giovedì 23 dicembre 2021

Evangelion 0.X • You Can (Not) Review [ insights by Gualtiero "Shito" Cannarsi ]

In questa tiepida notte dell'antivigilia natalizia, in commemorazione dell'uscita del BD-BOX italiano del "vero" Neon Genesis Evangelion (serie animata + film animati conclusivi di quella), che riproponendo il doppiaggio italiano che realizzai negli anni 1997-2001 va a rivivificare un lavoro della mia giovinezza a cui sono molto affezionato, per restare sempre in controtendenza ho deciso di pubblicare un articolo dedicato ai "nuovi" film dello stesso franchise (che parola orribile), ovvero alla successiva "reincarnazione cinematografica" di Evangelion, Tuttavia, volendo parlare strettamente di quest'ultima, allora questo sarà per voi lo scritto di una persona che non ha effettivamente visto nessuno dei tre-più-uno film del ciclo Rebuild. Non per specifica avversione quanto per mera assenza di interesse. Com'è possibile, se non li ho visti? Oh sparuti e impavidi lettori, per scoprirlo seguitate a nella lettura, prendendo il testo che segue per quel che è, ma... provate ad arrivare fino in fondo, per poi tornare qui in cima a ripensarci: it's a loop paradox

In compenso, tanto per liberarci da una delle psicosi collettive assai in voga in quest'epoca che sembra vivere di feticci narrativi, beh, se i film non li ho davvero visti quello che segue sarà un articolo perfettamente no-spoiler, no? Per forza, no? Oppure invece no? A chi leggerà l'angusta sorpresa, e la futile sentenza. :-)

True blast from the past!


Partendo dal principio, partendo cioè dal vero tutto, bisogna semplicemente dire che il regista Anno Hideaki ha sempre utilizzato Evangelion per raccontare nient'altro che sé stesso, e per farlo ha sempre fatto un "collage" di narrazioni preesistenti, da lui amate e consumate, ma ricombinandole a mo' dei turbamenti e delle inquietudini del suo animo e della sua vita. Questa precisa cosa è stata dichiarata da lui stesso, varie volte e in vari modi. Dalle più sgradevoli ("Evangelion è uno show dove io mi masturbo sul palco e la gente sta a guardarmi", sic.) ai più metacinematografici ("Quando quelli come me sono contenti di aver creato qualcosa di originale dopo un po' si rendono conto che no, anche quello l'avevano visto da qualche parte, perché il nostro immaginario è fatto di finzione. Quelli come me non possono creare nulla di originale"), un concetto quest'ultimo che mise poi in bocca a Kaworu in una scena aggiunta dell'episodio 24 della serie originale ritoccata, fino ad arrivare alle esternazioni più francamente oneste e quasi disarmanti ("Evangelion è tutta la mia vita, ci ho messo dentro tutto quello che sono, tutti i personaggi hanno una parte di me"). Il quadro è comunque molto chiaro, francamente limpido. Personalmente, dopo un po' iniziai a considerare Evangelion come un'opera fatta con materiali "di spoglio", avete presente, come l'Arco di Costantino, che venne fatto in fretta e furia riciclando bassorilievi da opere precedenti "spogliate" dei loro fregi, oppure dei mosaici policromi realizzati recuperando i tasselli di mosaici preesistenti. Nella storia dell'arte non è poi così raro. Invero, se l'arte umana non è che "contaminatio et variatio" (e io lo credo), si potrebbe ben dire che in ultima analisi ogni opera d'arte avrà sempre una sua componente "di spoglio" (contaminatio) e di rielaborazione (variatio). Umano, troppo umano. Proseguiamo.


  
Loop!
 
Torniamo quindi ad Anno e a Evangelion. Quanto ho detto serve solo a enfatizzare il fatto che, questo è ovvio e inevitabile, Evangelion riflette sempre e comunque il modo in cui si sente il suo autore nel momento in cui lo fa. Lo ha sempre fatto. Inizialmente la serie televisiva originale, che l'autore dichiarava di avere realizzato "per il suo orgoglio", per l'orgoglio delle "persone che come lui erano arrivate oltre i 25 anni e guardavo ancora cartoni animati", avrebbe dovuto essere la storia di "persone rotte che riescono ad aggiustarsi". E infatti era così. Anno Hideaki usciva da anni di depressione seguiti al (per li) sofferto successo di Fushigi no Umi no Nadia, anni in cui il regista ammette che "non aveva fatto altro che non morire" (altra frase poi divenuta una battuta di Shinji). Quando poi il regista si riprese spinto dall'unico imperativo categorico "non devo fuggire!" (ancora: parole sue, tormentone di Shinji), ne venne fuori la serie animata originale ShinSeiki Evangelion, nata e realizzata come un piccolo progetto tanto piccolo quanto ambizioso per una rete televisiva neppure davvero nazionale. Fu un gran baccano, in tutti i sensi. Col senno di poi, qualcuno disse che, nel corso di quel forsennato e accalorato "concerto live" che fu la realizzazione della serie, l'autore aveva creato dei personaggi così tanto "rotti" che poi aggiustarli era diventato impossibile, soprattutto in tempo per il finale. Il finale fu davvero il climax di una specie di onanistico coitus interruptus. Il pubblico, a tutta prima, non la prese così bene, e se la prese a male (eufemismi). Ma in qualche modo, anche senza tempo e senza soldi, la serie originale si chiudeva come era inteso che si chiudesse: con una "risoluzione" positiva (e metacinematografica). Sappiamo quel che accade in seguito, nel più breve tempo (molto rumore, molto dolore) e nel più lungo tempo (molto clamore, molto onore). Ma già quando appena un anno dopo o poco più si fece (in due tempi) il remake cinematografico del finale televisivo, ovvero The End of Evangelion, la condizione mentale dell'ancora "giovane" regista Anno Hideaki era molto cambiata. Una forte discomunicazione con quel suo "pubblico di riferimento", una platea di appassionati della quale lui stesso si sentiva in qualche modo ancora espressione e parte, una sorta di primus inter pares, gli causò un forte rigurgito di depressione. I guai della discomunicazione intergenerazionale, si potrebbe e vorrebbe dire. In ogni caso, ne venne fuori un finale cinematografico che era (e resta) realmente diverso dal pregresso televisivo giusto per quel pezzettino aggiunto in coda a tutto (ONE MORE FINAL), ma era (ed è) davvero molto pessimistico: dopo la buona risoluzione, che nella sostanza era identica in TV e al cinema, abbiamo un breve brevissimo epilogo aggiuntivo con la ragazza ferita che il ragazzo piagnucolone non riesce né ad amare né a strozzare (figurarsi recuperarla) e che gli dice chiaro e tondo "che schifo": la tua debolezza, la tua mollezza fa schifo, te lo dico in faccia come una femmina a un maschio, ok. In realtà per giungere a questa battuta finale c'era voluta il candido contributo creativo di una ragazza vera, la doppiatrice originale Miyamura Yuuko, ma questa è altra storia (ben nota e documentata). Però davvero, a parte quel pezzettino aggiunto in coda a tutto, tutto il finale è identico a quello che era stato già "decomposto" in TV: il suicidio (il mondo che finisce) è stato comunque rifiutato, la fine del mondo  scongiurata. Tuttavia, il finale "cinematografico originale" ci mostra fin da principio un protagonista molto, molto più abbietto della serie TV. Voi starete pensando a un po' di seme onanisticamente sprecato su una mano, ma in realtà è tutto il film che suona con un tono più che sordido. Lo è proprio nella narrazione, nella caratterizzazione di certi personaggi soprattutto. Perché evidentemente Anno in quel momento si sentiva così, e chi ha visto le sue telefonate alle enjokousai registrate nel periodo forse capirà (sono un bonus del BD-BOX giapponese, non so se lo saranno anche in quello italiano). Del resto, mille mille volte Anno aveva detto di avere fatto The End of Eva "solo per lo staff", "come ringraziamento a chi l'aveva supportato", e cose simili. E se ci si pensa, si vede proprio, si vede tutto.
 La sensazione, dopo quella del citato coitus interruptus (la serie TV), fu quella di una masturbazione faticosa, forzosa e pure un po' dolorosa. Anche un tantino stentata, forse. Stitica.
 

   
Uweeeeeee!

Ad ogni modo, l'originale Evangelion era la storia di un ragazzino traumatizzato dall'abbandono genitoriale e psicologicamente "guasto" che cercava di risolversi, ovvero di uscire da suo empasse di crescita, esattamente come Anne dei Timpani Verdi, che poi qui avrebbe avuto i capelli rossi, insomma Asuka dai Capelli Rossi. Tutto qui. Ovviamente (?) sappiamo (??) che in un intervista del 1993 su Animage (o era su Newtype? Uff, l'anno scorso avrei saputo dirlo con certezza, e ora francamente non ho voglia di andare  a rincontrollare) Anno listava proprio Akage no Anne nella sua "top ten anime", quelle classifiche personali che fanno tanto divertire gli spettatori degli youtuber di oggi. Del resto, i più attenti ricorderanno (???) che l'anziano macchinista di colore del Nautilus dei mari delle meraviglie è un omaggio a Matthew Cuthbert ("sou sa naaa"). E di certo ormai tutti sapranno (????) che il motto della Nerv passa da Browning alla Montgomery a Takahata per poi arrivare ad Anno. E qualcuno, ma solo qualcuno, avrà anche notato le spiccate affinità tra l'uso musicale in Omohide PoroPoro ed Evangelion, sino alla ginnastica radiofonica mattutina – proprio lo stesso identico brano, musica e voce. Quindi di nuovo: Evangelion è un'opera di spoglio. Tutti i "fan" occidentali a blaterare di "Devilman più Ideon diviso due uguale Evangelion" solo perché Sadamoto scrisse così nell'intervista acclusa alla (sola) versione deluxe dell'artbook intitolato Der Mond, e (praticamente solo) quella è stata tradotta (in inglese), e sono pure d'accordo che qualcosa significhi, perché mai nulla vorrei negare a Sadamoto del suo grande apporto creativo all'opera originale e primigenia, eppure Anno aveva dichiarato cose molto più esplicite già molto prima. Cose per lo più sconosciute ai sapientini occidentali semplicemente perché sono riportate su fonti giapponesi coeve all'opera che nessuno ha mai davvero recuperato. Eppure Anno diceva chiaramente che dopo avere letto il finale del manga di Nausicaä "voleva solo rifare quello in animazione". Sic et simpliciter. E l'ha fatto, infatti (sì, le allitterazioni sono tutte volute, ma spontanee!): Rei e Shinji nel mare di LCL sono palesemente Nausicaä e Selm nel meta-mondo, o piano astrale-spirituale, all'interno del bozzolo di siero di Ohm. Mi pare ci fossero persino delle battute  identiche, riprese pari-pari, come è tipico di Anno. E del resto tutto il trauma infantile di Asuka è preso da Kshana bimba, Kshaska dai capelli rossi. Ancora: Evangelion è un'opera di spoglio, con le infinite "citazioni" a le cose degli Anderson (UFO e SPACE:1999), e poi tutte le cose che vengono da Clarke e il suo "retelling" di James P. Hogan e beh... sappiamo. E se poi iniziassimo a parlare di Komatsu Sakyo arriveremmo fino alla fine della Rebuild (Voyager, Sayonara Jupiter, ecc).
 IN realtà, tutte le nattazioni di Anno Hideaki sono il frutto di un intero immaginifico personale di spoglio, come lo stesso autore ammetteva candidamente già nel 1997, per poi farlo ripetere a Nagisa Kaworu lo stesso anno. 

 

Oh viaggiatori, ripartiamo dunque da quel "nuovo inizio", ovvero: quando Anno cominciò la suddetta Rebuild, aveva inanellato una serie discretamente lunga di progettini giocattolo. Problemi societari gli imponevano quasi di abbandonare la nave GAiNAX, e in più s'era sposato. Quindi, in questa nuova fase, il nuovo progetto originale della Rebuild fu un'impresa su cui il regista si imbarcò in modo che sarebbe onesto definire "più adulto": un po' come occasione commerciale (WEVANGELIWON, khara), un po' come tentativo di "riscrivere quella storia di crescita" ora che era davvero cresciuto un po'. Ed è esattamente per questo che il primo film della gaia trilogia poi diventata tetra è quasi un ricalco infiocchettato del "primo nucleo narrativo" della serie originale, ovvero dei suoi primi sei episodi. È difatti cosa risaputa (perché dichiarata dal regista e non solo) che i primi sei episodi di Evangelion erano proprio quelli, e solo quelli, che la GAiNAX aveva completato prima dell'inizio della prima messa in onda del tutto. Erano dunque tutto il loro "serbatoio" di animazione già prodotta prima dell'inizio della corsa (a ostacoli) per la messa in onda, e a tutti gli effetti erano stati creati con grande coesione narrativa. A tutt'oggi appaiono e sono infatti quasi un nucleo narrativo definito. Tuttavia, la cosa più significativa è che alla fine di questo nucleo narrativo, sempre per dichiarazione di Anno (ma soprattutto per schietta evidenza), il personaggio di Rei era esaurito. Rei, che nasce come avatar materno reincarnato nell'impossibilità di amaeru del figlio, nel momento in cui sovrappone l'immagine di Edipo a suo padre, per poi sorridere "avendo per la prima volta capito" cosa fare "in momenti come quelli", è narrativamente risolta, finita, esaurita. Edipo ha strappato la moglie (reincarnata) al padre, l'apoteosi del complesso è compiuta (manca solo la raminga cecità, ok) e stop. Come già detto questo non lo dice Shito, lo dice Anno, che poi aggiunge di essersi infatti "del tutto dimenticato" di Rei per i due episodi successivi (settimo e ottavo), e averla quindi iniziata a "reinventare" in seguito, con quei tipici avanti-e-indietro che sono così presenti nella raffazzonata gestione della "trama" di Evangelion. Quindi non sorprende che nella successiva Rebuild proprio il personaggio di Rei, dopo il primo capitolo di "quei primi sei episodi", sia stato quanto più rielaborato. Ma ancor prima di questo, ancor meno sorprende  che, sempre nel remake chiamato Rebuild, il primo film sia a tutti gli effetti un pedissequo retelling di quei primi sei episodi, che erano già quasi "un film che inizia e finisce". Certo riutilizzare persino tanti ekonte di una messa in scena televisiva per una messa in scena cinematografica si sarebbe forse dovuto, e potuto, evitare: perché è ridicolo oltreché sciatto. Ma va bene. Tutto è perdonato. Andiamo in pace.

 
 
 
  YOU ARE (NOT) ALONE
 
Dunque il cambiamento nella Rebuild inizia dal secondo film, e il cambiamento si chiama Mari. In verità, è un'anticipazione. Perché in realtà Mari, che è la "ragazza più grande", più disinibita, insomma non la ragazzina da manga che non vuole essere sbirciata mezza nuda, che non fa le scenate isteriche da bambinetta, non è che la moglie designata che "cade dal cielo" su Shinji, così come una moglie a volte cade dal cielo nella vita di un uomo, poi marito, soprattutto quando quest'uomo è molto passivo. Nulla di strano, nulla di nuovo. Dunque Mari, la Illustrious (nyan!), era la "moglie designata" del protagonista-regista fin da principio. Siccome un otaku ha bisogno di una moglie un po' mammina, l'autore si divertirà a disseminare indizi sul fatto che Mari conoscesse Yui, che provenga dal suo tempo e dal suo mondo, insomma che Mari è un po' come un'altra Yui. Mutates mutandes, Mari sarà per Shinji quello che Yui fu per Gendou.  Ovvero si potrebbe scrivere la proporzione Yui : Gendou = Mari : Shinji, questa è l'equazione per quadrare il cerchio. Prima della venuta di Mari, Yui poteva solo essere contesa (e idealizzata) tra i due, nel reiterarsi del complesso di Edipo che è uno dei cardini narrativi di Eva (ancora: per dichiarazioni di Anno), e che avrebbe voluto andare a risolversi in un (al tempo) terzo e ultimo capitolo, composto forse da due film, ma comunque un terzo e ultimo capitolo (leggasi: jou • ha • kyuu). Quindi alla fine del secondo film Shinji arriva alla sua "battaglia da uomo" (cfr. l'episodio 19, Zeruel e cocomeri), ma invece di "salvare tutti, risvegliando la madre dentro all'Eva" come nella serie TV che fu (rima), qui salva solo l'avatar della madre che è la sola Ayanami Rei, e la storia prende un'altra piega: da lì si sarebbe dovuti arrivare a un rapido atto finale. Ma rapido, eh.
 

 
YOU CAN (NOT) ADVANCE
 
Tuttavia quello che accadde è che nel fare il terzo film, Anno sentì di essere "ricaduto dentro con tutte le scarpe" nella sua maledizione, la maledizione della non-crescita, la maledizione dei cartoni animati, della finzione proiettiva. L'animazione è il sogno escapistico dell'eterna estate, per il suo pubblico (quasi sempre), e per i suoi autori stessi (molto spesso). Quindi Anno, come Ataru in Uruseiyatsu2 Beatiful Dreamer,  si sentiva probabilmente nuovamente piombato in una gabbia temporale. Oshii aveva ragione (e lo sapeva, dato che nel finale di quel film c'è già una metacognizione registica), e Anno aveva probabilmente ragione anche lui, suppongo, perché prima aveva fatto di nuovo la stessa bambinata, e poi si era divertito con una bambinata ancora più bambinata, pur avendo introdotto il suddetto personaggio avatar della moglie (intendo: del concetto e ruolo di moglie salvifica, non di sua moglie Anno Moyoco come persona, ci mancherebbe), che per essere diversa dal resto del "cast" venne praticamente ibridizzata con Haruhara Haruko ("nyan"), perché palesemente era stato chiesto proprio a Tsurumaki Kazuya di caratterizzarla. Che Mari sia generata da Tsurumaki venne poi anche rivendicato dagli autori, ma si vedeva sin da principio. Del resto, i più edotti sapranno che essenzialmente la "Fraternity" è la "Fondazione" asimoviana mescolata con la Strumentalità dell'Umanità di Cordwainer Smith, da cui anche i gatti. E dico gatti. In ogni caso, e francamente lo capisco, in questa situazione di stallo che si era venuta a creare nel suo animo, Anno non ce la faceva più. A fare il terzo film. Non ce la faceva perché intanto erano passati anni (non mesi come per la serie originale) e davvero non si trovava più "sincronizzato" con quel tipo di narrazione, dico a livello di vita. Quindi butta tutto all'aria e fa un terzo film, non ultimo, che è a tutti gli effetti un nuovo film. I legami con i due precedenti sono palesemente messi lì tanto per non chiamare l'opera incompleta, incompiuta.
 

Quickening (...ma quando mai?)

Pensateci: a tutti gli effetti il terzo film potrebbe essere quello che succede un tot di anni dopo il celebre "che schifo". Tanto anche quello fu un Third Impact abortito, no? Una ricreazione del mondo ad opera del bambino in fase orale che è andata male, ovvero di nuovo il solito, onanistico coitus interruptus. Quindi? Quindi il terzo film della Rebuild è semplicemente il film che racconta di un Anno Hideaki che si sentiva ormai "ingabbiato" in Evangelion stesso, che non riesce più a vivere il suo mondo di pseudonarrazioni infantili con un minimo di serenità, e che si sente tutti contro. L'arca della moratoria che scricchiola, ovvero, di nuovo: Takaya Noriko? Ah, sì, era la stessa cosa. E del resto forse saprete, o potrete immaginare, che "maledizione degli Eva" e "maledizione di Eva" in giapponese si dicono proprio allo stesso modo: è quindi pressoché ovvio che "la maledizione degli Eva", che nei film non fa crescere i loro piloti (esattamente come Takaya Noriko nello spazio, appunto, e lei già piangeva di brutto dinanzi alla nascita e alla crescita dell'amica un tempo coetanea), è "la maledizione di Eva" quale opera, che ha ulteriormente bloccato il regista nella non-vita della non-crescita. In un modo o nell'altro stiamo sempre parlando dell'effetto Urashima, no? E fu così che il terzo film della Rebuild fu un parto lungo, penoso e doloroso, e poi dopo il terzo film andò tutto ancora peggio. Perché come al solito, mettendo sulla pellicola tutti i suoi turbamenti in una sorta di tentativo autoterapico le cose vengono fuori, ancora e ancora, e balzano addosso all'autore prima ancora che al pubblico.

 

  Nausicaä, Totoro, H. Noriko, T. Noriko e le gioie dell'otaku.
Saranno poi dolori, a dispetto degli omaggi, omaggi...!

 

E rieccoci: abbiamo detto che il punto di arrivo di Anno con il finale cinematografico originale della serie (sempre The End of Eva) era che Shinji non riusciva proprio a relazionarsi ad Asuka. Sappiamo che il famoso "che schifo" fu un'espressione della doppiatrice originale Miyamura Yuuko che Anno le estorse raccontandole una situazione con cui l'aveva messa dinanzi alla più patetica debolezza maschile. Sappiamo che Anno sentì molto su di sé quella battuta, che era un chiaro giudizio. Del resto Asuka, che era stata introdotta nella serie come la "idol" della storia, era un personaggio così traumatizzato, complessato, in una parola così tanto ferito e malconcio che il regista aveva finito per essersene palesemente "innamorato". Perché se conoscete la lingua giapponese sapete che "poverina" è più "carina" di "carina". Da cui il peso sempre più cruciale che Asuka assume nel procedere della serie originale, mentre Rei si eclissa sempre più nella sua originale figura materna, fino al finale, dove Shinji e Asuka sembrano una coppia che litiga dinanzi agli occhi e ai silenzi della mamma di lui, dalla quale lui dovrà poi congedarsi, che erano e sono tutte cose evidenti e palesi agli occhi dello spettatore. Del resto ad Anno, come a ogni otaku che sogna il grande amore da manga, piacevano le giovani protagoniste problematiche. Le ragazze belle, tristi e problematiche. Perché sono carine, poverine, fragili, ecc. Ma per quel tipo di ragazza ci vuole una persona molto equilibrata, emotivamente solida, che possa curarla. Come Jean per Nadia, no? Però l'equivalente di Jean in Evangelion è Kensuke, non certo Shinji. Quindi Anno/Shinji non può curare la idol Asuka, semplicemente perché sono "rotti" tutti e due, e nessuno ha delle mele da offrire all'altro (e questa chi la coglierà? Ikuhara e i pinguini? Quale strategia di sopravvivenza comune, sulla ferrovia galattica?). In summa e in un certo senso, si potrebbe dire che tutto il lungo progetto della Rebuild, divenuto estenuante perché fatto a pezzi e sprazzi e riscritture, ha invero una sola cosa costante: "Asuka non era per me, era il mio sogno romantico ed erotico di bebè, ma non era per me, di speranza non ce n'è" (rima, rima). Soltanto questo, declinato secondo i momenti e i dolori di questa sofferta presa di coscienza, da parte dell'autore. Una lenta e lamentosa crescita, quasi uno stillicidio. 

 

 
"Sono il peggiore, io."   >  "Che schifo."  >  Essì.
 
 
Difatti come sappiamo Anno ha poi dovuto fare parecchie altre cose, ovvero andare ancora e ancora in giro e almeno un pochino avanti nella sua vita, prima di poterne raccontare un altro stadio. E ha anche dovuto martoriare la povera Asuka in tanti modi, nella sua finzione, nel tentativo di emanciparsene. Del resto anche l'aver cercato una prima risoluzione affettiva rivolgendosi platealmente all'avatar materno (Rei, fino alla fine del secondo film) non era bastato, non aveva funzionato (metanarrativamente, dico per  come ci si ritrova all'inizio del terzo film: è stata tutta una disfatta e la toppa è stata peggio del buco). Neppure menomare ancora e ancora la povera idol prodotta dalla sua proiezione di libido  era bastato (per come la si vede nel terzo film). Bisognava ancora più esporla, svilirla, negarla: che è esattamente quello che avviene nel quarto e ultimo film che è uscito quest'anno, no? Che è di nuovo "un altro film". Sì, le trame vengono fatte in qualche modo combaciare per poi concludersi, ma di fatto si racconta altro, no? Quanti anni erano passati anche solo dalla pellicola precedente? E un autore che si racconta narrando, potrebbe mai non essere cambiato, in un tale lasso di tempo? Impossibile. Quindi è del tutto inutile cercare coerenza narrativa: la Rebuild è diventata a sua volta un'opera di spoglio del precedente Evangelion, dove pezzi di trama e personaggi già noti sono serviti ad Anno per raccontare il nuovo "adesso" della sua vita – come sempre. 
 

 

Detto questo, parlando degli spezzoni di questo ultimo film remake che non sono riuscito ad evitare di vedere, ho trovato carino che Anno abbia pensato di contraccambiare gli omaggi che l'anziano Fukasaku Kinji gli fece con Battle Royale. Visto che in quel film il regista mise persino Miyamura Yuuko a recitare, forse Anno avrebbe dovuto far doppiare un personaggio di Thrice Upon a Time da Maeda Aki, per contraccambiare, chissà. In ogni caso, parlai proprio di persona col figlio di Fukasaku Kinji, l'allora  giovane Kenta, a mi sentivo un po' scemo a dirgli che tante cose nel film del padre mi facevano pensare a Eva. Gliene feci una lista, e gli dissi candidamente che dovevano di certo essere tutte "visioni" mie, perché suvvia, un uomo dell'età di Fukasaku Kinji si sarebbe mai messo a guardare cartoni animati? Lui (Fukasaku Kenta) fece un gran sorriso, e mi disse che anzi avevo perfettamente e puntualmente ragione, perché lui (Kenta) era un grande fan di Eva e l'aveva fatto vedere tutto al padre (Kinji) proprio prima che girasse BR. Eravamo a Torino, per la presentazione festivaliera di BRII. Fukasaku Kinji era da poco venuto a mancare. Non so perché, ma in quel periodo continuavo ad ascoltare Time is Running Out, ovviamente in relativo ritardo.


 
La tragica fine di Kawor... ehm, di Kuninobu.
 
 
Dunque: Battle Royale. Quella del film dell'anziano Fukasaku Kinji era una storia di una nazione in cui i bambini non riescono più a crescere, in cui la disoccupazione sale, e gli anziani, i veri vecchi (gli unici adulti rimasti) non sanno come educarli, anzi se ne sentono persino spaventati. Perché anche la generazione di mezzo è rimasta bambina. Il presupposto è identico a quello di Evangelion: la metafora del Giappone post-Little-Boy. Forse ai tempi Anno non se n'era accorto, chissà. ma poi evidentemente sì. I bambini indolenti e spaesati sono messi ad ammazzarsi tra di loro, vittime designate in un conflitto tra generazioni e tra umani, e infine i protagonisti trovano l'impeto per vivere, "correre" (finale di BR), andare avanti (finale di questa ultima reiterazione di Eva ). Ovviamente, Shuuya e Noriko in BR erano due liceali coetanei, corretta espressione della loro reale età, e ce la fanno in coppia tra loro. Anno era già un vecchio che si proiettava in un adolescente, quindi lui non ce la fa, Asuka non è per "Shinji", lui ha già bisogno della moglie-mammina che lo tratti come un bamboccio. Shinji non può crescere in primis perché è la rappresentazione di quella psicologia vissuta da un già-vecchio. Una cosa che è più Akira che Tomino, insomma. Il conflitto generazionale non arriva alle armi, e Saturno continua bel bello a mangiarsi i figli indisturbato, alla faccia dell'apocalisse rigenerante implorata da una generazione alla guerriera Sailor a lui dedicata.

 
"Correte!" (BR) -> "Andiamo!" (ShinEva)

Certo una simile speculazione sull'autore potrebbe dirsi già un po' morbosetta, ma in effetti non lo è, non questa, non nelle sue intenzioni almeno. C'è da  sottolineare in primis che gli otaku come Anno spesso vivono nell'ambivalenza del bisogno di sentirsi capiti e la paura di essere fraintesi. Sono in genere molto taciturni e scontrosi, da vecchi anche spiccatamente burberi, sino a quando non si aprono le bisacce dell'animo e ne viene fuori un fiume in piena. Tutto molto tipico. Ma il risultato è che, come già attestato più in alto, Anno Hideaki ha continuamente quanto deliberatamente raccontato sé stesso metaforizzandolo con la sua narrativa animata, che risulta infatti parecchio morbosa di per sé. Era quindi forse  inevitabile che un'opera fatta con quel genere di intento creativo (autoterapico) e quel genere di contenuto messo in scena facesse da magnete per un pubblico con affini disturbi. Una sorta di regola di attrazione per affinità elettive, per usare le parole (forse tradotte male) di Göthe. Tuttavia, arrivando ora al nostro piccolo locale e localizzato, senza parlare di cose realmente grottesche e patetiche come "si chiamano Angeli1111!" e i vari imprinting (lol) del pubblico locale su un'edizione localizzata (rotflmao), credo sia piuttosto interessante denotare non solo come talune persone si siano assai morbosamente attaccate dell'opera in questione, quanto piuttosto  come molti "appassionati" di Eva sembrino avere attuato con l'opera e i suoi personaggi una sorta di identificazione proiettiva di tipo riparatorio e/o sublimativo delle proprie personali latenze e conflitti irrisolti. Ho voluto usare un lemmario freudiano classico in ossequio alla materia di cui si dice (Eva), e potrei ora dire degli inneschi di formazioni reattive e fattori di conversione che ne determinano in taluni soggetti sino ai più deteriori, nevrotici eccessi, ma essenzialmente la dinamica è quella che qui si è sottolineata. Il risultato è che questo tipo di persone invece di pensare a "Eva" come all'opera del suo e dei suoi autori, parlando più o meno surretiziamente di "Eva" come "il mio Eva". Il che è un fanatismo certamente morboso, come si diceva, e sembra mostrare una già patologica forma di escapismo nella metarealtà di una finzione narrativa. Questo è sempre molto preoccupante. 

Tuttavia, qui non avete letto l'ennesimo articolo speculativo su Evangelion. Avete letto dell'altro, anzi tutt'altro, una cosa tutta diversa. Giunti infine qui al fondo del pozzo di parole, occorre purtroppo (purtroppo) chiosare con una sgradevole quanto schiettamente onesta glossa. Torno dunque a rivolgermi direttamente ai miei due lettori, e nel farlo sarò crudamente esplicito: chi ha scritto questo articolino non è un "semplice appassionato" di Evangelion, di animazione giapponese, o un normale "grande fan", sedicente "massimo esperto", auto-dichiarato divulgatore di "cultura pop-nerd-otaku", o quel che dir si voglia, ma un operatore professionale di questi stessi settori con più di venticinque anni di esperienza alle spalle. Mi rendo conto che rimarcarlo potrebbe sembrare persino buffo, oltreché vanitoso (ma solo nell'attuale mondo alla rovescia), tuttavia sottolinearlo si rende necessario poiché la sovracomunicazione digitale ha confuso molto le acque: esiste una differenza fattuale tra chi con certe cose ha lavorato dall'interno per anni e anni e il pur rispettabilissimo entusiasta che, dal lato del pubblico, se ne è interessato per suo eventualmente proficuo diletto. Questa differenza è per l'appunto fattuale, statuita da elementi obiettivi e oggettivi come curricula e dati bruti, ovvero non si tratta di un'opinione o d'una distinzione di soggettiva preferenza. Comprendo altrettanto che, poiché la mia "estrazione di provenienza" è stata quella di un entusiasta hobbysta fattosi da solo e fattosi professionista da appassionato che era, il tutto possa apparire ancor più sfumato, e del resto la mia stessa posizione può dirsi cambiata solo in relazione a quelle opere a cui mi sono dedicato professionalmente in prima persona,  eppure la differenza esiste ed è netta. Che cosa significa, quindi, nello specifico di questo articolino?

Obiettivamente, il fatto è che di fatto non penso proprio possa esserci nessuno, quanto meno in Italia, a potersi pensare al mio stesso livello di conoscenza e comprensione dell'opera chiamata Shinseiki Evangelion. Ma neppure lontanamente.

Obiettivamente, quello che la presumibile quasi totalità dei fan italiani possono conoscere intorno a questa serie sono perlopiù le solite striminzite informazioni raccattate in giro per la rete occidentale, tipicamente angloamericana, ovvero quasi nulla, e poi tanto gossip, ovvero nulla di nulla, e poi ancora quello che io stesso ho messo nei dialoghi italiani nei miei inesperti ma energici vent'anni – che non è nulla ma è francamente ancora molto poco.

Immagino (auspico) che qualche virtuosissima eccezione possa pur esserci, ma in generale davvero qualcuno potrebbe credere che avendo letto quattro cosette tradotte dall'inglese, spiccate in modo più o meno casuale, e poi avendo sentito ancora saputelli vari in giro per la rete, si possa avere una visione dell'opera come la mia, che ne ho parlato di queste stesse cose con gli autori originali, e più volte, e soprattutto che ho visitato il testo dall'interno, e più volte, e che ho avuto accesso (nel corso di un quarto di secolo!) a tante fonti originali. Per fare uno tra i più semplici esempi, quando nel 2019 abbiamo ritradotto ancor più puntualmente tutti i cartelli presenti nell'episodio 16, nel 20 e nel 22 soprattutto, abbiamo lavorato (anche) con i testi freudiani giapponesi: questo perché in Eva, per ammissione dell'autore, c'è tanto Freud e molta Klein (vedasi la scissione del seno, chi volesse lo leggerà nel booklet dei BD,  perché lì ci sono tutti i testi dei LD originali, a me noti dal 1997). E così, sempre per esempio, tutti (o quasi) i termini psicanalitici che ho voluto usare poco sopra li ho intenzionalmente presi di peso da quei cartelli inseriti dall'autore nella sua opera, ovvero non erano buttati lì a casaccio, no. Era in effetti una mirata quanto significativa selezione, operata da chi può parlare di Evangelion con le parole di Evangelion. Quindi lo ribadisco in modo ancor più brutale: questo stesso articolino, che se state leggendo qui avete probabilmente letto, rappresenta un ambito che è molto diverso da ogni altro apparentemente simile luogo che abbiate sinora potuto visitare e  visionare sull'argomento – se tutti spendono e spandono le loro analisi e le proprie verità su Eva, io non ho mai sovrastrutturato Evangelion. Al contrario: io mi attengo alle fonti e al testo, che conosco così tante volte più di chiunque altro abbia sinora scritto intere pagine su questa stessa opera in lingua italiana, se non occidentale tout-court

 

Intervista ad Anno Hideaki. Anno 1998. Articolo redatto DA ME.
Certi miei "criticoni" dovevano ancora NASCERE.
Altri futuri saccentoni erano sui banchi DI SCUOLA,
e guardavano tardivi Eva su MTV, adattato DA ME.
Forse sarebbe proprio il caso di tacere. PER LORO.

 

In conclusione, tracciata questa linea di realtà dei fatti, vorrei invitare tutti a rileggere l'articolo daccapo – proprio come Schopenhauer invitava a fare nell'introduzione della seconda edizione della sua opera più celebre. Non so davvero quanto e quanti tra i pochi lettori che passeranno da qui saranno davvero riusciti a seguire il filo che unisce i puntini del discorso che ho cercato di esporre, ma sottolineo che potrete rileggere questo articolo quando e quanto vorrete. E poi qui lo ribadisco: questo è un articolo scritto da una persona che il famoso "ultimo film" del ciclo Rebuild non l'ha visto neppure, anzi non ha visto nessuno dei quattro film della cosiddetta Rebuild. A voi sparuti ed arditi lettori decidere chi vi abbia fornito più spunti di riflessione e interpretazione tra l'autore di questo scritto e chiunque altro abbiate sentito parlarne nella vostra lingua (loop paradox!). 

 

 Esposizione Universale. Anno: 1970. Luogo: Osaka.
Tema: Progresso e armonia per l'umanità. Come no.

 

Come omake,  lasciate che vi lasci solo con un altro punto di realtà: che la canzone la canti Matsutoya Yumi o la ricanti Hayashibara Megumi, state sempre e comunque contemplando le onanistiche proiezioni di libido del bambino che era stato a vedere le rocce lunari nel padiglione statunitense all'EXPO OSAKA '70. La Torre del Sole, dell'artista Okamoto Tarou, è ancora il primissimo Apostolo rivenuto in Giappone. Se l'avete visto di persona come me, in quel lascito di parco, potreste capire questa sensazione di un'infanzia di ottimismo negato, tradito, frustrato... e poi così tanto rimpianto, troppo a lungo rincorso. In monorotaia o funicolare, ecco a voi svelato il segreto di Pulcinella (questa la capiranno in due, o tre, di numero): tutto Evangelion, vecchio è nuovo, non è che l'incattivirsi e l'imbruttirsi della frustrazione del principio di piacere di un quattordicenne in tardiva fase orale, che vorrebbe "distruggere e riorganizzare" il mondo a suo piacimento. Nel 1995, in quello stesso anno, quelli della setta Aum Shinrikyou ci provarono davvero, per quanto pateticamente: i nefasti esiti del principio di piacere svincolato dal principio di realtà, forme di vittimistico narcisismo anche note sotto il nome di "sindrome della mela marcia". Ma i tempi erano quelli, ed erano ormai già maturi: il disagio si diffondeva, tant'è che dopo Evangelion di storie simili ne abbiamo viste a bizzeffe, se n'è fatto persino un manieristico cliché: "adolescente diventa una divinità che distrugge, ricrea e riorganizza il mondo". Non sto neppure a farvi i titoli, basta aggiungere che in genere se l'adolescente del caso è femmina si sacrificherà nell'atto finale (e sarà santificata), se è maschio invece no. Tutto regolare. Ma lasciate perdere le teorie dei loop e altre sciocchezze, sono tutte compiacenti scemenze buone per quei bambini che voglio ancora restare a giocare nel campetto anche quando il sole è ormai tramontato da un pezzo (cit.). Piuttosto mi autocito e lo ripeto: l'animazione è il sogno escapistico dell'eterna estate, per il suo pubblico (quasi sempre), e per i suoi suoi autori (molto spesso). Le sentite le cicale che friniscono, moleste e assillanti? Ecco, non è mai troppo tardi per chiudere la dilettuosa e delittuosa porta per l'estate. Pensatici. Dove finisce il sogno, là comincia la realtà (cit.).

...next (back) to come: TWILIGHT  (I only meant to say a while!)

 


5 commenti:

  1. Che si può fare, se non applaudire? Complimenti da Torino, dove c'è la monorotaia di Italia '61, e la voglia di giocare con la Yamato (era ovviamente "Argo") disegnata e ritagliata a otto anni è ancora lì sotto, carsica, da rintuzzare col martello del mogura taiji quando mostra di nuovo la testa.

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  2. Dove posso trovare l'intervista completa ad Anno?

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  3. Letto solo ora questo articolo e sono rimasto felicemente stupito dalla capacità dell'autore di analizzare l'opera in modo così tecnico e al tempo stesso profondo. È raro trovare nell'internet, meno in questo blog, analisi di opere animate che esulino dalla recensione e dal giudizio personale senza un'analisi più tecnica e profonda.
    Volevo però porre una domanda all'autore che mi è venuta leggendo questo articolo, come cambia la percezione di un'opera una volta che si è fatto il passaggio da appassionato a esperto, nel senso appunto di persona che si occupa professionalmente di tradurre, adattare e visionare l'opera. Dal punto di vista emotivo Evangelion le suscita le stesse emozioni che le suscitava nel 97, o il trasporto emotivo, da fan appunto, è totalmente scomparso e ora per lei Evangelion è solamente un cartone in cui è particolarmente esperto?

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  4. Per qualche ragione, commentare da loggato mi risulta impossibile con ogni browser. Oh beh.

    Dunque, un commento dopo due anni, e per puro caso io riprendo questo articolo due giorni dopo quel commento. ma non lo vedo lo stesso, quindi ringraziamenti al padrone di casa per avermi avvisato.

    A Nausi (sempre un bel nickname!), in primis: grazie dell'attezione, grazie della lettura, grazie del commento.
    Grazie delle domande.

    La risposta è semplice: il mio tipo di interesse verso ciò che mi interessa non è affatto cambiato dallo stadio di "appassionato" a quello di "professionista": il mio interesse è sempre e solo quello di capire la realtà, la verità dei contenuti delle opere quanto più profondamente e genuinamente possibile. E questo è anche il mondo in cui io lavoro: capire il più possibile e fare in modo che anche i miei connazionali possano capire il più possibile delle opere su cui lavoro. Tutto qui. Per me ogni traduzione, adattamento, doppiaggio non è che un falso di servizio. Il servizio è, secondo me, l'unico tipo di divulgazione vera e buona: quella della fedeltà dei contenuti e delle forme dell'originale. Davvero tutto qui.

    Quanto alla tua seconda domanda, ovvero sull'aspetto del coinvolgimento emotivo nei confronti delle opere, credo francamente che tutto cambi semplicemente con l'età, ovvero con l'esperienza di vita di ciascuno. Maturando la propria comprensione emotiva delle cose, che nasce dall'empatia, dovrebbe forse aumentare. A me è capitato e capita ancora così. Come se il livello delle cose che si notano, si colgono, si apprezzano e persino si amano nelle opere d'arte, così pure come in quelle della natura e nelle persone, cambiassero insieme al nostro invecchiare. infatti la osa che più mi agghiaccia non è certo vedere una persona della mia età trovare ancora interessanti certi anime, quanto piuttosto porsi dinanzi ad essi ancora con la mentalità dei quindici anni. Ecco, questo mi pare davvero spaventoso.

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