sabato 15 novembre 2025

Dalla postmodernità alla postumanità


 La postmodernità era ancora un luogo di narrazioni, piccole narrazioni, pseudo-tali o addirittura l'assenza di esse; delle narrazioni che in qualche modo, nonostante tutto, raccoglievano ancora in sé un chicco di significato, poiché la modernità, o in qualche modo i soliti archetipi dell'umano, rintoccavano pur sempre sul fondo del barile (tipo che ne so, Kirkegaard opportunamente citato in Evangelion; oppure Utena, che per significato non è poi così diverso dalla Recerche di Proust). La letteratura postmoderna era Pynchon, Cărtărescu e compagnia: un bel casino, certamente, ma si trattava pur sempre di letteratura. Un prompt generato automaticamente con ChatGPT rastrellando l'internet (tra l'altro violando il diritto d'autore) è pur sempre letteratura? È pur sempre umanità? Ha pur sempre un significato? Alcuni diranno che l'I.A. è uno strumento, così come  una volta lo era il vocabolario online. Ma per me no, non è così. Questa intelligenza artificiale è un cambiamento radicale, una cosa che non può essere paragonata a nessun oggetto appartenente al passato.

 

Si dice che nel giro di vent'anni la maggiorparte dei lavori intellettuali verrano svolti da I.A. I giovani più poveri, o quantomeno non ancora succubi dei miraggi del carrierismo tech, sono inorriditi dalla cosa e sui social sbraiatano più che mai, pieni di una rabbia tanto intensa quanto impotente; i vecchi invece in generale mi sembrano quasi entusiasti di questa I.A., forse perché sono già arrivati, o perché ancora si nutrono del progressismo del loro tempo, senza essersi tuttavia accorti della Wasteland lasciata in eredità ai loro nipoti. Perché si sa, anche se in pochi se ne accorgono, che le leggi del mondo son crudeli, che i Saturni tendono a sbranare i loro figli, che il cannibalismo è difficile da debellare e tutt'ora soggiace nelle viscere di una civiltà che, con un certo autoinganno, ama definirsi progredita.    

L'I.A., un'invenzione racchiusa nelle mani di pochi potentati economici che sembrano quasi elevarsi al di sopra dell'autorità degli Stati di diritto e della stessa vita, per me francamente è un qualcosa di terrorizzante. Nel suo libro, l'ebreo Antony Loewenstein dimostrava come venisse impiegata per controllare in modo serrato la vita dei palestinesi; ne Il Capitalismo della Sorveglianza, d'altro canto, la professoressa Shoshana Zuboff, con fatti, fonti e dati alla mano, dipinge una realtà quantomeno distopica. Quindi no, l'I.A. non è come il vocabolario online o come la grafica digitale dei tempi che furono, così come il Mivar degli anni ottanta non è come un iPhone a cui stare perennemente attaccati. L'I.A., oltre a essere l'ennesima trave in culo alla classe media sconfitta dalla globalizzazione, una classe media che in futuro si farà sempre più povera, sempre più depressa e malata, un potenziale esercito di schiavi inutili, è innanzitutto uno strumento di controllo. 

 

Qualche anno fa dissi a un amico: "Arriverà il momento in cui si potranno comprare i bambini su Amazon, scegliendo il sesso, il colore degli occhi e quant'altro". Oggi apro il giornale e leggo che gli dèi multimiliardari del tech americano vogliono investire sui bambini geneticamente modificati. Una volta mi commuovevo di fronte al primo episodio di Galaxy Express 999, quello in cui il Conte Mecha si divertiva a fare safari di caccia sparando ai poveri, donne e bambini inclusi; oggi apro il giornale e, non privo di una straniante indifferenza, leggo che dei ricchi turisti, anche italiani, sborsavano qualcosa come centomila euro a persona per provare il piacere di uccidere i bambini di Sarajevo. Così, a caso, per mero divertimento. Senza neanche un qualcosa come la religione o l'ideologia a giustificare un tale abominio. Ho come la sensazione che ormai tutto sembri lecito, soprattutto nel modo meccanico e impersonale con cui viene narrato; ho come la sensazione che il vaso di Pandora, dopo numerosi strattoni, sia stato infine aperto. Chissà se gli inutili schiavi che verranno, una volta diventati soltanto un peso per i padroni, verranno pure loro trucidati. 

 

Le letture che ho fatto da ragazzino mi hanno insegnato a impegnarmi al massimo nelle cose, nel prestare attenzione, nel potenziare me stesso tramite la consapevolezza. Provando a scimmiottare questi insegnamenti sono comunque riuscito, partendo da basi sociali, familiari e mentali molto malferme, a finire per un certo periodo all'IHES, la Princeton francese, in cui pranzavo e discutevo con gente che si era portata a casa la medaglia Fields per la matematica. Un essere umano quindi ha un grande potenziale se si impegna in ciò che fa, o quantomeno se riesce ad adoperarsi nell'esercizio della coscienza, dell'empatia e dell'attenzione. Ma quali coscienza, empatia ed attenzione si potranno mai sviluppare se l'I.A., e quindi il potere, ragionerà al posto nostro? Non serve Freud per capire che la sovrainformazione e la sovratecnologizzazione della vita impediscono un reale sviluppo degli individui, delle loro capacità e della consapevolezza umana in generale. Com'è possibile che un padre di famiglia, dico neanche un hikikomori o un disadattato tagliato fuori dalle meccaniche della vita, si metta a flirtare con l'I.A., trattandola allo stesso modo di un'amante? (La cosa è realmente accaduta, ed è sempre più frequente tra le persone). Nella postmodernità il consumatore animalizzato si nutriva di dati; nella postumanità il consumatore animalizzato è un qualcosa di inutile, di idiotistico, di talmente piatto, vuoto e innocuo da essere facilmente cancellabile. Qualcuno mi ha parlato di transumanesimo, del futuro nei cyborg, del chip nel cervello che verrà elagito a tutti da un futuro Elon Musk: ma la tecnologia in fondo è (e rimarrà) in mano a pochi padroni, che la utilizzeranno per controllare i loro sottoposti (come già viene fatto, sicché è l'algoritmo che decide cosa mostrarti, con chi farti accoppiare ecc.). Il superuomo potenziato grazie alle I.A. e alle ultime scoperte della genetica me lo vedo più come un super soldato che come un essere libero, romantico e positivamente sovrumano (tipo che ne so, i commoventi transumani dell'ultimo capitolo del romanzo Infinito di Stapledon).   

Si riuscirà mai a rimanere umani in questo mondo sempre più disumanizzante e spersonalizzante? Questo forse è l'unico interrogativo sensato da porsi nel mondo dei truci ed insensibili Conti Meccanici di oggi e dei tempi che verranno.  

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