete caotica della massima entropia, e si fermerebbe nell'eterna stasi. Tuttavia questa raccolta energetica non è cosa semplice: innanzitutto bisogna individuare delle fonti opportune. E Cuba/Kyubey spiega alla protagonista che le fanciulle (esemplari umani di sesso femminile e giovane età) sono per loro natura portate a sperare, a desiderare, ma che per una ancor più rigida legge di natura, ossia per puro meccanicismo, il desiderio/sogno/speranza di queste *giovani femminucce umane* implicita una successiva frustrazione/disperazione di pari ma inversa entità. E quindi? L'ulteriore fatto è che proprio in questo passaggio da speranzoso desiderio a disperata delusione – in questa reazione, per così dire – si libera la più grande quantità di energia antientropica. Dunque Cuba/Kyubey spiega che la razza degli incubator ha deliberatamente innescato e perpetrato la suddetta dinamica di collasso da mahoushoujo in majo sin dalla notte dei tempi, e l'ha fatto sfruttando la razza umana in quanto 'portata' a ciò, poiché 'capace di sentimenti'.

E a ribadire il perché ci vogliano proprio la ragazzine per raccogliere questa energia antientropica, Cuba/Kyubey dice chiaramente e precisamente – parlando di "fonti energetiche":

"Toriwake mottomo kouritsu ga ii no ha, dainiji seichou ki no shoujo no... kibou to zetsubou no souten'i da".

ovvero:

"Tra le altre, a essere la più efficace... è il passaggio da speranza a disperazione delle fanciulle nell'età della seconda fase dello sviluppo".

Come si vede, per 'sviluppo' figura di nuovo il termine seichou, di cui dicevamo, questa volta persino specificato dal dettaglio "nella seconda fase dello". Quindi direi che si parla proprio del passaggio da preadolescenza ad adolescenza (femminile), e che il punto è sempre esattamente, precisamente e unicamente la questione della speranza/desiderio femminile giovanile (fanciulla >>> mahoushoujo) che si trasformerà in disperazione/disgrazia femminile adulta (donna >>> majo). Dunque, per Cuba/Kyubey è in realtà una una semplice dinamica di crescita: le fanciulle che molto desiderano e sperano sono magiche, poi quando perdono la speranza – crescendo – diventano naturalmente streghe, per venire cacciate da altre fanciulle magiche che ancora "ci credono".



Insomma, come dire che 1 + 1 equivale a 2, ecco.

E adesso, vi sembra fin troppo crudele? In effetti Cuba/Kyubey arriva a portare la questione etica sulla fredda logica del "tu stessa non piangi mica per il bestiame di cui ti nutri, no?", ovvero paragonando le fanciulline umane a delle bestie allevate, consumate, sbranate per la ricarica dell'energia dell'universo che l'entropia tende a consumare. Chi scrive vorrebbe far notare la semplice realtà che "mucca" non è il termine corretto per la femmina adulta della razza mammifera bovina, quello sarebbe invero "vacca". Invece, "mucca" è specificamente il termine che indica una "vacca da latte", ovvero una vacca allevata e tenuta in vita artificialmente in costante stato di lattazione, tramite il continuo ingravidarla e la continua sottrazione dei suoi cuccioli, affinché un altra specie (noi umani), possa cibarsi del suo latte materno, comodamente stipato nei frigoriferi delle famigliole del Mulino Bianco. E senza neppure stare a descrivere le condizioni in cui vengono obbligate a "vivere" (parola grossa!) queste vacche divenute mucche, direi che anche qui a livello di crudeltà e spietatezza non siamo messi male, vero? Occhio non vede, mente non sa (o si inganna di non sapere), cuore non duole, vero? La vita è di certo qualcosa di ben più spietato della morte. Beh, nel caso della triste dinamica di fanciulle magiche e streghe, almeno Cuba/Kyubei spiega che la specie umana è stata sempre sospinta da ciò – si vedono  infatti famose femmine umane (ragazze se giovani, donne se adulte) della Storia, figure apicali che hanno creduto, desiderato, ottenuto e si sono poi disperate a morte, da Cleopatra a Jeanne d'Arc ad Anne Frank. Cuba/Kyubey dice proprio: "se così non fosse stato, voi sareste ancora nelle caverne". In sostanza, la storia della specie umana viene illustrata come una meccanica portata avanti dall'energia femminile, l'energia della giovinezza femminile destinata a sperare e condannata a disperarsi, per legge di natura. Essenzialmente, il desiderio delle ragazzine, votato alla disperazione, è ciò che Cuba/Kyubey spiega avere mosso la specie umana dall'età della pietra a oggi. Il motore di tutto. Ci sarebbe da consolarsi un po', in effetti.



Lei sarebbe Cleopatra, chiaramente.

 

Lei Giovanna d'Arco, evidentemente.

 

Lei Anne Frank, probabilmente.

Insomma, non so se a questo punto il lettore occidentale etichetterebbe tutta questa storia, questa lettura della storia umana tutta femminile, come maschilista o femminista, patriarcale o matriarcale, oppure tutte queste cose, che poi in fondo è lo stesso. Ogni realtà presuppone il suo contrario, no? Non parlo di cose orientaleggianti come lo ying-yang, ma di roba anticamente nostra come la dottrina dei contrari di cui Anassimandro, oppure del creazionismo giudeo-cristiano in cui ogni cosa di distingue e definisce dicendola, ossia nominandola, avversa e distinta dal suo opposto. La luce dalle tenebre, il cielo dalla terra, eccetera. Eccetera. Sì, stavamo parlando di un cartone animato giapponese di maghette, sì. Quindi fine digressione filosofica, torniamo a questo più basso profilo di analisi.

 

La divina creazione, tramite separazione, di luce e tenebre
 
 
Ovviamente l'opera in esame costituisce e rappresenta una "decostruzione del genere" (anime di maghette) in stile Narutaru/Bokurano: anche questi due manga di Kitoh Mohiro, da principio "tranquilli", "delicati", "fantasiosi e fantastici" fino al limite del cliché diventano poi grevi e violenti: proprio lo stesso che accade con Madoka Magica, in maniera forse ancora più spietata e soprattutto grottesca. Tuttavia il significato di quest'ultima serie, la sua sostanza, a ben vedere si discostano nettamente dai due precedenti cartacei. Shinbou e Urobuchi,  con Madoka Magica, hanno creato una serie incentrata sulla femminilità, che data furbescamente in pasto agli otaku anche più maniaci, anziché compiacerli, tende piuttosto a mettere sottosopra tutti i cliché del "lolicon gokko" (pantomima lolitesca), spingendo il pubblico maschile più becero a riflettere e capacitarsi di quanto possa essere realmente gravoso il fardello assegnato "all'altra metà del cielo": essere destinate a sperare, desiderare e poi condannate a disperarsi (nell'ordine), per di più portando avanti la vita della specie a sacrificio e costo della propria ingenuità.

Vi pare una lettura complessa e troppo estrema?
Persino una sovrainterpretazione, magari?

Beh, se state pensando così, ripensateci. Ripensate all'evidenza. A tale tragico proposito, è infatti evidente come ogni strega si manifesti nella materializzazione delle sue repressioni personali. Le surreali materializzazioni delle dimensioni private in cui albergano le streghe fanno colpo per lo stile grafico con cui sono realizzate, ma il contenuto resta sempre quello che è. Cerchiamo di non guardare il dito che indica la Luna, grazie.  Dunque e per esempio, la prima che compare nella serie è palesemente la rappresentazione di una depressa bulimica, come si capisce da tutti i suoi dolciumi che la attorniano. La seconda è una ammorbata dell'estetica kawaii, probabilmente: i feticci di cui è letteralmente composto il suo mondo sono anche qui molto chiari. Ebbene, le streghe sono semplicemente la rappresentazione metaforica di donne abbandonatesi alle loro repressioni, alla loro disperazione. Ormai perdute nella nevrosi fattasi psicosi, chissà se passando dal disturbo borderline. Il punto non è che siano mostri. Così le vedono le mahoushojo dentro alla loro (di ciascuna strega) dimensione interiore, metaforici "spazi chiusi" della psicologia psicotica dei soggetti in analisi, che all'esterno non si dicono affatto apparire come donne più o meno normali. Si noti che questo livello di rappresentazione non è chiaramente esplicitato nella serie, principalmente per non rovinare la sorpresa di scoprire cosa siano davvero le streghe, ma guardando con pupille non offuscate si può tutto discernere fin dal vero inizio del tutto. Chi scrive ritiene che gli inconsci meccanismi di difesa che Freud vedeva innescati dalla nostra mente tendano a strutturarsi in vere e proprie strategie di sopravvivenza (mentale) anch'esse subconscie, da cui la sopravvivenza (mentale) alle proprie nevrosi e poi eventualmente il collasso psicotico. Qui sto ovviamente spaziando di mio e per voi, ma la metafora posta e presupposta a fondamento e scheletro concettuale della serie animata in analisi, obiettivamente e definitivamente, è quella di un mondo retto dalla perpetua dinamica di sogno/desiderio (infanzia) e disperazione/rimpianto (adultità) femminile. Un tragico, inevitabile ciclo in cui nuove fanciulle faranno pulizia e preda delle carcasse delle vecchie distrutte dal rimpianto. E così la specie umana, come ricordava Cuba/Kyubey, è stata tratta fuori dalle caverne e lanciata nel movimento evolutivo dalla natura femminile, induce le fanciulle a desiderare di più e poi disperarsi da adulte, in quella 'follia' che è la vita di un essere autocosciente, ma mortale. Per dire che in uno stagno perfettamente quieto, buttando un sasso, le increspature che si generano sono caos, segnale, vita (procedimento stocastico, anche). Sì, anche nel mare di Dirac, se volete.

 
La strega di una bulimica, si direbbe. Divora ragazzine. Gnam.

 

Troppo crudo? Stoppo radicale? Stoppo spietato? Troppo triste?

Ebbene questo è un cartone animato, una storia, un contenuto, un pensiero giapponese. E al di là della rappresentazione senza dubbio fantasiosa, drammatica, esagerata, maniacale, direi pornografica persino, la mia personale esperienza diretta mi dice che queste stesse cose sono percepite e date del tutto per scontate ancor più che veritiere quanto alla visione, percezione, mentalità sociale nipponica. Anche restando solo nell'infantile ambito dell'animazione, tanto per dire, qui si può ricordare un bel dialogo evangelico tra Kaji e Ritsuko (con Misato che non capiva niente, benché fosse ancora quasi sobria) in cui si diceva che "uomini e donne sono come omeostasi e transistasi"...? Anche per Anno Hideaki l'uomo, per sua natura, è entropico. Tende alla stasi, alla conservazione dello status quo, a fare il pantofolaio – si direbbe. La logica, l'ordine, tutto ciò che la rappresentazione psichica della realtà, ovvero il pensiero puro, ambisce essenzialmente alla stasi, che è morte. Il logos è destrudo, è rappresentazione del mondo, e conduce alla morte. Per contro, la donna è transistatica, antientropica, tende al cambiamento. Esprime il desiderio di vita, anzi la voglia del mondo, wille. Per Aby Warburg è l'espressione dell'archetipo della ninfa, ossia il movimento della natura, ossia il caos, il disordine e l'adattamento, o metis, se volete.


La strega di Ritsuko avrebbe di certo una "foggia felina"...

E dicendo di questa concezione tragicamente matriarcale della realtà e della vita umana, beh, da un bambinone come Anno Hideaki sarebbe davvero molto semplice e facile saltare a un letterato colto come Murakami Ryuu (una loro combo anche su questo stesso blog). Oppure, dovremmo parlare di quel che il poeta e maestro Miyazaki Hayao ha espresso sotto il testo di tutti i suoi capolavori animati? Nelle parole di Suzuki Toshio, produttore, compagno d'arme e amico fraterno di una vita di Miyazaki stesso, il regista "vede essenzialmente il mondo come fatto di maschi e femmine", quindi "le sue storie parlando sempre di un ragazzo che incontra una ragazza, e sono una coppia fatta a prima vista". Una forma di romanticismo estremo e radicale, davvero degno del primissimo otakuzoku, che l'acclamato cineasta vivifica persino nei suoi racconti più fanciulleschi (Sousuke e Ponyo, coppia di innamorati prescolari dove lei mette sottosopra mari e monti, letteralmente, pur di riunirsi e darsi a lui – come la leggenda del serpente bianco insegna, e come la regna delle nevi dimostrava, e come miti e tragici classici che già esprimevano, dalla mistericamente eleusinica bellezza di Persephone, alla follia di Medea, a tutte le donne incontrate, conosciute e abbandonate da Odisseo, sino a rifiutare in ultimo la casta Nausicaä, in medias res. E si badi che tra Cina e Russia e Grecia, siamo sempre in Oriente, eh! Ora dovremmo parlare di Perseo, Medusa e Andromeda (non di Kurumada Masami), o delle storie dello Hagoromo Densetsu, forse, ma no – torniamo nel Giappone contemporaneo. Potremmo quindi dire del diffuso, costante senso di rapporti e ambizioni di famiglia nucleare, realizzate o peggio ancora negate e sofferte, che sempre e da sempre reggono le dinamiche e tirano le fila dei prodotti shounen, da  Dragonball a One Piece (con tutto quello che c'è in mezzo). Ordunque, tornati in Giappone, tra manga e anime,  riprendiamo di nuovo con la magica Madoka: passando però dalla fabula all'intreccio.


Il fato di Persephone, di Walter Crane
 
Essì, perché ciò di cui abbiamo detto sinora è solo la fabula, dai risvolti persino universali ed eterni, ma è sempre una globale fabula, ossia una sequenza di fatti e antefatti che costituiscono una trama. Ma questa trama, quale intreccio di umani motivi ed emozioni va a sviluppare? Secondo la schietta quanto limpida osservazione di un'amica (italiana) del padrone di casa, si potrebbe persino ridurre il tutto a: "le streghe sono letteralmente le ragazze dal cuore spezzato", una sintesi estrema che non sarebbe granché sbagliata, magari aggiungendo che "la loro sofferenza manda vanti tutto il creato". Eppure, a questo punto si deve aggiungere che le speranze, i desideri delle fanciulline che costituiscono la chiave di volta di questa storia non riguardano i meri sogni romantici tipici delle adolescenti. Ogni fanciulla ha il suo desiderio, di vario genere, e proprio questa differenza costituisce il motore dell'intreccio, sino all'apoteosi del finale. 

Bisogna quindi introdurre la presenza della seconda protagonista delle vicende, un'altra fanciulla magica apparentemente del tutto estranea al gruppo della protagonista, che risponde al nome di Akemi Homura. Sin dalla sua prima apparizione, la cupa e spregiudicata Homura appare anzi come la vera nemesi, perfetta antitesi dell'ingenua Kaname Madoka. Inoltre, è evidente che Homura "sa tutto" sin da principio, e proprio in base a questa sua conoscenza protegge Madoka guardandole le spalle, salvandola da ogni pericolo, e soprattutto prodigandosi affinché Madoka non esprima alcun desiderio a Cuba/Kyubey, diventando così una fanciulla magica. Ma perché?


Lei è Akemi Homura, sprezzante e determinata.

Beh, se Homura "sa tutto", questo vuol dire che sa anche quale terribile truffa sia il patto con Cuba/Kyubey, il che significa che volerlo impedire a una fanciulla non è che un tentativo di proteggerla. E certo, infatti è così. Dietro alla durezza di Homura non vi è infatti che un fortissimo desiderio di salvare Madoka, un desiderio espresso e ripetutamente temprato nel tempo – chi avesse visto o volesse vedere la serie capirà di certo la ragione di questa precisa mia scelta lessicale: Homura, che in passato era lei stessa diventata una fanciulla magica esprimendo il desiderio di salvare Madoka, ha avuto in ricompensa il potere di ripetere il tempo, e sta in effetti reiterando sempre la stessa successione di eventi, che si conclude inevitabilmente, "ogni volta" con lo stesso fallimento: Madoka finisce per diventare a sua volta una fanciulla magica, e soccombe nello scontro finale con la strega delle streghe. E si ricomincia d'accapo, con Homura che ripete il tempo grazie al suo potere, e si indurisce una volta di più a ogni giro di ripetizione. Difatti, se apprende che il tempo narrativo mostrato nella serie animata non era affatto il suo primo "tentativo": ve ne erano, insospettabilmente, molti altri pregressi. Quanti non lo si sa neppure. Quel che viene mostrato, tramite flashback, è che al "vero principio" delle vicende la caparbia mahoushoujo era Madoka, la fanciullina sprovveduta era Homura. Ma quale potrebbe essere, all'ultimo, il desiderio di Madoka? Il desiderio di colei che pur non avendo alcuna personale ambizione o aspirazione, essendo suo malgrado divenuta il crocevia di innumerevoli reiterazioni temporali è anche colei su cui convergono "innumerevoli intrecci di causa-effettuo". Diciamo che fin da subito, dinanzi alle spiegazioni di Cuba/Kyubey, l'innocente protagonista era andata in crisi perché non accettava che la speranza delle fanciulle fosse vana di per sé, in quanto necessariamente destinata al frustrarsi nella disperazione.


Homura fronteggia la strega finale Walpurgis. Di nuovo.
 

Con Cuba/Kyubey che continua a tentarla, incalzandola: "Trattandosi di te, che sei diventata il punto apicale del karma che lega i destini di una moltitudine di mondi, per quanto esagerata fosse la richiesta, dovrebbe potersi realizzare. Avanti, Kaname Madoka... al prezzo della tua anima, che cosa desideri?" – alla fine la Madoka, che a causa del suo sconfinato potenziale può esprime davvero qualsiasi desiderio, di qualsiasi entità, raggiunge la sua risoluzione ed esprime quello che in effetti risulta il desiderio dei desideri, "Io..." (sospirone) "...voglio che tutte le streghe siano cancellate da prima di nascere. Da tutto lo spazio, nel passato e nel futuro, tutte le streghe... con la mie mani!". Ovvero, non accettando che la disperazione delle fanciulle sia la fine necessaria di tutta la loro speranza, Madoka desidera che le streghe, ovvero le fanciulle magiche disperatesi, non esistano e non siano mai esistite nella realtà.

In sostanza, nell'universo attuale e reale, descritto e spiegato da Cuba/Kyubey, tutte le fanciulle sperano, e tutte le fanciulle in seguito si dispereranno di pari dimensione ed entità della loro speranza. Tra tutte, solo alcune avranno sogni e speranze e desideri tanto grandi da poter diventare fanciulle magiche (volendo realizzarli) e quindi di seguito diventare streghe, una volta necessariamente disperatesi. Ma come dice sempre Cuba/Kyubey, attonito dinanzi al desiderio espresso da Madoka, un tale cambiamento andrebbe a sconvolgere la dinamica stessa delle leggi naturali dell'universo, tante che l'infame bestiola apostrofa schiettamente la richiesta di Madoka dicendole che: "Quella preghiera... se una simile preghiera venisse realizzata... questo non sarebbe neanche a livello di interferenze temporali! È una rivolta contro le preghiere stesse! Ma tu... hai davvero intenzione di diventare un dio?". Un'esternazione sgomenta quanto sincera e onesta. Tuttavia, la risposta della ragazza è però ancora più categorica "Dio o cos'altro, fa lo stesso. Tutte coloro che hanno combattuto le streghe sino ad oggi... le fanciulle magiche che hanno creduto nella speranza... io non voglio lasciarle nel pianto! Desidero che abbiano il sorriso fino alla fine! Per quale legge intralci tutto ciò, che sia infranta... che sia cambiata! È questa la mia preghiera... il mio desiderio! Avanti, realizzalo... Incubator!".

 
 
E dinanzi a cotanta esplicita e imperiosa volitività, sì, la preghiera viene esaudita. Il desiderio viene realizzato. Si noti tuttavia che Madoka esprima il suo desiderio per il detto 'apice' di speranza e disperazioni giovanili femminili, ovvero per quelle fanciulle che prima sognano in grande, diventando mahoushoujo, e poi in grande si disperano, collassando in majou. Il desiderio di cambiamento è effettivamente motivato e rivolto a tutte queste speciali fanciulle, sia passate che presenti che potenziali, ma una volta riscritta la legge del creato, la stessa vale per tutte le femminucce dell'universo. Questo lo dice altresì Cuba/Kyubey. Quindi anche le più modeste speranze delle ragazze comuni non sono più destinate a diventare comuni disperazioni, perché il precedente nesso di causa-effetto necessario che legava il passaggio tra le due fasi è stato rimosso a livello cosmico. L'universo è cambiato nella sua fibra. Ma per assurgere a ciò Madoka si è comunque sacrificata, e in piena coscienza, proprio dinanzi agli occhi di un'esanime e ormai sconfitta Homura, alla quale aveva detto: "Homurachan... scusami. Io... diventerò una fanciulla magica. Io... infine ho capito: ho trovato un desiderio che voglio realizzare! Quindi, a questo scopo... userò questa mia vita. Scusa... scusa davvero. È perché tu, Homurachan, mi hai sempre... sempre sempre protetto, hai vegliato su di me fino a qui... che penso esista l'attuale me stessa. Scusa davvero. Una simile me stessa, infine ha scovato una risposta. Abbi fiducia. Assolutamente... non vanificherò quello che tu, Homurachan, ha fatto sino ad oggi." Si tratta a tutti gli effetti dell'apoteosi di una storia d'amore in senso lato e al più alto livello di intensità, persino di ossessione egoistica da un lato, di benevolenza altruistica dall'altro. E con questa risoluzione interiore, diventando la fanciulla magica estrema e definitiva, armata di un arco di nerbo vegetale (ci mancano giusto i melograni), e scagliando una freccia non alla strega finale, ma al cielo. E nell'universo così ricreato, lei semplicemente non esiste e non è esistita nel mondo, essendosi resa – come paventato – un essere al di là dello spazio e del tempo.

 

Danza di coppia di eroine romantiche. Chi conduce chi?


La scena finale, ambientata nel nuovo mondo riordinato, una disorientata Homura incontra la famigliola di Madoka, di cui ovviamente Madoka non è parte, non essendo "mai esistita". Homura sembra però averne una sorta di lascito mnemonico, oltre che a portarne in mano i nastrini per capelli, che è per qualche ragione prova a consegnare alla madre. Proprio quest'ultima ci mostra infatti i cambiamenti della nuova legge dell'universo sulle femmine "normali".



Da così...
 


...a cosà.
 

La madre di Madoka, che per tutta la serie era sempre stata mostrata come una donna in carriera molto nevrotica, fissata col suo aspetto estetico, col suo apparire giovanile e rampante, nel finale dove la speranza femminile non collassa in disperazione è una dolce mammina – che anzi rifiuta i nastrini offertigli da Homura perché: "quelle sono cose per ragazze giovani come te, io ormai sono troppo anziana".


Ossia da nevrosi...



...a serenità.

E questo è il finale della serie. Se si eccettua un successivo, breve epilogo anch'esso ambientato nel mondo riscritto, dove la comunque fanciulla magica Homura va a caccia non più di streghe, ma di "malebestie", esseri dall’inquietante aspetto maschile (per espressa richiesta e intenzione degli autori), che simili a ciclopici eremiti avvolti in delle tuniche sembrano seguire vari schermi virtuali che hanno dinanzi al volto (a me fanno pensare alla profezia che Egawa Tatsuya lanciò alla fine di DEADMAN, ma anche a cose come i video-social network, tipo TikTok). Accanto a Homura, lo stesso Cuba/Kyubei si comporta da bravo gattino della maga, ed è lui stesso del tutto ignaro di una pregressa esistenza di un "altro mondo governato da altre leggi", dove esisteva una fanciulla di nome Kaname Madoka, delle cui cose – tutte quante – sempre e solo Homura sembra avere vaghe schegge di ricordi, o forse sogni.

Invero tale epilogo pare sia stato aggiunto in extremis dagli autori per lasciare aperta una porticina su un possibile seguito, cosa che in effetti poi ci sarà, ma questa è davvero un altra storia, quindi non vi è luogo di introdurla qui...

Piuttosto, proviamo a tirare delle somme.


Vi prego lettori, valutate con pupille non offuscate...
  


Personalmente, credo che questa serie animata sia una produzione davvero... al limite. In molti sensi, dico, e forse di non così banale interpretazione – quantomeno per noi occidentali. Eppure, tutti i miei amici giapponesi con cui ne ho parlato avevano chiaramente capito il punto, dicendomi: "è la tragedia delle bambine tradite dalla vita che diventano fujoshi", oppure: "è che le femmine non non possono rifugiarsi indefinitamente nella finzione, e i loro sogni traditi nella realtà le portano a essere fujoshi", cose così. C'è da dire che i miei corrispondenti nipponici sono tutti otaku di prima generazione di vecchio stampo, gente della mia età, o più anziana – e dico in Giappone. Dunque qui urge un'altra digressione linguistica: "fujoshi" è un termine giapponese slang con cui ci si riferisce all'equivalente femminile degli "otaku", e indica delle giovani donne (non più ragazzine) che continuano a condurre una vita privata di solitudine sentimentale appestata da feticci narrativi femminili, tipicamente finzione yaoi, o simili. La dizione è specialmente crudele, perché la scrittura giapponese è 腐女子 (fujoshi), letteralmente "ragazza marcia". E come se la crudeltà non bastasse, occorre spiegare che il neologismo nasce come variazione di scrittura dell'omofono  婦女子 (fujoshi), questo un termine di giapponese standard, che indica "ragazza in età da marito", o "ragazza in età muliebre". Il risultato è che il termine slang 婦女子 (fujoshi) fa immediatamente pensare a una ragazza che sia marcita perché scaduta, nel senso di invecchiata oltre la sua data di scadenza, ovvero il periodo adatto per il matrimonio. Troppo spietato? Eppure questa è una dinamica linguistica assolutamente banale, in giapponese – certo anche la spietatezza di Kyubey non deve apparire così allucinante, in patria. Del resto il Giappone è anche il paese dove esisteva il "vecchio" detto: "Le donne sono come le torte di Natale, vanno consumate prima del 25." Delicatissimo, vero? Non che dai noialtri non esistano detti ancor più beceri, per carità. Tutto il mondo è paese, ma ogni paese ha le sue. Simili semplici, banali casi linguistici ci fanno capire come anche la percezione di un personaggio o di una storia, del loro valore e del loro significato, anche quando potessero sembrare i più universali del mondo, ebbene in realtà variano tantissimo in relazione all'ambiente umano creativo e fruitivo di riferimento. Siete davvero certi, ad esempio, di aver potuto cogliere la caratterizzazione di Katsuragi Misato - una ventinovenne che nel 1995 vive da sola con il frigo pieno di birra e stuzzichini e non si fa neppure il bucato da sé - per come intesa e percepita nella sua patria? Oppure vi siete fermati alla sua avvenenza, alla sua apparentemente gaia esuberanza? Ancora una volta, e una volta di più, occorre essere onesti: l'universalità narrativa non esiste affatto, invero non è che un vagheggiato fantasma oppure un confortevole alibi atto a nascondere la pigrizia della comprensione dinanzi all'intrattenimento straniero. Comprendere la diversità intrinseca all'estraneità del prossimo è un qualcosa che è sempre e solo un tentativo, e richiede sempre e comunque sforzo e fatica. In particolare, cose come manga e anime sono prodotti subculturali pensati e realizzati da giapponesi per giapponesi. Prendono le mosse e si riferiscono a contesti socioculturali a noi alieni, a scale valori che per noi sono a volte persino impensabili.


Melagrane e noccioline di Annigoni, natura morta.

 
Tornando al particolare di Madoka Magica, secondo un mio caro amico di Tokyo, che direi francamente un colto nonché appassionato conoscitore di anime di lunga data, con questa serie animata gli autori hanno voluto "mostrare ai maschi che non vogliono crescere – gli otaku – quanto sia dura e inevitabile la crescita per le femmine, che loro idolatrano da rori, ma che poi dovranno comunque crescere, anche se loro [i maschi] non vogliono vederlo". E questa, sì, è davvero una lettura di secondo livello, ossia un tentativo di interpretazione delle intenzioni dell'opera. Si tratta quindi di un giudizio soggettivo, con delle componenti di intuizione e presunzione, con cui si può concordare o meno, in maniera più o meno documentata. Vale a dire che mentre cosa il regista abbia espresso è chiaro nelle parole dei personaggi, e se ne può soltanto prendere preciso e puntuale atto, al contrario l'obiettivo comunicativo quanto messo in scena resta sempre all'interpretazione del pubblico. Detto ciò, per mia personale opinione, direi in primis che vedere della misoginia in Madoka Magica, come qualcuno ha pure inteso fare, è una cosa proprio matta matta. Al contrario, credo che Madoka Magica sia una serie palesemente incentrata 'tutta sulle femminucce' e sulle asperità della loro condizione esistenziale, e in questo credo sia davvero una delle serie di più genuino amore non già "tra femmine", né "per le femmine", ma proprio verso la femminilità in quanto tale – pur idealizzata in un modo molto maschile e per questo semplicistico – che abbia mai visto. E credo che proprio questo sia, in buona sostanza, tutto quel che di bello e di buono ossia di significativo ci sia tutt'oggi da cogliere e ricordare in quella orripilante serie animata.

Amen. Sipario. Magia.

1 commento:

  1. Quando vidi questo anime, nel 2011, non fui in grado di capirlo veramente. Leggerti ed editarti nel 2023 (nonché aver avuto a che fare con le donne, alcune delle quali ho amato) mi ha senz'altro aiutato a unire alcuni puntini rimasti sospesi nella mia testa. Tra le tante cose mi viene in mente anche Gurdjieff, che lessi prima ancora di vedere Madoka Magica e di conoscere Shito l'adattatore di cartoni animati. Lui scriveva che la vita è come un albero i cui dolci frutti sono destinati a cadere a terra, a marcire e a essere riassorbiti dal suolo. E che in virtù di ciò, la femmina va amata e rispettata perché il suo ruolo, nel meccanicismo della vita, è assai gravoso. Comunque, santoni armeni o meno, siamo pur sempre maschi: la vera essenza del tempo ci sfugge e sempre ci sfuggirà, in quanto il tempo non ce l'abbiamo nel corpo. Infatti, molto onestamente, hai scritto: "pur idealizzata in un modo molto maschile e per questo semplicistico". La Sofia, per gli gnostici, non per niente era femmina.

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