martedì 7 settembre 2021

Love & Pop: Recensione

Titolo originale: ラブ&ポップ
Regia: Anno Hideaki
 Soggetto:  Basato sul romanzo Topaz II di Murakami Ryuu
Sceneggiatura: Sutsukawa Akio
Musiche: Mitsumune Shikichi
Anno di uscita: 1998


Ci sono due scrittori di cognome Murakami: quello privo di spessore e manieristico che più o meno tutti conoscono qui in occidente, Murakami Haruki, che scrive di aria fritta, e quello davvero intellettuale e profondo, Murakami Ryuu, il racconta(non)storie di una Tokyo malata di consumismo e lusso sfrenati (la bolla economica degli anni ottanta, baburu ).  Dettaglio non trascurabile per chi un minimo conosce l'animazione giapponese, il secondo è lo scrittore preferito di Anno Hideaki. E infatti, in Love&Pop, che è l'adattamento cinematografico (d'autore) del romanzo Topaz II, abbiamo un omaggio non trascurabile al vero Murakami. Se in Tokyo Decadence, nel quale lo scrittore girava il suo Topaz (al quale Topaz II fa da sequel concettuale) l'anello di topazio era un appiglio della prostituta Ai per cercare di trovare l'amore in un mondo che ne è privo  (una veggente le aveva detto che tramite di esso avrebbe avuto l'uomo di cui era innamorata, che l'avrebbe tirata fuori dalla wasteland della sua stessa esistenza), in Love&Pop l'anello è svuotato di ogni forma di appiglio pseudonarrativo: esso è semplicemente l'oggetto cui l'accompagnatrice minorenne Yoshii Hiromi ambisce per colmare il proprio vuoto interiore. Ai infatti è più vecchia di Hiromi, e si nutre ancora di qualche forma di illusione; l'adolescente invece dà già per scontato il vuoto materialista in cui vive, e sa perfettamente ciò che sta facendo senza aspettarsi alcunché, a parte ovviamente il possesso di oggetti materiali. 

 

La regia di Anno è provocatoria: essendo stato lui stesso un utilizzatore dei terekura (telephone club) di enjokousai, abbiamo un'atmosfera alienante, che riproduce fedelmente il mood dei romanzi di Murakami Ryuu, per di più infarcita di inquadrature morbose, da vero lolicon amante di minigonne e uniformi scolastiche. Il padre di Hiromi, la protagonista, è un otaku dei treni; la madre è completamente persa in sé stessa e incapace di comunicare. Già all'interno della famiglia la mancanza di amore e comunicazione spinge la ragazza a buttarsi in chat, sms et similia per provare a sé stessa la sua esistenza; per sedarsi in risposta ad una condizione di solitudine opprimente. Nella Tokyo decadente non vi è pertanto una forma sana di comunicazione: già nel 1998, senza Instagram e Onlyfans, gli stessi disagi di massa dell'oggidì, indotti dall'abuso di social media come risposta ad un vuoto spirituale disarmante, erano al loro apice.

 

Dato che Anno in quel periodo andava a nuoto, il film si apre proprio come la sigla di chiusura di Evangelion, ossia con una protagonista che galleggia suggestivamente, immobile, in acque che paiono del liquido amniotico. Arriva poi una presentazione delle anti-eroine del film, che non sono capaci di amare proprio come i loro genitori. Si vantano di lasciare il proprio ragazzo e di cambiarlo a piacimento: le persone sono ridotte a oggetti, e la cosa viene ribadita in una scena in cui un'amica di Hiromi le mostra il suo tatuaggio, rappresentante un codice a barre. Poi vi è la ragazza di diciassette anni, quella più grande e spigliata, che si vanta di aver fatto sesso con un vecchio conosciuto in chat. Dal canto suo, la protagonista pensa soltanto agli oggetti, e riflette, quasi come se fosse Anno a porsi questi interrogativi, sulla natura stessa del desiderare: "È difficile trattenere il desiderio per qualcosa, perché sopraggiunge un senso di impotenza per non avere quel qualcosa". Il desiderio va esaudito subito, altrimenti potrebbe sparire, lasciando la protagonista alle prese con la propria solitudine. È quindi evidente il processo di animalizzazione dell'essere umano, completamente subordinato alla sedazione immediata delle proprie latenze. La riflessione di Murakami Ryuu, che viene ripetuta un po' in tutti i suoi romanzi, viene lucidamente cooptata da Anno: cosa può succedere se l'intera società è composta di bambini solitari che sanno soltanto giocare col sesso, la violenza e il possesso?

 

I (non)eventi del film, dopo aver inquadrato personaggi e mood di un ordinario mondo da incubo, sono le strambe richieste dei vari clienti delle chat enjokousai. Nella prima metà del lungometraggio avremo vecchi salaryman talmente soli da dover pagare le ragazzine per pranzare con loro, e altre cose moderatamente fetish, tipo uno che ama collezionare gomme masticate dalle liceali; nella seconda parte invece il tutto diventerà molto più cupo, e si arriverà a pazzi e maniaci sessuali. In particolare, in modo quasi schockante, uno psicopatico omicida farà da grillo parlante a Hiromi, il che è tanto paradossale quanto significativo ("Non devi darti a estranei. Devi darti soltanto a chi ti vuole bene!"). La scelta della musica classica a permeare inquadrature claustrofobiche e la generale tendenza borderline di una società del disagio si rivela più che azzeccata: Anno scimmiotta nuovamente Kubrick e imbastisce anche qui, allo stesso modo di Evangelion, una propria poetica della solitudine con riflessioni annesse, uno spleen postmoderno questa volta reminiscente di certe pellicole di Sion Sono.

 

La lucidità dell'otaku Anno porta a brevi, ma intensi barlumi di significato: i vecchi che vogliono cucinare per le ragazzine sono bruciati, impossibilitati a capirle, ma attirati dalla giovinezza in sé stessa come le api al miele, mentre invero quella giovinezza è marcia nella sostanza a causa della società che questi stessi boomer hanno contribuito a creare. Il candore delle ragazze è anche lui un anello di topazio, un oggetto ormai di consumo nel quale rifugiarsi, nel quale fuggire, sprezzanti del fatto che un giorno l'illusione finirà e ci si ritroverà polverizzati come Urashima Tarou una volta aperta la scatola del tempo. Paradossalmente, con Love&Pop, anche se il merito è più di Murakami Ryuu che suo, Anno va oltre l'analisi "sociologica" di Evangelion e anticipa FLCL: al di là dell'inettitudine delle figure genitoriali – altro grosso punto in comune con la suddetta serie OVA –, le protagoniste del film sono proprio come Mamimi: "Never Knows Best", la rassegnazione totale al nulla esistenziale. Ciò detto, volendo imbastire una catena fenomenologica di sensazioni maturate durante la visione, la solitudine porta all'insicurezza, e l'insicurezza alla paura dell'abbandono, che a sua volta porta ad una nuova solitudine che si nutre di oggetti effimeri e transitori per disconoscersi. Il migliore di questi oggetti? L'altrui giovinezza, spesso negata in una società come quella giapponese. Recuperare, illusoriamente, quanto è stato negato, o quanto si crede di aver perso. Oppure, nel più semplice dei casi, pura sedazione: la fuga dalla propria irreversibile realtà personale. E qui, in questa constatazione, abbiamo la risposta sul perché il sesso, soprattutto con ragazze giovani, sia così tanto in voga in società post-consumistiche di massa come la nostra. Un atto naturale è diventato più assuefazione che condivisione. Questo perché la solitudine di una vita circoscritta nella propria miseria esistenziale necessita di potenti mezzi di fuga o di anestesia spirituale (e per i giapponesi il discorso sullo "spirito" è particolarmente rilevante, si pensi a tutti i rituali del loro passato antropologico).

 

Poi vi è la storia-nella-storia dei due omosessuali: lo scrittore che chiede a Hiromi, che per caso si è ritrovata col suo telefono, di rispondere al suo fidanzato, molto più giovane, che lo sta lasciando.  Essendo tale scrittore molto più vecchio del compagno che ha appena perso, dice esplicitamente alla ragazzina una cosa la cui sostanza è che il suo partner era troppo giovane per saper amare - trop jeune pour savoir l'aimer (cit.). "È troppo giovane per capire, non ho più niente da dirgli". Hiromi quindi gli parla di ciò che le ha detto lo psicopatico col pupazzo, che l'aveva risparmiata soltanto grazie ad un suo atto di "bene incondizionato", ossia riparargli con ago e filo la "mascotte" per pura gentilezza disinteressata. Lo scrittore quindi risponde che "bisogna darsi soltanto a chi ti vuole bene" sono le parole di un cuore gentile. Il film poi si conclude rendendo nella sua frenesia e senso di estraneazione totale l'idea di cosa sia realmente l'amore, il quale trascende qualsiasi forma di egoismo, oggettificazione, melodramma, dipendenza o intellettualismo - "Ecco, vedi... io sono uno scrittore, non posso di certo parlarti da adulto".

 

Hiromi se ne tornerà quindi a casa, nel solito ambiente disfunzionale col padre che gioca come un ritardato e la madre chiusa in sé stessa; sognerà tuttavia di aprire il frigo e di trovare al suo interno dei cani congelati; quello da lei abbracciato si scioglierà, e prenderà vita scodinzolando. E con questa metafora, la cui interpretazione rimane a carico dello spettatore, si conclude la parabola artistica del migliore Anno Hideaki, la "coscienza otaku" dei '90.

 

 

15 commenti:

  1. Questo articolo (è a mio giudizio riduttivo e squalificante chiamarlo "recensione") è mirabile. Ci sono passi fondamentali di tutta la cifra intellettuale di un autore e di una società, che ritroviamo così limpidamente espressi solo negli interventi dello stesso autore nel catalogo "Little Boy" dell'omonima storica mostra di Takahashi Murakami. Le opere di Murakami Ryuu ci mostrano gli effetti deragliati della "Grande Disgregazione" di cui Fukuyama scrisse dopo aver (anche lui) detto su "La fine della storia".

    Mio modesto contributo sulla cover del LD di Sadamoto Yoshiyuki: la ragazza, come nel film, è vestita con la stessa divisa scolastica di cui "nel mondo alternativo" che si vedeva in coda all'ep.16 di Evangelion, l'avrai notato. Il fatto che le abbia, su un binario interrotto, la macchinetta fotografica in mano la rende davvero affine a Mamimi di FLCL (ultima scena). Un presente abulico senza alcuna destinazione. Certo che con la penna sull'avambraccio avrebbe potuto scrivere "NEVER KNOWS BEST", invece che il titolo del film, senza dubbio. Graficamente l'illustazione è incredibile e ci fa capire quanto Sadamoto sia sempre stato sprecato sull'animazione. Dai capelli scarmigliati al panneggio della gonna, fatto di ombre e luce cangiante come il Ghirlandaio insegnò a Michelangelo che lo mostrò al mondo, è incredibile. Per non dire della composizione dell'immagine. Quando rivedrò Sadamoto dovrò dirglielo.

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    1. Grazie Shito per l'apprezzamento. Sadamoto poi penso sia uno dei migliori charades di sempre, per di più anche persona/autore di spessore.

      Penso che comunque, cosa che i più ignorano, il pensiero veramente "maturo" della GAINAX si ricolleghi inevitalmente a Murakami Ryuu (Topaz II e FLCL, come tu stesso fai notare). Infatti la parabola artistica del (vero) Anno si chiude proprio con un adattamento di un suo romanzo.

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  2. Se consideriamo che "Love&Pop" è figlio dello stessissimo periodo artistico che porto Anno alla realizzazione di "TheEndofEva", e al suo disperato "ONE MORE FINAL", è difficile non concludere che l'autore, dopo il fallimento comunicativo e autoterapico intentato con la serie originale, avesse preso coscienza che la sua "malattia" fosse già così tanto innervata nella società giovanile da esserne diventata strutturale, e come tale irrisolvibile. Da cui questo film, di fatto nato dagli esperimenti di riprese live-action per "Magokoro wo Kimi ni", e poi il richiundersi del tutto escapistico di Anno nella creazione di regie del tutto dilettuose, ovvero vacuità che non sono neppure autoterapiche, ma meramente analgesiche. Tutto sommato, al "DAICON-IV O.A." è "Ooritsu UchuuGun" era già stato detto quel che c'era da dire, e sono ancora tutti a perdersi nela ricerca della loli che versi l'acqua sul daikon rinsecchito per tramutarlo in astronave verso il futuro ("DAICON-III O.A."). Triste. Twilight, I only meant to stay while... ma cosa accade quando un'intera società, un intero mondo resta incagliato nel crepuscolo. Si responsum requiris, circumspice.

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  3. Ho visto il film ispirato da questo post e da un video YouTube credo abbastanza ispirato (https://www.youtube.com/watch?v=rlTPVV5X-tA).

    Come contributo, posso solo confermare l'ozioso giudizio estetico che avevo prima: il Giappone di fine anni '90 (inteso come ambientazione) mi sembra essere il trionfo della pacchianeria e della desolazione. :) (La prima sarà l'immagine della seconda?)
    Probabilmente c'entreranno la regia di Anno e la ripresa in digitale (soprattutto la seconda), ma direi non sia un'impressione "contingente" - passa per i vestiti, per il modo in cui sono strutturati gli spazi ecc. Avevo la stessa reazione a pelle con i video degli Stati Uniti più appariscenti degli anni '90 / primi 2000.
    Però devo dire che anche i pochi video che ho visto del Giappone "reale" di oggi mi davano lo stesso senso di desolazione. (Forse è un motivo per cui dubito che andrò a visitarlo sul serio, in futuro...)

    Per quanto la cosa sia poco sensata, se Love & Pop si fosse svolto in una qualunque città italiana pure alla stessa epoca (senza cambiare la sceneggiatura e la regia, solo l'ambientazione), il tutto sarebbe apparso spontaneamente molto meno opprimente e più "patinato", se mi si passa il termine. :)

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    1. Tra l'altro nel '98 paradossalmente non siamo neanche più in periodo di boom economico: la bolla finanziaria era esplosa nei primi 90s. Love&Pop è in un certo senso il disagio nel disagio. Murakami Ryuu aveva intercettato i problemi derivanti dall'opulenza e dalla mancanza di spirito di tutta una società del benessere esagerato; Anno ha preso quella riflessione e l'ha adattata allo spleen disagiante post '95 (ossia post Aum e post Kobe).

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    2. Beh, già Topaz II è del '96, m'informa Wikipedia. Non so cosa abbia aggiunto Anno, magari ha solo adattato a sé il punto di vista.

      Dovrei vedere qualche film realistico giapponese anni '80 come termine di paragone. :D

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  4. Vorrei però ricordare a tutti (ben due!)che, in ogni nazione e in ogni epoca, la società e la sociologia urbana non è quella provinciale che non è quella rurale. Lo diceva già Rousseau ai tempi dell'Emile. La densità è un valore fondamentale, quando si parla di etologia umana. Ok, Rousseau era un po' più duro, alla faccia di chi crede l'uomo un "animale sociale" fregandosi le mani per porlo sul suo bel letto di Procuste, già brandendo la sega e il torchio all'uopo.

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    1. Io mi riferivo appunto a realtà urbane - per quanto il termine corrisponda a densità diverse negli USA, in Giappone e in Italia. Non so se in Italia ci si comporterebbe diversamente se si vivesse in una città da 35 milioni di abitanti piuttosto che in una da 3 o 2 o più piccola: il fatto che una città sia fatta e vissuta in un certo modo dipende dalla cultura locale alla fine, con concessioni alle necessità pratiche. Se da noi esistesse una megalopoli, difficilmente non avrebbe comunque il centro storico. :D

      Dicevo: mi mancherebbe una versione cinematografica realistica della vita a Tokyo negli anni '80 (ovviamente tralasciamo gli anime) per raffrontarla con una sua rappresentazione fine anni '90 come vorrebbe essere Love & Pop.

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    2. Ecco due punti di partenza:

      www.youtube.com/watch?v=5BnMipDBx2Ihttps:

      www.youtube.com/watch?v=hcdnFA0t0kk

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  5. (Riguardando a spezzoni questo film, mi è venuto in mente che probabilmente non è un caso se si svolge nella giornata del 19 luglio 1997: è la data di uscita di The end of Evangelion!
    ... Avevo da fare solo questa osservazione inutile, ma non l'ho vista scritta altrove. :))

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    1. Mica tanto inutile come osservazione!

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    2. Dato che non avevo finito il discorso all'epoca, concludo ora in caso qualcuno capiti qui: :D

      al di là dell'autocitazionismo, scegliere tale data forse serviva ironicamente a spingere gli otaku a notare la situazione sociale in cui si trovavano: "Mentre tu andavi al cinema di corsa a testa bassa e pensavi solo a vederti il finale di Evangelion, se avessi alzato lo sguardo e dato un'occhiata in giro, avresti notato una o più ragazze con poche prospettive di futuro e dedite agli appuntamenti a pagamento".

      Seriamente, mi era rimasto nella tastiera all'epoca e me n'ero dimenticato... Tornerò forse quando avrò effettivamente visto qualche finale di Evangelion (non necessariamente il The End) per ribadire a priori che Love & Pop è l'opera migliore di Anno. *emoji sorrisetto e pollice in su*

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  6. Personalmente ritengo che TheEndOfEva e Love&Pop abbiano molti legami - nella mente del loro comune autore.

    In ordine sparso:

    1) è un fatto evidente a chiunque abbia visto TheEndOfEva che il fuoco di una narrazione di "persone rotte" si sposti verso la relazionalità sessuale-sentimentale, "di coppia", come mai prima. Sembra di essere passati da Freud e Klein (la serie) a Klein e berne (il film).

    2) è un fatto evidente a chiunque abbia visto TheEndOfEva che Gendo si comporta con Rei come un vecchio con una enjokousai in un Love Hotel.

    3) è un fatto ben noto e ufficialmente dichiarato che Anno sia da sempre un fan di Murakami Ryuu, e ne abbia citato l'opera anche in Eva (i nomi di Suzuhara Toji e Aida Kensuke) e in interviste intorno a Eva.

    4) è un fatto confermato da materiali ufficiali che Anno sperimentava il TereKura (telephone club per chiamare le enjokousai) mentre stava lavorando a TheEndOfEva.

    5) è un fatto a chiunque abbia i LD originali che in coda all'episodio 26' (Magokoro wo Kimi ni - in versione "episodio"), le anticipazioni dell'episodio successivo siano un trailer di Love&Pop.

    6) è un fatto che in Magokoro sono state inserite da Anno delle riprese del pubblico in sala a vedere Death&Rebirth, nonché delle riprese dal vivo delle seiyuu [scena tagliata].

    A voi.

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