giovedì 28 luglio 2016

Shinsekai Yori: Recensione

Titolo originale: Shinsekai Yori
Regia: Masashi Ishihama
 Soggetto: Yusuke Kishi
Sceneggiatura: Masashi Sogo
Character Design: Chikashi Kubota
 Musiche: Shigeo Komori
 Studio: A-1 Pictures
Formato: serie televisiva di 25 episodi
Anni di trasmissione: 2012 - 2013


«Non ti pare che veniamo trattati alla stregua del vasellame? Una volta che il forno viene aperto e la ceramica ispezionata, tutti i pezzi che presentano crepe o deformazioni sono destinati ad essere distrutti. Dato che tutto ciò che ci attendeva era il destino di una ceramica fracassata, abbiamo deciso di fuggire, nella speranza di trovare un futuro diverso.» [Dalla lettera di Maria a Saki]

Inevitabilmente, nel contesto della società giapponese, la “morte” dell'individuo avviene col suo ingresso nell'età adulta e nel mondo del lavoro. Ad una fanciullezza libera, spensierata e privilegiata, giunta una precisa scadenza, seguono una pressoché completa rinuncia alla propria identità personale e una totale dipendenza dal gruppo di appartenenza, il cui invadente sguardo s'insinua in tutti gli aspetti della vita del singolo, inclusi quelli più intimi e privati. Nell'adulto nipponico non è pertanto ammesso un “lato oscuro”: l'ombra va rimossa, e i tratti psicologici incompatibili con i dettami imposti dall'esterno devono essere soppressi, pena la totale esclusione dalla società. Gli individui che non si adeguano al sistema vengono considerati alla stregua del fango, isolati e demonizzati, in modo tale che la loro carica “sovversiva” non possa danneggiare un meccanismo costruito sulle fragili fondamenta del formalismo, dell'apparenza e, in primis, della vergogna. La vergogna di non essere all'altezza delle aspettative altrui; la vergogna di esternare le proprie emozioni; la vergogna che si prova nella gestione del rimosso psicologico, che rimane sempre in agguato nel subconscio, pronto a minare la coesione sociale del gruppo. Giusto per rendere l'idea della rigidità della società giapponese, in seguito all'arresto dell'otaku serial killer di bambine Tsutomu Miyazaki (1989), gli otaku che si recavano nei negozi per comprare o noleggiare videocassette contenenti cartoni animati, venivano schedati dalla polizia come se fossero dei potenziali criminali, anche se nei fatti erano innocenti ed innocui. Da questo esempio – una goccia nel mare – si deduce che, inevitabilmente, all'interno di un insieme di persone basato sulla totale dipendenza dal gruppo, la paura per il diverso e la paranoia diventano delle reazioni meccaniche immediate, che inevitabilmente portano a crudeli “cacce alle streghe” coadiuvate da misure repressive prive di giudizio, figlie di psicosi collettive ben mascherate da volti brillanti, puliti e sorridenti.
Dal canto suo, “Shinsekai Yori” (lett. “From the New World”, palese citazione all'omonima sinfonia di Dvořák, che fa da leit motiv all'intera opera), oltre ad interrogarsi sulla legittimità di una società del genere, va molto più a fondo, decostruendola e sezionandola mediante potenti strumenti allegorici. L'anime tratto dal corposo romanzo di Yusuke Kishi (grande successo di pubblico e critica in madrepatria), unisce geniali trovate grafiche e registiche ad un coacervo di riflessioni sulla natura umana, rivelandosi uno degli anime più meritevoli, innovativi e complessi recentemente creati.


La storia di Saki Watanabe e dei suoi amici d'infanzia Satoru, Maria, Mamoru, Shun e Reiko, è ambientata nel Giappone del futuro, mille anni dopo l'avvento di una catastrofe apocalittica che sconvolse il mondo civilizzato – in merito a tale evento, nell'incipit dell'opera s'intravedono degli esper fuori controllo che sovvertono l'ordine costituito uccidendo e seminando il caos, dei novelli Tetsuo di “Akira” molto più inquietanti della loro controparte originaria.
I suddetti vivono nella città denominata Kamisu (lett. “Il Nido degli Dei”) 66, un'utopia bucolica apparentemente soave e pacifica, composta da esseri umani in grado di manipolare il Cantus, il “potere degli dei”, ovvero la telecinesi. I bambini però non sono a conoscenza del fatto che il governo del villaggio tiene sotto controllo ogni aspetto della loro vita: gli individui che il sistema educativo reputa dannosi, in quanto carenti di talento e/o dotati di emozioni negative, vengono fatti sparire, assieme a tutti i ricordi che li riguardano.


Questa società utopica delle “nuove persone” del futuro, oltre ad eliminare tutti gli elementi ritenuti incompatibili col gruppo, al fine di evitare esplosioni di aggressività e violenza tra i suoi componenti, impone il condizionamento mentale e incita alla sessualità precoce, anche tra giovani dello stesso sesso, prendendo come modello l'assetto matriarcale tipico delle scimmie bonobo. Gli istinti omicidi vengono bloccati attraverso un “limitatore biologico” insito in tutti gli individui della specie umana, il quale, nel momento in cui viene attivato dall'intenzione di ferire o uccidere del singolo, ne “spegne” i reni e la ghiandola paratiroide, conducendo alla morte nel caso in cui tali pulsioni negative vengano iterate; la gerarchia viene preservata e il conflitto di classe sedato attraverso lo sfruttamento di specie animali inferiori modificate geneticamente - i mostroratti, che parlano il linguaggio degli esseri umani, vengono governati da poche regine in un contesto eusociale (allo stesso modo delle formiche), ma non sono in grado di utilizzare il Cantus (cosa che li pone in una condizione di netta inferiorità rispetto ai loro padroni, condizione non scevra da sentimenti d'invidia e rivalsa sociale).


Gli eventi narrati nell'anime vengono messi in moto nel momento in cui Saki e gli altri cinque bambini, all'interno di un bosco, trovano un Falso Minoshiro (una sorta di “biblioteca” ambulante off-limits con le sembianze di un animaletto fantastico), e, spinti dalla curiosità, lo obbligano a rivelare loro alcune delle verità inerenti la società in cui vivono. La punizione per questo ingenuo atto sovversivo non tarda ad arrivare: il monaco buddhista Rijin, coltoli in fragrante, distrugge il Falso Minoshiro – riuscendo a prevenire la divulgazione dei più truci e scomodi segreti -, sigilla loro il Cantus e li scorta verso il villaggio, per farli processare. Durante il tragitto, tuttavia, un branco di feroci mostroratti briganti scaglia addosso al monaco un canepalla, uccidendolo; e a questo punto, Saki e Satorou, una volta separati dai loro amici, si ritrovano invischiati nelle vicende dei mostroratti, nel bel mezzo della guerra tra la colonia Mosca Predone di Squeeler (personaggio chiave dell'opera assieme a Saki) e i mostroratti briganti. Recuperati i loro poteri e ritrovati i compagni dispersi grazie all'aiuto di Squeeler e Kiroumaru (comandante supremo della colonia dei Grandi Calabroni, che intrattiene strette relazioni con gli esseri umani), i protagonisti fanno finalmente ritorno al villaggio, sperando che le loro trasgressioni non vengano scoperte dagli adulti. Ma questa convinzione, come è lecito aspettarsi, si rivelerà una mera illusione, e il dolore della perdita, gli artigli possenti delle costrizioni sociali, le cospirazioni di Squeeler – che intende sterminare gli esseri umani per liberare la sua specie dalla schiavitù – e la rivelazione degli sgradevoli segreti di Kamisu 66, renderanno l'infanzia felice di Saki e compagni soltanto un mero ricordo idealizzato, quasi più utopistico del loro triste mondo tanto perfetto nella facciata, ma invero quanto mai corrotto e instabile.


A detta stessa dell'autore, “Shinsekai Yori” è stato concepito prendendo come punto di partenza gli studi sull'aggressività di Konrad Lorentz, nei quali veniva analizzato il rapporto tra l'aggressività del singolo e l'istinto di conservazione della specie, e tale discorso veniva – giustamente - esteso anche all'uomo, uno degli animali più deboli assieme ai suoi “colleghi” ratti (secondo gli studi dell'illustre etologo, le specie animali più forti – come ad esempio lupi e corvi - possiedono un meccanismo biologico innato che impedisce loro di non uccidersi a vicenda, mentre quelle più deboli ne sono prive – si capisce pertanto il motivo per cui nel “nuovo mondo” di “Shinsekai Yori” gli esseri umani si siano impiantati un “limitatore biologico” atto a prevenire i loro stessi istinti omicidi).
Il romanzo si tratta dell'opera della vita di Yusuke Kishi, da lui sviluppato nell'arco di una trentina d'anni; in esso, tutti i riferimenti alla moderna società giapponese sono voluti, e il messaggio finale che Saki lascia ai suoi discendenti è intenzionalmente rivolto ai lettori, ovvero ai suoi “antenati” del mondo reale. Oltre a ciò, il preciso periodo di mille anni che costituisce l'allegorico salto temporale presente nell'opera è stato voluto dall'autore al fine di poter descrivere in modo credibile le irregolarità evoluzionistiche delle sue strambe specie animali – anche se, volendo essere pignoli, l'unico darwinismo che nell'opera viene trattato con spiccato realismo è quello strettamente sociale. Detto questo, “Shinsekai Yori” non si tratta di un'opera esclusivamente sociologica, ma anche - e in modo particolarmente brillante - psicologica.


«Se comprendi la tenebra, essa ti prende. Arriva su di te come la notte, con le sue ombre turchine e miriadi di astri lucenti. Silenzio e pace scenderanno su te, non appena cominci a comprendere la tenebra. Solo colui che non comprende la tenebra teme la notte. Attraverso la comprensione di ciò che in te è tenebroso, notturno e abissale, diventi semplice.» [Carl Gustav Jung, “Libro Rosso”, pag 137]

«Ognuno muore senza comprendere nulla. E' così che funziona il mondo, dopotutto.» [Yusuke Nishi]

L'intenzione dell'autore di “scavare” a fondo nella natura umana emerge possente nel decimo episodio della serie, un dramma psicologico in miniatura che si pone a fondamento dei risvolti più sostanziali dell'opera. Quella di Shun, ormai ridotto ad un demone espulso dalla società, è un'apocalisse intima, coadiuvata dalla consapevolezza dell'interiorità del male, che non può essere cancellato mediante la brutale rimozione, ma va assimilato e reso cosciente – anche se l'uomo, non avendo la forza per affrontarlo, tende a proiettarlo verso l'esterno, ignorando il suo dialogo interiore meccanicamente, senza comprendere sé stesso.

 
«Nonostante tutti i nostri sforzi, noi esseri umani non possiamo completamente controllare i nostri pensieri e le nostre emozioni. Il nostro subconscio, in particolare, è la dimora dell'imprevedibile.
Il Cantus è la manifestazione più tangibile di ciò.
Nel caso delle azioni fisiche, ci sono molteplici stati intermedi tra le loro cause profonde e i loro eventuali effetti. Esse devono passare attraverso il nostro pensato cosciente prima di poter essere realizzate.
Nonostante l'impeto originario sia un prodotto del nostro subconscio, la ragione umana può correggere o del tutto stoppare un'azione prima che venga messa in atto.
Il Cantus però funziona in modo differente. Possiamo considerare il principio e l'esecuzione di un'azione come se fossero praticamente simultanei. Sebbene un'azione possa essere sbagliata, non c'è il tempo di correggerla.
Cerchiamo di tenere strettamente sotto controllo il nostro Canti mediante l'ipnosi e i mantra. Ma alla fine, esso fuoriesce sempre attraverso le falle aperte dal nostro subconscio.
I nostri Canti sono costantemente in perdita.
In un certo senso, stiamo cambiando il mondo attorno a noi in base ai capricci del nostro subconscio.
La barriera sacra ci difende dalle minacce interne, non da quelle esterne.
Ma se le nostre idee e i nostri pensieri continuano ad ammassarsi e ad interferire l'uno con l'altro per un esteso periodo di tempo, non c'è più modo di predire i risultati.
Questo significa che c'è una necessità di dirigerlo verso l'esterno.
Sin dalla nostra infanzia, siamo stati condizionati a temere il mondo esterno. Tuttavia, un'immagine di quell'oscuro, illimitato mondo esiste pure dentro di noi. Essa diventa tutt'uno con l'universo oscuro all'interno di noi stessi – il nostro subconscio.» [Shun, indossando una maschera, si rivolge a Saki]

La barriera sacra di cui parla Shun, incantesimo che la società impone ai suoi esper al fine di sopprimere la loro ombra junghiana, oltre ad alzare un muro attorno al subconscio, uccide il potere dell'immaginazione, che nell'opera rappresenta il rinnovamento, nonché la vera libertà dai vincoli materiali. Non per nulla la capacità d'immaginare nuovi mondi, nuove regole, nuovi modi di vivere, risiede proprio nel reame dell'intuizione creativa, che è strettamente correlato al subconscio. Attraverso il potere dell'immaginazione - «la forza dell'immaginazione è ciò che cambia ogni cosa», proprio questo è il messaggio che Saki lascia alle future generazioni – è possibile rovesciare l'assetto sociale vigente e sviluppare una propria individualità in modo consapevole, trascendendo il confine tra luce e tenebra. D'altro canto, la paura di scoprire i lati più sgradevoli del proprio essere si riversa sia sul singolo che sulla sua società, e, congiunta alla debolezza tipica dell'uomo, lo rende una macchina colma di disarmonia tra ciò che è “malvagio” e ciò che non lo è; e tutto ciò crea dissociazione. Si aprono pertanto alcune falle nel proprio muro interiore, e, come accade nel mito del vaso di Pandora, tutti i mali si riversano all'esterno, senza controllo. In particolare, le costrizioni e le privazioni imposte dal buddhismo, allo stesso modo del sigillo che Rijin impone ai protagonisti, di fronte alla vera essenza della natura umana si rivelano inutili e dannosi - ed ecco che “Shinsekai Yori”, tra i suoi vari moniti, non rinuncia ad una critica alla religione come strumento di potere e controllo.


In sintesi, il messaggio psicologico che lascia intendere “Shinsekai Yori” è un'invito alla consapevolezza e all'autoanalisi, nonché all'equilibrio tra “bene” e “male”, la cui coesistenza consapevole, allo stesso modo dei poli negativi e positivi dell'elettromagnetismo, induce il movimento, nonché la pienezza interiore. Perché nel vuoto e nella stasi, sia essa sociale che psicologica, non vi è alcuna evoluzione.


«Il vuoto non può sacrificare nulla perché soffre sempre di carenza. Solo ciò che è pieno può sacrificare, perché ha la pienezza. Il vuoto non può sacrificare la sua fame di pienezza, perché non può rinnegare la propria natura. Per questo abbiamo bisogno anche del male. Ma io posso sacrificare la mia voglia di male perché prima ho accolto la pienezza.» [Carl Gustav Jung, “Libro Rosso”, pag 200]

Peraltro, se ciò che viene imposto dall'esterno è il vuoto, esso non tarda a penetrare nell'interiorità dell'individuo, “oggettificandolo”: usando le stesse parole di Yusuke Kishi, «quando indossi una maschera, essa cambia la tua apparenza esteriore, ma ha anche influenza su di te, all'interno.» Alla luce di quanto detto in precedenza, “Shinsekai Yori” è uno di quegli innumerevoli anime che invitano gli spettatori a trovare le risposte di cui abbisognano dentro loro stessi, disdegnando quei modelli comportamentali precostruiti basati sul controllo e sul tornaconto delle istituzioni.


Fatto salvo ciò di cui sopra con le dovute precauzioni, dalla nostra esperienza è palese che comprensione e immaginazione non siano alla portata di tutti. Infatti, “Shinsekai Yori” rappresenta le gesta di un'umanità decadente, decimata da una catastrofe e sulla via di una nuova apocalisse. Niente è cambiato in meglio, e ben poco cambierà una volta giunta la fine. Anche Saki, il personaggio più forte, equilibrato, intelligente, coraggioso e consapevole dell'anime, non può né svincolarsi completamente dalle istituzioni né salvare i suoi amici emarginati dalla società per futili motivi. Il più grande atto di liberazione dalle costrizioni esterne che si concede è il suo simbolico ed altruistico – nonché carico di comprensione per i sentimenti dell'altro, in particolare del nemico - gesto finale, che, come viene lasciato a intendere, in un futuro non remoto verrà punito dal consiglio degli anziani. Saki e Satorou, diventati adulti, non possono fare altro che muovere piccolissimi passi verso il cambiamento, dovendo tuttavia accettare ogni sorta di compromesso col sistema che li costringe.


Esiste tuttavia un personaggio per nulla disposto al compromesso, il machiavellico Squeeler, novello Prometeo che si ribella ai suoi “dei” compiendo ogni sorta di atrocità e nefandezza. Trattato come una bestia dagli esseri umani, e da loro umiliato sia nel corpo che nell'intelletto, lo sgradevole personaggio in un certo senso incarna ciò che gli esper hanno rimosso in loro stessi, credendosi delle divinità dall'organizzazione sociale perfetta. Squeeler fa della paranoia e della paura - allo stesso modo delle autorità di Kamisu 66 - i suoi punti di forza, rivendicando più volte il suo status di essere umano a tutti gli effetti, anche nel momento in cui il consiglio degli anziani lo addita come mostro. A tal proposito, più che una riflessione sulla discriminazione e sul razzismo, a parer mio “Shinsekai Yori” sembra proporre una ricorrenza concettuale assai cara ai giapponesi, ovvero la differenza tra “mostruosità” e “umanità”. Chi è il vero mostro? Squeeler o gli esseri umani? Se si pensa ad opere del passato come “Godzilla”, il mostro era quello creato dalla tecnocrazia americana, in particolare dalla bomba atomica. «Immaginavo Godzilla come la personificazione della violenza e l'odio per l'umanità, siccome fu creato dall'energia atomica. […] E' come un simbolo della complicità umana nella sua propria distruzione», Jun Fukuda docet. Ma allora, sotto questo aspetto, sia Squeeler che i suoi dei autoproclamati sono i mostri, in quanto con le loro azioni contribuiscono alla propria annichilazione e sono quanto mai distanti dall'amore per l'umanità – rappresentato da Saki. Non è affatto un caso che nell'anime ad un certo punto compaia lo Psychobuster, una pseudo-bomba atomica in miniatura che in una scena viene esplicitamente descritta come «un'arma batteriologica sviluppata in America durante gli ultimi anni dell'antica civilizzazione al fine di sterminare tutti gli esper.» Un tale simulacro di morte fu quindi costruito dalla precedente generazione di esseri umani al fine di realizzare lo stesso obbiettivo di Squeeler, che a questo punto incarna altresì l'incubo del passato che si ripete, la prigionia dell'umanità mostruosa nella ciclicità della Storia. Egli indossa la divisa degli antichi Samurai e sovverte l'autorità della regina imponendo una democrazia fasulla nella sua colonia (cosa che metaforicamente rimanda alla subordinazione dell'autorità assoluta dell'imperatore alla “democrazia” filo-statunitense nell'immediato dopoguerra); e l'arma finale di cui dispone, guardacaso, è un esper furioso a cui è stato fatto il lavaggio del cervello (proprio come uno di quelli che s'intravedono nell'incipit della serie, in cui viene rappresentata per brevi istanti l'ipotetica apocalisse del nostro tempo). A questo punto, osservando che il “nuovo mondo” a cui si riferisce la sinfonia di Dvořák si tratta proprio dell'America, “Shinsekai Yori”, visto sotto questa nuova luce, non lascia più dubbi sulla sua natura di opera fortemente critica sia dell'americanismo che del duro modello socio-gerarchico nipponico ancora oggi vigente. Non per nulla Yusuke Kishi, classe 1959, è un perfetto shinjinrui, ovvero appartiene a quella generazione di giapponesi nati nel dopoguerra che all'epoca si pensava potessero rinnovare completamente il proprio paese senza commettere gli stessi errori degli anziani e dei loro antenati (in animazione queste “nuove persone” venivano di sovente idealizzate e dotate di poteri esp, come i newtype di “Gundam”, ad esempio. Tenendo presente questa osservazione, il lettore dedurrà autonomamente perché – allegoricamente parlando – gli abitanti di Kamisu 66 siano degli esper e perché lo Psychobuster americano sia stato costruito proprio per uccidere gli esper). Ciò detto, com'è ormai ben noto a chi legge, “Shinsekai Yori” non esalta affatto i suoi newtype, ma li descrive come esseri sconfitti e succubi della loro “nuova” società: la disfatta ideologica vissuta dalla generazione di Kishi rieccheggia potente tra le pieghe surreali dell'opera, che sostanzialmente, giunti a questo punto della trattazione, può essere altresì interpretata come la disavventura allegorica di una società di shinjinrui falliti e ancora succubi degli errori del passato. Si potrebbe dire che Saki incarni l'ennesimo tentativo di trovare un “salvatore”, una generazione di “nuovi esseri umani” in grado di “immaginare”, di “andare oltre” al “vecchio” e alla sua povertà spirituale. Ma poveretta, come dicevo, ella non può più liberarsi completamente dai vincoli che la limitano come i newtype degli anime del passato. Deve affidarsi a sua volta ai suoi discendenti. Perché ormai è troppo tardi per cambiare radicalmente. E sotto questo aspetto, “Shinsekai Yori” è tremendamente realistico e attuale.


I molteplici contenuti dell'opera si fondono a dovere con la sua estetica, in un originale espressionismo che nelle sue volute deformazioni grafiche sottolinea delle atmosfere ciniche, paranoiche e crude. Alcuni episodi sono veri e propri incubi ad occhi aperti, e in altri la mostruosità allegorica dei personaggi si fonde a dovere con le deformazioni irrealistiche dei loro volti e movimenti, che tuttavia conservano in ogni frangente un'innata eleganza. Il talentuoso Masashi Ishihama, veterano dell'animazione che in passato aveva contribuito ad ambiziosi progetti quali “The Tatami Galaxy”, “Dennou Coil”, “Giant Robo: The Day the Earth Stood Still” e “Jin-Roh”, nel suo debutto come regista ha modo di applicare senza troppe costrizioni quanto imparato durante l'esperienza con l'esuberante e visionario Masaaki Yuasa, aggiornando quella personalissima concezione visuale già da lui abbozzata nella sigla di apertura del memorabile “Welcome to the N.H.K.”.


Molto ricercata la colorazione delle immagini, che in base a quanto narrato passano da colori accesi e solari sino a diventare delle mere sagome in movimento svuotate d'ogni brillantezza e sfumatura, paragonabili a cupe, spigolose ombre prive di vita. Queste suggestioni artistiche cangianti creano un agrodolce contrasto le cui pulsazioni vengono scandite da una colonna sonora di prim'ordine, a tratti corale, epica, grandiosa; oppure schizofrenica, minimale, triste o contemplativa, a seconda delle circostanze. A scene volutamente acerbe e surreali talvolta si alternano trovate estetiche dall'innata bellezza e lirismo poetico (come ad esempio accade nel decimo episodio), le quali, congiunte al particolarissimo character design di Chikashi Kubota, diventano efficaci veicoli dello stato d'animo dei personaggi. Decisamente bizzarro il montaggio delle scene, che pare essere voluto nella sua atipicità ed apparente dilettantismo: con la sua particolarità, di certo esso contribuisce, come il resto degli aspetti tecnici dell'opera, a creare frammentazione, confusione e contrasto. Perché in fondo, questi tre aggettivi ben si adattano al sonno dell'uomo e agli incubi che tale sventurata, debole creatura si porta appresso nella propria memoria collettiva. Visioni di rabbia, morte, terrore, sangue, ipocrisia, follia, meccanicità, prigionia, menzogna, dolore, dissociazione, cupidigia, egoismo feroce. C'è ancora tempo per cambiare, seppur minimamente? Per risvegliarsi da un incubo che ormai si perpetua da millenni? Ai posteri l'ardua sentenza.

Note

Il retroscena sulle misure adottate dalla polizia giapponese nei confronti degli otaku citato nell'incipit della recensione è stato attinto dall'“Anime in TV” di Saburo Murakami, pag 122.

L'intervista a Yusuke Kishi da me utilizzata nella stesura di un paragrafo della recensione è stata pubblicata su Anime News Network al seguente link: http://www.animenewsnetwork.com/anime-spotlight/2012/fall/from-the-new-world

La famosa intervista a Jon Fukuda su “Godzilla” citata nello scritto è reperibile nella sua interezza nel documentario "Godzilla: King of the Monsters", andato in onda sul canale BBC 2 l'undici luglio del 1998.

















14 commenti:

  1. Magari l'autore ha voluto proporre un'analogia tra noi umani e i mostroratti: c'è chi sostiene che anche noi siamo degli OGM creati da una specie più evoluta (Dei?) al fine di sfruttarci e farci lavorare per loro; a farmi pensare questo è stato anche il riferimento alla telomerasi attarverso cui la reggente del villaggio (non ricordo il nome) riusciva a vivere per centinaia di anni. E' solo una possibile interpretazione, questo anime propone una miriade di chiavi di lettura e spunti di riflessione tali da porlo diverse categorie al di sopra degli altri titoli in circolazione. Shinsekai Yori fa parte di quella ristretta cerchia di opere che possono ambire al titolo di capolavoro assoluto dell'animazione nipponica, quando l'ho visto sono rimasto molto sorpreso, non pensavo che nel 2013 si potessero raggiungere ancora livelli così elevati, la tua bellissima recensione gli rende onore.

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  2. Quello che fai notare, ovvero la razza umana come creazione "imperfetta" di una specie più evoluta (di solito aliena) è un cliché tipico della letteratura fantascientifica, che sicuramente si tratta di roba nota ad uno scrittore del calibro di Yusuke Kishi. La fantascienza di SSY è di prim'ordine, in quanto è filosofica, impegnata, di denuncia sociale. Come giustamente dici, SSY è uno degli ultimi veri capolavori dell'animazione giapponese.

    BTW, direi che anche senza gli "dei" di cui parli (che nell'opera invero sono, molto ironicamente, i shinjinrui, e non delle entità altre rispetto al contesto di Kamisu 66), tutto funzioni alla perfezione.

    Ah, grazie per l'apprezzamento, fa sempre piacere ricevere dei feedback positivi per il proprio lavoro. :)

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  3. Considerare Dei altri umani o umanoidi più evoluti o in possesso di una tecnologia più avanzata è l'errore di valutazione attribuito a noi terrestri nel corso della storia della nostra civiltà. Questo sembra essere uno dei punti chiave sottolineato dalla letteratura a cui fai riferimento e che da decenni tratta l'argomento attraverso una rilettura dei testi antichi religiosi e filosofici, specie l'antico testamento. Un esempio in tal senso è il cosiddetto culto del cargo. Anche la teoria dell'anello mancante si spiegherebbe con un intervento esterno di ingegneria genetica che ha determinato l'evoluzione della nostra specie. Ovviamente sono tematiche su cui si potrebbe discutere all'infinito e probabilmente la verità non la conosceremo mai... tornando alla serie il mio personaggio preferito, non so bene perchè, è Kiroumaru, forse il più umano di tutti (nel senso migliore del termine), a metà strada tra i mostroratti e i presunti dei. Gli shinjinrui che hai citato (non conoscevo questa denominazione) sembrano la controparte orientale dei sessantottini: gente che doveva rivoluzionare il mondo e che per un motivo o per l'altro ha aderito al sistema rafforzando lo status quo.

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  4. Per caso ti riferisci al culto del carro contenuto nel libro di Ezechiele dell'Antico Testamento? Quello in particolare è un riferimento al misticismo della Merkaba tipico della Kabbalah ebraica.

    Cmq sempre nella Bibbia si parla di un misterioso popolo di Giganti che secondo il testo sacro è vissuto nelle età primigenie dell'umanità. Penso che molti abbiano fantasticato su questo mito, magari facendo passare tali giganti come i creatori della razza umana in qualche romanzo o culto new age postmoderno.

    Sì, in un certo senso i shinjinrui sono la controparte orientale dei sessantottini. Ottima considerazione. Il loro fallimento è palese sopratutto nell'operato dell'Aum, i cui fondatori si ritenevano degli esseri superiori in grado di ribaltare la società in cui vivevano (siccome nella realtà non avevano superpoteri, ci avevano provato con la violenza, commettendo lo stesso errore del militarismo yankee che condannavano).

    Kiromaru in effetti è particolare. Ovviamente il mio personaggio preferito è la bella Saki. :)

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    1. Non carro ma cargo: https://it.wikipedia.org/wiki/Culto_del_cargo
      In effetti il carro di Ezechiele è oggetto di varie interpretazioni dato che si tratterebbe di un mezzo che arriva in volo, anche Dante lo cita nella Divina Commedia descrivendo il suo viaggio nello spazio insieme a Beatrice, e anche qui le interpretazioni si sprecano... E' vero che la Bibbia parla di giganti ma non si dice che furono essi a creare l'uomo, la creazione è attribuita agli elohim, l'invenzione teologica è stata tradurre il termine elohim con Dio: non esiste nella lingua ebraica un significato preciso per questa parola, l'unica cosa certa è che il termine è plurale e si riferisce ad un gruppo di individui. Chi erano gli elohim, da dove venivano e se sono realmente esistiti non lo sa nessuno, di certo la Bibbia ne parla chiaramente, ma bisogna capire che il testo originale, al di là della credibilità che ognuno può attribuirgli, è stato manipolato e tradotto in modo falso per costruirvi sopra la religione monoteista. Se non ricordo male in Fushigi no umi no Nadia si parlava proprio di questo(gli elohim erano gli atlantidei?).

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  5. Commento interessante, il culto del cargo non lo conoscevo. :)

    Non penso che la Bibbia sia stata manipolata per creare il culto monoteistico, che alla fin fine deriva principalmente dalla religione introdotta da Akhenaton in Egitto (vedi l'Uomo Mosè di Freud). Penso che la pluralità del nome di Dio Elhoim sia un prodotto della contaminazione dell'antico culto egizio di Aton con le credenze politeistiche mesopotamiche (molto interessante il libro "Il Dio Solo" di Scarpelli a tal proposito). Ovviamente nel folklore cabalistico al nome Elhoim viene attribuito un significato trascendente di unità nella moltiplicità dell'assoluto.

    Non mi sembra che in Nadia vengano espressamente citati gli Elhoim, nonostante nei battenti finali della serie compaiano Adamo ed altri riferimenti biblici.

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  6. In effetti la Bibbia deriva dai racconti delle tavolette Sumere, in Nadia si parla di Atlantidi ma è uno dei tanti modi usati per denominare gli Elohim che secondo alcune interpretazioni sarebbero i capostipiti della civiltà sumerica:
    https://www.youtube.com/watch?v=ottyO57xIwQ

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  7. Mamma mia che suggestione quella scena che hai linkato. Le immagini, la musica, i dialoghi... mi fa venire i brividi ancora adesso, da adulto.

    Detto questo, direi che a questo punto tutto torna, anche perché il mito della creazione della Bibbia è una sorta di copia-incolla dell'Enûma Eliš babilonese.

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    1. Certi anime si apprezzano meglio quando si è grandicelli, da bambino non mi piaceva Lady Oscar, qualche anno dopo mi ha folgorato... la scena in questione è proprio pertinente, anche nei racconti sumeri si parla di come, prima di riuscire a creare il prototipo voluto, vi siano stati diversi tentativi falliti che avevano portato alla luce esseri difettosi se non mostruosi. Evidentemente gli autori hanno attinto da questi miti, anche Jung, che non a caso tu hai citato, attribuiva grande importanza all'interpretazione dei racconti mitici per cercare di trovare la verità sull'origine dell'uomo e comprenderne l'essenza.

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  8. Il rapporto tra Jung e gli anime/manga giapponesi è una cosa molto interessante, e oltre al sottoscritto l'hanno sviscerato anche studiosi come Bouisseau e Gomarasca. Dovrei scriverci un dossier.

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    1. Se non lo hai già fatto ti consiglio di vedere queste bellissime interviste:
      https://www.youtube.com/watch?v=aSoT3YR0Wg8
      https://www.youtube.com/watch?v=5NdyznBbqAg

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  9. Ho da poco terminato il romanzo, quindi passo per lasciare qualche considerazione sul rapporto fra le due opere.

    Prima però ci sono dei punti nella recensione che potrei discutere o ampliare, magari in virtù del fatto di aver avuto accesso all'originale.
    Partendo dalla fine, mi ricollegherei al discorso fatto sui mostroratti. È vero che Squeeler si è comportato in modo un po' dispotico, ma dalle sue azioni e dichiarazioni si evince che non c'era altra scelta.
    E parlo in particolare dell'imposizione della democrazia. La società dei mostroratti era organizzata in maniera feudale, con la regina al posto del Daimyo e gli dei nel ruolo degli imperatori. E questo era stato imposto a livello biologico, con la creazione di uno status sociale imposto simile a quello degli insetti sociali.
    Quindi la rivoluzione democratica e la lobotomizzazione delle regine sono l'unico modo per riguadagnare uno status paritario fra i mostroratti. Vi è anche da dire però che egli era stato segnato dal fatto di vivere al comando di una regina mentalmente non del tutto stabile.
    Altra cosa interessantissima sui mostroratti: nella rece si parla prevalentemente di Squeeler/Yakomaru, ma anche il personaggio di Kiroumaru è importante.
    Kiroumaru è onorevole, segue gli ordini del Daimyo/regina e onora gli umani/shogun. E sacrificherebbe la propria vita per tutto questo: fondamentalmente è un samurai.
    Yakomaru invece è machiavellico, mellifluo ma anche progressista e con uno scopo (la libertà) molto oltre a ciò che Kiroumaru possa mai desiderare. Fondamentalmente è l'uomo moderno. I due incarnano bene lo scontro fra tradizione e modernismo che ha caratterizzato gli ultimi secoli di storia del Giappone.

    Ora, per il libro in se: l'anime è un adattamento notevole, e va fatto un plauso per le scelte stilistiche volte a ricreare l'ambientazione e alla direzione di notevole qualità.
    Però, con il libro davanti, non si può fare a meno che esso sia solo una versione "compressa" rispetto all'originale. C'è tutto, e gli sceneggiatori hanno fatto un ottimo lavoro per far stare tutto in 25 episodi, ma il romanzo presenta una notevole mole di descrizioni e informazioni in più, che aiutano a comprendere meglio il nuovo mondo.

    Un esempio sta nel finale[DA QUI, SPOILER SUL FINALE NEL LIBRO]: quello dell'anime sembra speranzoso, e quello del libro lo è addirittura di più (viene reso esplicito che, in seguito alla catastrofe, stanno ricostruendo la rete di comunicazione mondiale, al fine di uscire dall'isolamento).
    Ma viene anche detto che Satoru ha riavviato l'allevamento dei gatti impuri (quelli che si vedono alla fine in una scena dell'adattamento televisivo), e che un giorno essi verranno utilizzati per rimuovere i "rischi".
    Quindi i due si affideranno ai metodi che, da giovani, disprezzavano.

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  10. Grazie mille per le precisazioni, in questo modo il post è veramente completo.

    L'anime cmq secondo me ha un approccio più "simbolico" che "narrativo", pertanto non lo penalizzerei paragonandolo al ben più corposo romanzo. :)

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    1. Sicuramente l'elemento visivo del media animato (peraltro sfruttato più che degnamente) ha utilizzato approcci simbolici per poter rendere moltissimi concetti e idee di difficile resa in qualsiasi modalità differente a quella narrativa scritta.
      E hanno ottenuto è un risultato estremamente notevole: sono riusciti a ricreare perfettamente l'atmosfera voluta dall'autore, compito affatto facile. Grazie a questo, nessuna delle tematiche importanti è stata lasciata indietro o alterata in modo significativo.

      Di conseguenza, la trasposizione animata può stare degnamente a fianco dell'originale, che riesce a risultare superiore più che altro per meriti qualitativi (con 3-5 episodi in più, probabilmente la trasposizione sarebbe stata completa anche dal punto di vista nozionistico).

      Vi è da dire che, nonostante le tematiche trattate in modo più o meno esplicito siano numerose, trovo che l'opera originale non voglia dare una risposta univoca per il futuro.
      Vi è naturalmente speranza per le nuove leve, ma il domani è tutt'altro che roseo.
      Mi è difficile pensare che la civiltà umana possa avere futuro: attraverso la continua ricerca e eliminazione del diverso, si ha l'impressione che essa si sia infilata in un vicolo cieco evolutivo, e che non vi saranno più passi verso un ulteriore passo avanti nell'evoluzione umana.

      Non so se l'autore, visto il parallelismo fra il "nuovo mondo" e la sua società di appartenenza, volesse dare una prospettiva così desolante, o se sia quella l'impressione che ha avuto riguardo l'evoluzione della società nell'enorme mole di tempo che gli fu necessaria alla pianificazione dell'opera.

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