Titolo originale: Ghost in the Shell - Stand Alone Complex
Regia: Kenji Kamiyama
Soggetto originale: Masamune Shirow
Sceneggiatura: Kenji Kamiyama
Character Design: Hajime Shimomura
Mechanical Design: Kenji Teraoka, Shinobu Tsuneki
Musiche: Yōko Kanno
Studio: Production I.G
Anno: 2002
Formato: Serie televisiva di 26 episodi
Disponibilità italiana: Dynit
Soggetto originale: Masamune Shirow
Sceneggiatura: Kenji Kamiyama
Character Design: Hajime Shimomura
Mechanical Design: Kenji Teraoka, Shinobu Tsuneki
Musiche: Yōko Kanno
Studio: Production I.G
Anno: 2002
Formato: Serie televisiva di 26 episodi
Disponibilità italiana: Dynit
Con "Ghost in the Shell - Stand Alone Complex" il concept del noto manga
di Masamune Shirow viene trasposto finalmente su serie animata, dico
concept poiché veramente poco sopravvive delle vicende proprie del
fumetto originario, si opta invece per una strada del tutto diversa che
cerca di proporre qualcosa di nuovo, seppur tuttavia senza tradire
troppo lo spirito cyberpunk che contraddistingue il suo progenitore. A
onor del vero non credo si possa però parlare, in senso stretto, di
cyberpunk vero e proprio, ma le tematiche della serie sono affini a
questa corrente letteraria tanto da permettere più di un timido
accostamento.
Nell'opera in questione fanno da padrone i topoi fondanti del genere,
come ad esempio il rapporto uomo-tecnologia, in particolare tra uomo e
macchina. In questo mondo alquanto futuristico infatti gli uomini hanno
raggiunto un livello tale di sviluppo tecnologico da potere meccanizzare
e rendere artificiale gran parte del corpo e questo pone
inevitabilmente pesanti riflessioni circa l'essere umano e la sua
sostanziale differenza dagli androidi, robot completamente artificiali
ma dalle fattezze umane. In una delle vicende, ad esempio, si narra
della drammatica quanto patetica storia di un amore impossibile tra un
uomo e un'androide femminile, e della loro fuga da una società non
ancora pronta per accettare una simile alienazione da ogni schema
pulsionale umano, sebbene non sia così innaturale pensare all'amore per
un oggetto o per una bambola, proiettato su un "essere" capace di
muoversi e agire nel mondo, pur non dotato di autocoscienza. Altro tema
fondamentale è quello della degenerazione sociale con tendenziali
elementi distopici quali depersonalizzazione e alienazione, che vengono
resi di certo in modo meno efficace e profondo che nel relativo film di
Oshii. In ogni caso gli autori riescono a prodursi in una trattazione
piuttosto dignitosa, cercando di focalizzare l'attenzione sul fenomeno
sociale detto "stand alone complex" di cui si dirà più avanti.
Altro tema fondamentale in "GITS" è quello della rete e della realtà
virtuale, che sposta l'attenzione sulla percezione individuale,
soggettiva del mondo, questo si palesa in più di una occasione, ad
esempio l'abilità de "L'uomo che ride" di impossessarsi degli occhi
delle sue vittime per poter mostrare loro le immagini da lui programmate
falsificando la realtà. Anche qui si rintracciano dei pallidi ricordi
di quello che furono il film e il fumetto, sebbene non si possa parlare
di una trattazione profonda e filosofica dell'argomento, comunque esso è
inserito in modo magistrale ed efficace.
A mio avviso sarebbe controproducente approcciarsi a quest'opera
proponendo un confronto con il famoso film di Mamoru Oshii, questo
perché Kamiyama è evidentemente interessato più a narrare una storia
cyberpunk in bello stile, ricca di complicate macchinazioni
fantapolitiche e di spionaggio, che a imbastire una riflessione
metafisica sull'idea di essere umano e di vita. Si deve quindi prendere
la serie come manifestazione più 'disimpegnata' dell'universo di "Ghost
in the Shell" in particolar modo tenendo da conto come i personaggi
vengano resi in modo diverso, come ad esempio il maggiore, che si
avvicina a incarnare quell'ideale di sexy-eroina alla Shirow piuttosto
che il personaggio dilemmatico del film, o Batou, il quale si presenta
più come un uomo rude e tutto muscoli, non certo il personaggio profondo
tratteggiato da Oshii, soprattutto in Innocence (che seguirà a questa
serie dopo due anni, 2004).
Il punto in effetti è da considerare più a fondo, i personaggi risultano
anche qui abbastanza freddi e piuttosto inumani, questo perché si deve
considerare il loro avvicinarsi alle macchine, mentre le macchine
subiscono il processo inverso, acquisendo una loro coscienza e imparando
ad affermare la loro personalità auto-riconoscendosi come entità
individuali e ben definite, umanizzandosi. Questo è messo in risalto dai
momenti in cui i Tachikoma si interrogano riguardo alla propria
esistenza, vere e proprie perle di sceneggiatura che poi confluiranno
nel culmine del loro farsi entità sensibili e coscienti, ovvero
nell'amare e sacrificarsi per il bene della persona che hanno a cuore,
momento di un'intensità commovente e apice emotivo della serie.
Resta ora da considerare quello che sarebbe dovuto essere il fenomeno
centrale dell'opera, lo "stand alone complex", cui vengono purtroppo
concesse troppo poche puntate per essere sviscerato con il dovuto
approfondimento. In ogni caso, nella vicenda riguardante "L'uomo che
ride", si riescono a dare le coordinate per comprendere a sufficienza
tale fenomeno sociale, descritto come il diffondersi dell'imitazione di
un simbolo, legato a un ideale, che si ripercuote come fenomeno sociale
di massa ma che sembra non avere un punto iniziale, una causa
scatenante. Esempio analogo, nella nostra realtà, sono i Meme,
conosciuti da tutti e diventati di moda, nessuno o quasi nessuno ne
conosce l'autore originale, eppure se ne fa largo uso e imitazione,
similmente è per l'entità conosciuta come "L'uomo che ride" ispiratore
di ideali puri e innocenti, motore immobile di un'intricata e cerebrale
questione di etica e politica, che vede interessate diverse aziende
prese nel mirino del terrorismo. Esso verrà imitato da una moltitudine
di falsi "Uomo che ride" senza che si riesca a scoprire l'esistenza di
un originale, di una causa causante primigenia.
Io non credo che SAC sia assai più disimpegnato dei vari GITS,ma ha più livelli.Può essere apprezzato sia a cervello meno impegnato per la sua parte poliziesca e d'azione di ottimo livello che per la parte filosofica.Questa seconda parte è meno esplicita del film e del manga sicuramente,ma onnipresente,infatti guardando in profondità con più visioni te ne accorgi come anche dettagli inutili aggiungono qualcosa alla filosofia di fondo.C'è un blog(quelli della dynit leggendolo sono stati aiutati indirettamente nel doppiaggio per capire a fondo il mondo di SAC) che analizza i singoli episodi e letti dopo la prima visione mi ha aperto un mondo xD,Poi lo ho rivisto altre 2 volte e ci capisci sempre di più.
RispondiEliminaA quando SAC 2nd gig?Che è ancora meglio.
Ehila' Tex, purtroppo io non ho ancora visto SAC quindi non posso esprimere la mia opinione. Sono comunque un grande estimatore del manga, uno dei miei preferiti, e, storicamente, quello che mi ha fatto definitivamente appassionare al fumetto giapponese assieme ad Akira.
RispondiEliminaMichele
RispondiEliminaA scanso di equivoci: non sto dicendo che SAC sia una serie disimpegnata in sè, se noti il mio "disimpegnata" è virgolettato!!! Anzi, al contrario, è una serie piuttosto complessa e molto filosofica, quello che volevo dire è che ritengo che il film di Oshii metta molto più in secondo piano la storia, e sia molto più metafisico e astratto. Mentre la serie, come ben dici, ha più livelli di apprezzamento.
No,avevo capito,ma non sapevo quanto fosse più "disimpegnata" per te xD
RispondiEliminaVai tranquillo,spero di aver chiarito la mia posizione :D
RispondiElimina2nd GIG mi piacerebbe recensirlo, ma per farlo dovrei rivederlo e questo mi porterebbe via un sacco di tempo che ora come ora non ho. Però tra me o Akira un giorno, si spera, comparirà :D