sabato 13 gennaio 2024

Frivolezza o vittimismo: pesca la tua carta, AkiraSakura


L'utilizzo dei social media per me sta diventando un'esperienza psicologicamente miserabile, tant'è che ho quasi sempre la tentazione di cancellarmi da ogni dove, cosa che tuttavia non posso fare per via del mio "hobby" di scrittore (bisogna tenere d'occhio cosa fa l'editore, bisogna andare dalle book influencer a elemosinare un po' di promozione; c'è gente nel mondo della piccola editoria che ho conosciuto proprio lì, su Instagram, quindi cancellarlo mi precluderebbe alcuni contatti che un giorno potrebbero tornarmi utili). TikTok in particolare è un qualcosa di feroce: ognuno/a cerca di spammare la supercazzola o il meme più grottesco possibile per tentare di diventare virale per qualche minuto; il resto sono flame fatti in modalità video, la fiera dei casi umani, il dissing e il contro-dissing, il minchione che fa le marchette con millemila like e così via. Gente con la faccia spenta scrolla questi microvideo uno dopo l'altro col ditino: sulla metro, per strada, nei bar malfamati, mentre mangia, mentre fa cagare il cane... Insomma, in ogni dove. E lì, sul social cinese, c'è la fiera del solipsismo, un generalizzato "tutti contro tutti" che tende all'infinito, una spirale di trash che di fatto è l'evoluzione maligna della televisione. Ora sono gli sketch a essere venduti, è l'umanità stessa che si vende da sé, basti pensare alla Ferragni che oltre a vendere i pandori scam vende altresì l'immagine di qualsiasi cosa riguardi la sua sfera privata, in primis i figli. Nella televisione quando ero ragazzino c'erano le pubblicità della Mulino Bianco, con la famiglia felice che si mangiava i biscotti; ma ora qualcosa è cambiato. Sembra proprio che qualsiasi cosa possa essere venduta: anche l'omicidio di una ragazzina può diventare un qualcosa su cui fare business (e non soltanto sui social). In tutto questo marasma raccapricciante, comunque, possiamo identificare due categorie di "espressione", se così le vogliamo chiamare: la prima è la frivolezza, la seconda il vittimismo. Che poi, alla fin fine, sono modalità esistenziali infantili. 

 

Parliamo della prima. E' ovvio che la componente principale delle marchette sui social debba essere per forza di cose la pagliacceria. I poveri scrittori e le povere case editrici, che tanto si affannano a cercare di pubblicizzare i loro seriosissimi libri (in Italia ci sono più scrittori che lettori), fanno numeri abbastanza miseri rispetto al Frank Gramuglia di turno (per chi non lo sapesse è uno che fa i siparietti comici sullo sfruttamento nel mondo del lavoro). E anche se si cerca di seguire le mode (ora come ora c'è quella del "patriarcato") facendo ad esempio arrivare in libreria tramite i propri potentissimi distributori una valanga di libri tutti uguali sul femminismo, nonché monopolizzando forzatamente le tematiche più "in" alle fiere di settore (si pensi a più libri più liberi, in cui c'era una conferenza sul patriarcato a ogni ora e gli stand vendevano più che altro libri su quell'argomento lì), gli editori medio-piccoli fanno comunque fatica a incrementare le vendite. Questo perché laggente vuole leggere le prodezze sessuali del vincente Fabio Volo, oppure qualche giallo scandinavo assai disimpegnato. Ritornando al buon Frank, che è pure un comico di talento, penso che se lui, così come tanti infiniti altri, affrontasse l'argomento seriamente, nessuno lo prenderebbe minimamente in considerazione. La cosa vale per ogni tipo di contenuto: bisogna trollare, bisogna fare dell'ironia, altrimenti ciò che si dice o si vuole far passare, una volta accennato senza frivolezza alcuna, potrebbe diventare un qualcosa di indigesto, di inaccettabile. Ma, soprattutto, solleverebbe un problema che, per via dell'assenza della maschera del divertimento a smorzarlo, verrebbe percepito come concretamente reale e quindi allarmante, preoccupante, per di più senza alcuna possibilità di risoluzione, perché di fatto viviamo in un totalitarismo assoluto. Questa dinamica vale altresì nella vita reale: non si può parlare seriamente di cose serie con la gente: il principio di realtà (che tra l'altro è il fondamento della scienza, che a sua volta è la madre del grande dio tecnologico che tutto domina e sovrasta) va alleggerito, filtrato, rielaborato e censurato, altrimenti ciò che è vero rimane un tabù. Tramite la frivolezza si può dissimulare qualsiasi cosa, si può ficcare la testa sotto la sabbia per poter stare meglio. Ma soprattutto si può mettere qualsiasi discussione seria a tacere, si possono segare via le gambe all'interlocutore in partenza, senza alcun dispendio di energia. Un ragionamento richiede sforzo, capacità di immedesimazione, empatia, capacità di analisi. Queste cose nella società dell'oggidì mancano, e per di più, se uno è dotato di cotali virtù, viene velatamente invitato a sopprimerle dalla frivolezza altrui. C'è una voragine sociale in corso, una crisi economica destinata a non terminare mai, un mondo che si è fatto ipertecnologico e transumanista senza la giusta preparazione, ma tutti sono lì a pensare ai meme sui gattini. Come dicevo nel primo paragrafo, qualsiasi cosa è business, anche un dramma familiare o un qualsivoglia meme sradicato dalla realtà. Guardare seriamente in questo baratro, dico con un minimo di consapevolezza e senza alcuna risatina stupida, è molto rischioso. Non si scherza col nichilismo, perché la razza umana nel corso del tempo è semplicemente sopravvissuta: non è mai stata una specie privilegiata capace di permettersi perennemente la stupidità. Nel contesto di una natura violenta in cui il più forte sbrana il più debole, nelle terre sempre più inquinate di in un piccolo pianeta sperduto in una galassia minore dell'universo, se non si è capaci di darsi un senso da sé si sarà semplicemente destinati a essere spazzati via. Per di più, il torpore della frivolezza permesso da tutta una serie di "conquiste" tecnologiche si basa sul sacrificio altrui, sulle risorse sottratte dall'occidente ai paesi del terzo mondo, sul lavoro minorile nei paesi sottosviluppati (si pensi al fenomeno del fast fashion, che unisce schiavitù a distruzione dell'ecosistema, un fenomeno tutto pompato dalle influencer su Instagram, che sono la nuova icona del consumo feroce, lesivo e distruttivo).

 

Pensati libera.

 

Non per niente i regimi, quando le cose vanno male, cercano di far svagare il popolo. Gli alti comandi nazisti, ad esempio, nel '44 facevano uscire film umoristici tipo Der große Preis, e così via. Ma oggi come oggi non si tratta neanche più di una questione riguardante l'intrattenimento: l'ironia frivola domina qualsiasi livello delle interazioni umane, tant'è che trasformarsi in un pagliaccio triste è senz'altro una via sicura verso il successo (ho sperimentato molto questa cosa: tutte le volte che alle superiori mi trasformavo in un perfetto demente, le ragazze iniziavano a corteggiarmi e i maschi a considerarmi un figo. L'ho fatto anche in vacanza l'anno scorso, e nonostante avessi a che fare con un gruppo di adulti, le dinamiche liceali, con mio grande stupore, si sono egualmente ripetute).  Detto questo, l'altra faccia della frivolezza che tutto sovrasta a mio parere è il vittimismo. Una parola detta male da un influencer/Youtuber/TikToker ed ecco che scoppia il caso virale: il pronome sbagliato, l'aggettivo sbagliato, l'espressione facciale sbagliata. Un maschio deficiente prende in giro una ragazza in carne - il cosiddetto fat shaming: ormai esiste un termine anglofono semplificato per qualsiasi cosa - su TikTok? Ed ecco che tale TikToker accusa tutti i maschi di essere grassofobici, si mette a piangere, indossa un vestito da sera di una taglia diversa dalla sua, fa il balletto della disperazione e il circo ha inizio. Il vittimismo è sfociato nella frivolezza, come lo Yin sfocia nello Yang. Ma il vittimismo, proprio come la frivolezza, garantisce l'invincibilità: è come un power up degli shounen manga. Se una persona viene percepita come la vittima, allora anche in questo caso qualsiasi discussione, qualsiasi ragionamento, qualsiasi critica o presa di posizione saranno impossibili. Anche le responsabilità cadranno: a vittime e pagliacci tutto è concesso. In un mondo di solitudine e solipsismo, ogni ego viene indotto a sviluppare meccanicismi aggressivo-passivi con i quali autoaffermarsi, con i quali sconfiggere la mostruosità dell'anonimato. Che nel contesto della dittatura dei social media, in cui non avere un account significa di fatto non esistere, è sinonimo della più completa mancanza di senso. 


Ed ecco quindi, ad esempio, uno Youtuber obeso, un personaggio un po' buffo, e quindi accettabile, che per dimostrare di esistere si strafoga di dolci per venti minuti a video. Si può prenderlo un po' giro per sentirsi migliori di lui, continuare a ridergli dietro finché quello non muore davanti allo schermo perché magari aveva già progettato di suicidarsi fin dall'inizio; e allora sì, in questo caso, a morte avvenuta, si potrà finalmente parlare del problema sociale di un ragazzo solo nella sua sofferenza e malattia, che come "strategia di sopravvivenza" non aveva nient'altro che una webcam e lo schermo di un pc. In televisione Paolo Crepet dirà qualche banalità sul disagio giovanile, Parenzo parlerà a caso senza saper argomentare, Travaglio farà un'analisi cinica e tagliente e la politica sbraiterà in piazza dando nel frattempo un bacino a Elon Musk. E quindi una via d'uscita, una soluzione reale al problema, non può di fatto esistere, perché la frivolezza è penetrata in ogni ambito della società. Come dicevo in un post precedente, i social media stanno facendo ai cervelli umani ciò che l'industrialismo feroce sta facendo alla natura (e vi appiccico qui sotto una foto del lago Batou in Cina, un vero e proprio "buco nero" del pianeta Terra nato grazie alle fabbriche di smartphone lobotomizzatori). 

 

Qui si fabbricano smartphone. Che ne dite di farci un bagnetto?

 

Vittimismo e ironia frivola costituiscono altresì una modalità di censura e omologazione:  se un contenuto non è ironico o vittimistico  non fa trend: il disagio psicologico può essere esternato soltanto da chi decide l'algoritmo. E l'algoritmo ci vuole tutti uguali, è programmato per uniformare, un po' come hanno sempre fatto i regimi vestendo tutti allo stesso modo. Esiste una proporzionalità diretta tra numero di follower e il grado di "inclusione" e assuefazione di una persona nel sistema consumistico contemporaneo, non inversa. Si veda Chiara Ferragni, che è l'emblema della "vita per l'apparenza", dell'eguaglianza tra "l'essere" e "l'avere" (ed essendo fatta di niente, si va a schiantare infine su un Pandoro: se una persona è fatta di stronzate, verrà uccisa da una di esse, non di certo da una Balena Bianca o un Grande Antico). Detto questo, discorso sui social media a parte, se mi sento vittima, oltre che passare automaticamente dalla parte della ragione o indossare un manto di invincibilità (di nuovo, si pensi  ad esempio al video di scuse della Ferragni), posso illudermi di avere un senso in quanto persona, il mio ego può sopravvivere senza andare in frantumi di fronte all'innata crudeltà della vita (o la mia stessa crudeltà, che tuttavia non è accettabile perché "siamo tutti bravi bambini", tutti principi e principesse Disney). L'ingiustizia insita nell'esistenza, nel lancio di dadi che ogni vita e vissuto comporta, è del tutto inelaborabile nella società in cui viviamo, perché essa nient'altro è che un reticolo caotico di persone sole. Spettava alle ideologie e alle religioni fornire una qualche forma di senso alla innata tendenza al solipsismo degli esseri umani. Ma postmodernità è post-umanità e qui invero non c'è nient'altro a parte se stessi e le proprie nevrosi, e tutti gli altri non sono altro che semplici specchi in cui tali nevrosi si riflettono, generando una catena senza fine di incomprensione. Non è facile sopravvivere al proprio sé da soli, ma si è costretti a farlo. Sempre, in ogni momento. Questa è l'unica vera grande "conquista" dell'occidente ipertecnologico e transumanista wannabe. 

13 commenti:

  1. Hai mai provato a leggere Thomas Pynchon (padre del narrazione post-moderna americana)? In questi giorni sono alle prese con V., il suo romanzo d'esordio del 1963 e lo sto trovando inquietantemente profetico con considerazioni sulla società molto simili a questo tuo articolo. Per esempio denuncia la perdita d'umanità e di identità dell'individuo utilizzando come struttura-non struttura una narrazione corale ipertrofica e quasi senza soluzione di continuità.

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  2. " è l'umanità stessa che si vende da sé, basti pensare alla Ferragni che oltre a vendere i pandori scam vende altresì l'immagine di qualsiasi cosa riguardi la sua sfera privata, in primis i figli.Sembra proprio che qualsiasi cosa possa essere venduta" Credo che il "privilegio" più grande,oggi, sia quello dell'anonimato(o il non esistere) e la possibilità di avere ancora una privacy che protegga e limiti nel privato le cose/fatti importanti per una persona senza "sputtanarli" in giro.
    Mi ha sempre impressionato fin da quando è apparso Facebook la facilità con cui si possono salvare i dati delle altre persone(immagini/video) sul proprio harddisk e (se si è malintenzionati)utilizzarli a proprio piacimento senza alcuna remora.

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    1. I social sono degli strumenti di controllo in mano agli statunitensi. Un dividi et impera con il beneficio della possibilità di avere tutti schedati.

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  3. In tutto ciò l'Italia è il paese in cui si va via di casa a 30anni in media, contro i 23 di Francia e Germania. E peraltro, tranne pochi privilegiati, con condizioni che ti permettono appunto solo di subire e rifugiarti in quel che capita. E forse quando mai potrai giocartela il tuo modus vivendi è ormai troppo viziato per cambiare davvero.

    Stante che è tutto vero quello che dici, mi viene in mente che in ogni società il povero deve solo palliare e tirare avanti come meglio può... forse si può dire che nei tempi e nei luoghi cambia solo la % di quelli che possono giocarsela per avere una vita gradevole.

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    1. Il povero una volta prendeva la zappa e la piantava in terra, la vedeva un po' come una croce e pregava il suo Dio. Ora invece il povero vuole diventare come i ricchi, e se fallisce la società gli dice che è colpa sua. Il povero segue Chiara Ferragni, i fuffa-guru e i life coacher, non pianta più la zappa in terra pensando al suo Dio.

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  4. Non l'ho vissuto, non lo so ma credo l'entità dei drammi e dell'irrisolto/irrisolvibile delle classi disagiate in passato non fosse minore di quello odierno.

    Alla fine condizioni abitative indecenti, desideri sessuali frustrati, necessità di continuare a lavorare, disturbi psichiatrici vari e palliazione alla bene e meglio per tirare avanti. I lavori più completi a riguardo sono gli studi di Ernesto de Martino sulle genti delle regioni piu disagiate del sud italia negli anni 50... ci scrisse vari libri. Li prese ad esempio perché erano un frammento di mondo ancestrale studiabile negli anni '50. E anche sufficientemente vicino per essere compreso da uno studioso occidentale.

    Il quadro che ne emerge è quello suddetto. Ed il costrutto "culturale" si presenta come una strategia di sopravvivenza ed elaborazione/palliazione

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    1. Senz'altro, tuttavia le "strategie di sopravvivenza" religiose puntavano almeno a preservare la coesione sociale delle persone, mentre invece quelle piccolo borghesi di importazione yankee non fanno altro che amplificare la solitudine dei singoli (e ricordiamoci che la solitudine è il terreno fertile della malattia mentale). Tant'è che ora come ora viviamo in una società di drogati e depressi, niente di paragonabile statisticamente agli anni 50. Ma neanche agli anni 80, dato che l'alienato di oggi è ben diverso da quello pre crollo dell'URSS, ad esempio. Ogni cosa ha il suo contesto.

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  5. Si concordo pienamente. Credo sia l'unica grande differenza, eppure molto importante.

    Concordo anche che la solitudine è il terreno fertile della malattia mentale. Su questo sicuramente cambia il modo di sopravvivenza al disagio.

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  6. Oggi tanti ricordano il "dividi et impera" degli antichi romani. Nonché il loro "panem et circenses". Alla fine, i concetti sono sempre e solo dure: frammentazione e sedazione. Ma i due si possono esprimere a vari livelli di profondità umana. È plausibile che nella società dell'Antica Roma si pensasse alla frammentazione alla sedazione sociale. Nella nostra società siamo giunti a quella individuale, ossia realmente psichiatrica. In un modo o nell'altro, la solitudine, ovvero l'isolamento, sociale prima e psicologico poi, è il cardine, la causa e l'effetto di un circolo vizioso della distruzione della società e della persona umana. E basta innescarlo, poi si alimenta da sé. Non si dovrebbe parlare d'altro che delle faticose, spesso disperate, possibilità di disinnesco, perché altrimenti non c'è che un gioco perverso in cui alla fine perdono tutti. Ma proprio tutti. Anche una minoranza perversa che pensa di poter sopravvivere alle spalle e a danno di una maggioranza scientemente condotta a mal partito, se tutto ciò esiste, come narrative complottiste tanto inquietanti e morbose quanto intrattenenti e consolanti continuano ormai a ripetere alla nausea.

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  7. Fino a pochi decenni fa, la vita rappresentava una lotta continua per la sopravvivenza biologica. Oggi, almeno nei Paesi piú sviluppati, la lotta si é spostata contro l'isolamento e la solitudine. La durezza del vivere resta per la maggioranza della popolazione, cambiano le sfide.

    Forse una nuova grande narrazione dovrebbe passare da tale ragionamento, il rendersi conto delle difficoltá reali potrebbe risvegliare molti dalla sedazione delle societá consumiste.

    Francesco, hai mai letto Michel Houllebecq? Il tuo pensiero ha tanti punti in comune con lui ma non ricordo tu lo abbia mai citato.

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    1. (Per quel che vale, Houllebecq mi era venuto in mente chiedendomi se sia naturale pensarla in questo modo anche in uno Stato in cui è più comune che la gente protesti in maniera organizzata. Ma anch'io lo conosco solo "per fama".)

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    2. Non conoscevo affatto questo Michel Houllebecq. Mi segno pure lui.

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