domenica 9 gennaio 2022

Heidi, la fanciulla delle Alpi: retrocensione (by AkiraSakura & Shito)

 Titolo originale: Shoujo no Alps Heidi
Regia: Takahata Isao
Soggetto: basato sul romanzo originale di Johanna Spyri
Sceneggiatura: Ookawa Hisao, Sasaki Mamoru, Yoshida Yoshiaki
Character Design: Kotabe Youichi
Musiche: Watanabe Takeo
Studio: Zuiyou Eizou
Formato: serie televisiva di 52 episodi
 Anno di trasmissione: 1974


A Takahata Isao, forse il maggior regista di animazione giapponese mai esistito, dobbiamo numerosi capolavori, sin da quando nel '68, con Hols no Daibouken, stabilì le coordinate di un'animazione intellettuale e raffinata che voleva discostarsi dai canoni francamente bambineschi di Disney/Tezuka per avvicinarsi alla cinematografia francese, in particolare Grimault e Prèvert, il cui sforzo congiunto La Bergère et le Ramoneur aveva impressionato molto il giovane Takahata. Dopo le brevi parentesi di Lupin III e Panda Kopanda, il regista, forte di un notevole budget dovuto al coinvolgimento dello sponsor Calpis (azienda nota per prodotti latticini industriali), dà alla luce quello che a parere di chi scrive è il suo secondo, vero, grandissimo e rivoluzionario capolavoro: Alps no Shoujo Heidi. L'opera fu talmente importante da contribuire tra le tante cose a convertire l'aspirazione della Toei Animation a diventare la Disney del Sol Levante (si pensi ad Hakujaden, che paradossalmente è l'adattamento animato di una favola cinese) in qualcosa d'altro, dal sapore sì occidentale, ma allo stesso tempo squisitamente giapponese nella sostanza. Nella presente disamina, come è solito di questo blog, si farà ovviamente riferimento alla versione in lingua originale dell'opera, scevra dagli infantilismi e dagli errori dell'adattamento italiano ben noto al pubblico mainstream nostrano (notare come nella versione italiana si perdono anche tutte le insert song originali volute da Takahata Isao, che sono importanti per una reale comprensione dell'opera). Dato che solitamente in Italia e all'estero questo tipo di anime tratti da romanzi occidentali dell'800/900, denominati "World Masterpiece Theater", in giapponese "Sekai Meisaku Gekijou" (i.e. "Il teatro dei capolavori dal mondo"), sono stati associati alla nascita della Nippon Animation dopo la scissione della Zuiyou, che aveva avuto non pochi problemi economici a causa dell'elevatissimo budget utilizzato da Takahata per Heidi, vi è una scuola di pensiero secondo la quale Flanders no Inu sia il primo vero meisaku esistente. Tuttavia, per i giapponesi (ovvero nella realtà dei fatti) il progetto in origine si chiamava "Calpis Children's Theatre" e "Calpis Family Theatre" (incluso Heidi, che come accennavamo era sponsorizzato dalla Calpis latticini) e, almeno fino ad Akage no Anne, il primo meisaku chiamato veramente "meisaku" dai nipponici, il nome del filone televisivo variava in base all'azienda produttrice di alimentari che lo finanziava. Il progetto venne poi "formalizzato" al fine di esprimere la volontà educativa mondialista dei boomer giapponesi, che volevano fornire ai "nuovi giovani" della loro nazione dei riferimenti culturali comuni con l'occidente.
 


La trama dell'opera sarà probabilmente già nota ai più: Heidi è un'orfanella che viene portata in un paesino delle Alpi svizzere (Maienfeld) da sua zia Dete, che deve andare a lavorare a Francoforte. In una baita al di sopra del piccolo centro abitato vive in completo isolamento il burbero e soprattutto misantropo nonno della bimba (tra l'altro ex-omicida nel romanzo originale, cosa di cui Dete, nell'anime, sembra a conoscenza nonostante non citi mai espressamente il fatto), che dovrà farsi carico dell'affidamento della piccola, priva di altri parenti in vita che possano occuparsene. La figura di questo anziano solitario è assai temuta dai compaesani, che lo chiamano Alm-onji, ossia "lo zio dell'Alpe". La piccola ed assai entusiasta Heidi inizialmente ci rimarrà male quando il suo ojii-san le dirà che avrebbe cercato di abituarsi a lei; tuttavia, con il passare del tempo l'Alm-onji dimostrerà di essere un nonno vigile e affettuoso, e soprattutto si mostrerà in grado di cambiare in meglio come persona grazie all'affetto incondizionato di Heidi, e alla spontanea responsabilizzazione che l'nziano quanto improvvisato educatore svilupperà per lei. Dopodiché la zia Dete tornerà a riprendersi Heidi per spedirla a Francoforte a fare da dama di compagnia alla giovane Clara, la figlia paralitica del facoltoso mercante Sesemann. Nonostante la costizione, lo spaesamento e la forte nostalgia per i suoi monti, la bambina fraternizzerà con Clara abbattendo numerose barriere sociali e culturali: Clara è infatti elegante, educata, ricca e colta; Heidi è cresciuta da analfabeta in mezzo alle bianche capre e alla ancor più candida neve. Tuttavia, una volta che Heidi diventerà persino sonnambula a causa della per lei soffocante "reclusione" borghese, Classen, il dottore di Clara, la rimanderà in montagna dal nonno, e in primavera Clara la seguirà a sua volta per cercare, una volta rafforzatasi grazie all'aria pura di montagna e all'ambiente conviviale, spontaneo e salutare ivi presente, di riprendere a camminare sotto la saggia guida dell'Alm-onji (che in questo modo si riscatterà anche definitivamente come essere umano) e ancor più della "scassa emotiva" spontaneamente riservatale proprio dalla piccola Heidi, la cui genuinità – maggiore persino di quella dei cibi di montagna  sarà infine in grado di strappare i legacci psicosomatici della malattia di Clara, che il saggio medico già aveva compreso essere invero nevrotica più che fisiologica. Invero, una crudezza forse realmente impensabile per i "giovani adulti" di oggi, così aggrovigliati nella loro diffuse nevrosi "al confine" (borderline) con la psicosi così lucrosamente trattata con farmaci prescritti alla bisogna (ma di chi?), e davvero tremano i polsi a pensare che – di questa serie – Miyazaki Hayao ebbe poi a dire che nel crearla lui e Takahata "furono ambiziosi, perché volevano creare una sere animata per bambini che non fosse un giocattolo" (sic.) In effetti porsi dinanzi a questa serie animata per bambini al giorno d'oggi, in un'epoca in cui prodotti del tutto giocattolosi vengono bellamente rivolti al pubblico adulto (si pensi alla pletora di Marvel-movie, ecc.) può essere persino destabilizzante nella sua portata di umiliazione generazionale. Ma con tutta la sua serietà e contenuto umano, nella trasposizione animata così come nell'originale letterario, si trattava veramente di una storia dedicata "a tutti i bambini e a chi ama i bambini", come l'autrice del romanzo originale Johanna Spyri scrisse esplicitamente in apertura del suo libro: la storia di come la genuinità di una fanciullina, anche sfortunata, riesce a redimere gli animi di tutte le persone che la incontrano. Di certo un soggetto che avrebbe fortemente influenzato il giovane Miyazaki Hayao, ma che il regista Takahata tradusse in una raffinata serie animata assai meno banale di quanto spesso si crede.



Prima di addentrarci nei contenuti dell'opera, occorre dire che il successo di Heidi in Giappone fu esorbitante, con picchi di share del 26% e rotti, e data la sua fascia oraria (domenica alle 19:30), l'anime contribuì ad affossare la serie animata originale di Uchuu Senkan Yamato, che andava in onda lo stesso giorno alla stessa ora. Non a torto si parla di una pietra miliare della storia dell'animazione giapponese e mondiale, un'opera che lasciò un segno indelebile nel suo ambito, e non solo. A guidarne la realizzazione c'era il duo Takahata+Miyazaki, con il primo alla regia e il secondo alla creazione delle animazioni, che sospinti dalle energie e dal fervore espressivo della loro gioventù e di quella particolare epoca fecero davvero faville, utilizzando più del doppio dei rodovetri richiesti da una produzione animata standard dell'epoca. Il tutto era coronato del character design espressivo, delicato ed essenziale di Kotabe Youichi, già giovane veterano della Toei Douga, che avrebbe poi spostato la sua brillante carriera verso il più redditizio mondo dei videogiochi (sì, Super Mario è più o meno Heidi ci baffi e il berretto). Come risultato di questo fortuito quanto felice olimpo artistico, ancora adesso le animazioni e i fondali di Alps no Shoujo Heidi stupiscono per la loro bellezza. Troviamo assai significativo che lo stesso Miyazaki, che ai tempi si sobbarcò di una mole di lavoro pressoché inumana, a più riprese ricorderà quel periodo come "il più felice della sua vita", e Heidi come "il più grande capolavoro di Takahata" – sempre riconoscendo l'autorato del capolavoro al suo amico e "compagno d'arme" più anziano.



Accanto al fervore quasi compulsivo del giovane Miyasan, il lassismo del suo mentore di sempre Pakusan, che con il suo profondo nichilismo e il suo scarso slancio proattivo era sempre impegnato a parlare con i produttori al fine di cercare di far diluire la trasmissione degli episodi, così che Heidi era addirittura arrivato all'ultimissimo momento senza sigle di apertura e di chiusura, le quali vennero realizzate velocemente da Miyazaki in autolegittimata missione solitaria (infatti la OP, contrariamente al neorealismo di Takahata, è molto fantasiosa e astratta, con l'altalena attaccata al cielo, ecc). Suzuki Toshio ricorda infine che Miyazaki in persona andava ogni mattina a casa di Takahata per tirarlo già dal letto e condurlo al lavoro: tale e tanta era la diversità dei due componenti di un sodalizio artistico che è stato unico ed è probabilmente destinato a restare irripetibile. Un'altra significativa curiosità è inoltre che per volere della Calpis, il viso di Heidi, creato dal succitato  Kotabe Youichi, che Takahata avrebbe originariamente voluto scuro e riarso dalla sole per rispettare l'aspetto fisico dell'eroina nel romanzo originale, venne imposto bianco come il latte e con le guancette rosse, in modo tale da essere un migliore veicolo pubblicitario. 



Oltre a ciò, mettendo da parte tutte le pur colorite e gustose note da "la storia della storia", nella sua realtà contenutistica l'anime approfondisce numerosi temi, situazioni, personaggi e psicologie descritti solo approssimativamente nel pur validissimo libro, come ad esempio il giovane Peter o la Rottenmaier. Quest'ultima, nell'opera della Spyri, oltre a non essere né tratteggiata né umanizzata a trecentosessanta gradi come quella di Takahata, non si recherà mai in montagna. La differenza sostanziale più rilevante è poi che per la Spyri la guarigione di Clara era comunque un miracolo avvenuto grazie a Dio; per Takahata invece è il frutto di una certa verità sui rapporti umani che Clara, nel formalismo rigoroso del mondo della città/degli adulti, non aveva ancora avuto modo di cogliere (infatti lei camminerà dopo che Heidi, in preda a disperazione, la sgriderà brutalmente, e non vi è alcun riferimento al padreterno, ma soltanto al fatto che non bisogna fuggire dalla vita, che non bisogna "essere codardi"). Si può essenzialmente dire che se il pensiero religioso non sia stato del tutto eliminato da Takahata, sempre così rispettoso degli originali che trasponeva in animazione, pure non resta un fulcro così centrale nell'anime come lo era nel romanzo d'origine, in questo rendendo il contenuto dell'opera letteraria ancora più universalmente umanistica nello spazio e nel tempo. Inoltre, Peter nel romanzo non era molto amichevole con Clara, e ne distruggerà la carrozzella; nell'anime invece a parte qualche piccola sbavatura non sarà così, ma tutto il contrario, dacché Clara è la ragazzina "kawaisou" della situazione, ossia la "poverina" (che per i giapponesi è ancora più "carina" di "carina", più "kawaii" di "kawaii"). Infatti, oltre al pubblico, la dolcissima e intelligente biondina piacerà molto altresì ad un certo vulcanico lolicon presente nello staff (non è difficile indovinare chi fosse).



In ogni caso, Takahata è stato il primo regista a portare in animazione psicologie realmente complesse, ma nel contempo totalmente e credibilmente umane, forse proprio in ciò mostrando il più efficace "realismo" della sua narrativa: sin da Hilda di Hols no Daibouken il regista è noto per la creazione di figure femminili molto profondamente caratterizzate, delle quali l'autore sembra comprendere appieno la sofferenza e fragilità. La sensibilità necessaria per fare un lavoro del genere, soprattutto per le prime volte nella Storia, è ineguagliabile. Dunque questa volta abbiamo Clara Sesemann, che chi scrive pensa sia forse il personaggio migliore della serie, senza dubbio il più umanamente ambivalente, come forse solo la Rottenmaier animata accanto a lei. Clara, rinchiusa (rintanata?) nella sua bella stanza del suo bell'appartamento nella bella, opulenta e borghese Francoforte, vive una normalità tutta diversa da quella conosciuta da Heidi nei sui suoi amati e profumati monti; una normalità fatta di educazione, cultura, ma anche formalismi cittadini mitteleuropei. Una normalità in cui Clara non sembra sentirsi affatto a disagio, salvo l'aver somatizzato una disfunzione psicosomatica come probabile fattore di conversione della mancanza affettiva genitoriale: la candida Clara è orfana di madre e ha un padre assente, che un po' come i genitori moderni sa provvedere soltanto ai bisogni materiali della figlia (tonnellate di regali/beni di consumo come unica manifestazione di amore paterno). La piccola inoltre è seguita con genuina dedizione dalla sua educatrice privata Fräulein Rottenmeier, che la protegge "scientificamente/apollineamente" cercando di minimizzare i rischi inevitabili del vivere "dionisiaco" di cui Heidi si fa rappresentante. Certamente Clara non sa che la sua infermità ha una causa psicosomatica (mentre Classen, quando Heidi lo incontra alla fontana, l'ha già capito), purtuttavia la vive con una sofferenza lucida, molto profonda, sebbene non avulsa da un certo vittimismo drammatico e ciò lo si capisce sia da quello che lei dice ("non potrò mai sposarmi", "rimarrò sola per tutta la vita", "se Heidi se ne andrà, morirò"), che da certi suoi sguardi feriti (e spesso è Heidi stessa a ferirla, dato che fatica a capire l'amica nonostante l'affetto che prova per lei). Più che della campagna o della montagna, Clara ha bisogno di affetti umani sinceri e meno formali (e infatti questo è ciò che ritrova nell'esplosiva Heidi, che è tutta vitalità senza alcun formalismo), nonché di recuperare quanto le è stato negato dalla sorte, che non è tanto la capacità di camminare, ma di essere sinceramente amata (Clara decide di ripagare gli sforzi di tutti quelli che cercano di farla tornare a camminare quando capisce di essere amata nel modo più disinteressato possibile, senza che vi sia alcuna aspettativa egotistica su di lei).



Fatto salvo ciò di cui sopra, la differenza di "tipi psicologici" delle due bambine è perfettamente rappresentata metaforicamente da Takahata in primis con la simbolica ed eloquente vicenda dell'uccellino di Clara. Heidi lo libera, convinta che la libertà sia naturale e sempre desiderata; Clara scopre il fatto, non si arrabbia, anzi non fa neanche una piega: sa già che la sera l'uccellino sarà di nuovo nella sua gabbia, e infatti questo è ciò che accade. Heidi strabuzza, ma Clara le dice serafica che "ci sono persone per le quali vivere in una gabbia è più desiderabile che stare in libertà". La ragazzina è infatti una tipica personalità introversa ed evitante, mentre Heidi è tutto l'opposto, e necessita di un ambiente come quello della montagna per esternare la sua forte estroversione (che tra l'altro è la cosa che "completa" anche un altro introverso con cui viene a contatto, ossia l'Alm-onji). A Francoforte tuttavia Heidi imparerà a leggere, scoprirà la consolazione dell'arte dinanzi a un dipinto pietista sepolto in soffitta (poi palesemente ripreso da Miyasan nel dipinto di Ursula in Majo no Takkyuubin), e pertanto a scoprire la dimensione intellettuale delle cose, mentre invece Clara in montagna assimilerà molti tratti estroversi di Heidi, guarendo. Entrambe pertanto compiono un percorso di crescita colmando le loro latenze in contesti a loro avversi



Nel suo tutto, la serie animata di Heidi, la fanciulla della Alpi non tratta pertanto di un'apologetica esaltazione di un vagheggiato idillio di vita bucolica sui monti rispetto a quella sofisticata della città: leggere Takahata in questo modo semplicistico è un errore abbastanza comune che spesso viene causato sia da adattamenti impropri che dalla tendenza generale di accomunare la complessità di Pakusan alle ingenuità del suo vicinissimo e ben più mainstream collega Miyasan (comunque anch'egli costantemente frustrato nella banalità della sua tipica e comoda lettura occidentale). Già in Hols no Daibouken la comunità umana è anche miseria intellettiva, pronta a farsi trascinare nell'inedia dal canto di Hilda, e peggio pronta alla più facile e violenta sfiducia (e altrettanto si pensi al comportamento dei paesani nei confronti del nonno di Heidi, che non per nulla, contrariamente al romanzo, nell'anime non tornerà mai a vivere in paese al 100%). In un caso la materna (in giapponese) voce narrante spiega persino che Peter fa fatica ad organizzare i suoi pensieri: l'educazione (e quindi anche il formalismo) è comunque fondamentale altrimenti si rimane bestie. Non per nulla, quando Clara va dalla nonna cieca di Peter e le legge le preghiere dal breviario, tutti rimangono meravigliati e l'anziana in punto di commozione le dice che la sua, quella di una ragazza di città studiosa ed educata, è la voce chiara di un angelo, e che proprio grazie alla sua lettura riesce a sentire e comprendere la parola di Dio. Questa scena infatti, insieme ad altri indizi che lascia il regista, oltre a far capire a Clara di essere amata per quello che è (infatti da lì in poi la bambina diventa più fiduciosa in sé stessa), annienta la facile prosopopea della non-cultura campagnola come superiore, come facile apologia arcadica tout-court. Senza dubbio la sensibilità di Takahata Isao era una forma di amore umanistico rivolto alla cultura umana essa tutta, in tutti i suoi più genuini aspetti.



È anche importante notare che nello spiegare alla nonna di Clara che la nipote potrà tornare a camminare, l'Alm-onji pone dell'enfasi sul fatto che la ragazzina deve prendere coscienza delle sue capacità e del fatto che ha degli amici che la supportano e le vogliono bene: per riprendere a camminare deve conoscere l'altra realtà umana che nel "mondo degli adulti" a Francoforte non esisteva (non per nulla in montagna Heidi e/o Clara si tolgono occasionalmente i vestiti, mentre invece in città indossano abiti molto elaborati). E poi, messaggio cardine della poetica di Takahata Isao, quando Clara vuole tornare a Francoforte perché ha paura di non riuscire a camminare, il nonno le dice che "non deve fuggire", e che, come accennavamo da qualche parte, "tu non sei una codarda". E infatti Clara non lo è, dacché la sua psicologia è molto distante dagli sclerotizzati vittimismi e solipsismi tipici delle ragazzine contemporanee (Takahata arriverà ad una tragica rappresentazione di ciò più avanti, si pensi a Kaguya-hime no Monogatari ). Si potrebbe dire che non è tanto montagna che cura Clara, ma il surrogato di famiglia sana che ivi ritrova, coadiuvato dalla scoperta del lato "dionisiaco" della vita. 


Volendo concludere con una panoramica onnicomprensiva sulla poetica di Takahata, ci conviene ricordare ciò da cui tutto è iniziato, il già citato La Bergère et du Ramoneur (che una volta completato diventerà Le Roi et l'Oiseau), nel quale il despota strabico di Grimault/Prevert nel suo simbolismo è il reuccio triste nel grottesco dominio della sua solitudine, che tra l'altro si innamora di una figurina. Il Grunwald di Hols no Daibouken, che chiede al giovane protagonista di "fargli da fratello minore" è un po' la stessa cosa, così come Clara sola e triste in mezzo ai suoi giocattoli e Kaguya con il suo simulacro in giardino. Da notare che tra l'altro Kaguya parte come Heidi e viene forzata ad essere Clara: sia Takahata che Suzuki avevano messo in relazione Kaguya con la ragazza delle Alpi, e infatti nel 1974 Miyasan e Pakusan odiarono il fatto di dover ambientare la storia in occidente. Da quell'anno al 2013, data di uscita di Kaguya-hime no Monogatari le cose tuttavia sono cambiate, da qui la differenza tra la Clara degli anni 2000 e la Clara degli anni settanta. La prima si rintanerà dalla vita, passando da ragazza intelligente-evitante a otaku a hikikomori, pur avendo tutte le possibilità del (suo) mondo; la seconda invece ha la forza per infrangere quello che non era neppure un vero escapismo – del resto è una ragazza "antica", che anche se viene ferita, persiste nel credere nei rapporti umani ("Tuo padre di vuole bene? Io gli voglio molto bene, quindi penso che anche lui mi voglia bene, non credi?"). Takahata infatti, da attento osservatore della realtà, traslando ovviamente la sua innata sensibilità in giovani personaggi femminili come suo solito, ha rappresentato nel suo testamento spirituale la mancanza nell'epoca moderna di quel substrato di sincerità e verità umana che alla fin fine spinse Clara a camminare (che poi è ciò che il Marxista e Freudiano Erich Fromm, penso ignoto a Takahata, definisce come "amore comunitario"). Se la condizione de Le Roi et l'Oiseau è la condizione dell'uomo stesso, perso tra le mura del suo animo (si vedano anche le riflessioni contenute in questo post), dalla transizione nella postmodernità in poi (che Miyazaki e Takahata, non avendo una terminologia sociologica, identificarono con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell'Unione Sovietica), nel Giappone del consumismo di massa, come fatto notare dallo scrittore e critico Satou Kenji nell'intervista tradotta dall'apprezzato Yupa in questo post: "il prolungamento dell'assenza di comunità a cui ricongiungersi ha portato alla ribalta delle tendenza autistiche di chiusura in se stessi dove lo stretto contatto con l'altro viene sentito come fortemente sgradevole, e questo vale particolarmente per le giovani generazioni". Ed ecco che per Kaguya, contrariamente che per Clara, il termine "relazioni umane" è un "termine legato all'idea di crisi": non essendoci la forza per uscire dalle proprie mura dell'animo, non rimane altro che la solitudine e l'abulia, in ultima sintesi la morte, senza alcuna possibilità di "tornare a camminare" facendosi guidare da qualcuno. 






4 commenti:

  1. Hideo Azuma non penso ci fosse, Tomino sbaglierò ma non credo... lo stesso Miya? :-0

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    1. "un certo vulcanico lolicon presente nello staff". Ma va benissimo lasciare la risposta nell'aria :-DD

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