mercoledì 6 gennaio 2021

Che cos'è stato e cos'è per me Magic: The Gathering: un post personale


 
 
Dopo il divorzio dei miei, da piccolo, in un paese sperduto nella provincia di Torino, vedere il cartone dei Pokémon mi tirava molto su di morale. Avevo anche il Gameboy, sì, quello grosso come un mattone, e giocavo davvero tanto ai giochi dei Pokémon. Sia nell'anime che nel gioco c'era un mondo dove potevi parlare con tutti senza problemi, senza cose brutte o emotivamente eccessive. Le mie prime amicizie, nella scuola di quel paesino sperduto nel verde dove vivevo da mia nonna, erano nate grazie ai Pokémon. Io e i miei amici guardavamo l'anime, e ci connettavamo via cavo con i nostri monolitici Game Boy per sfidarci con i nostri mostriciattoli. Ogni volta che finivo il gioco, avrei voluto resettare la mia memoria per poterlo riniziare da capo come se non l'avessi mai giocato. Era troppo bello per un bambino. Quando passai alle carte dei Pokémon (era inevitabile!), mio padre, che aveva visto in un negozio 'ste *famosissime* carte di Magic, mi consigliò di giocare  a quello. Dopo poco tempo, avevo un mazzo starter di Settima Edizione in mano.

Mio padre, un bel giorno, mi mise in mano questo mazzo e mi disse di lasciar stare le carte dei Pokémon. Lo ascoltai.

Nella Torino dell'epoca, dato che l'e-commerce non aveva ancora distrutto completamente la maggiorparte dei negozi, c'erano tanti posti per giocare. Dato che l'affidamento prevedeva che vedessi mio padre - che viveva a Torino - ogni quindici giorni, molto probabilmente il sabato pomeriggio (dopo aver visto Evangelion), ero in uno di questi negozi. E pure durante ogni vacanza! Iniziai al Centro Gioco Educativo di Corso Ferrucci, perché era il più vicino alla casa di mia nonna paterna, nonché il più "tranquillo". Lì si cazzeggiava alla grande, e in primis conobbi A., un ragazzone di strada che amava i giochi da tavolo (infatti lì dentro si giocava anche a Vampire: The Masquerade, una sorta di D&D per darkettoni e/o emo). Ricordo con gioia ancora adesso quei momenti, perché con A. mi divertivo proprio tanto, e mi sarei divertito per anni, a stare dietro alle sue gesta di attaccabrighe del quartiere. Ma lui in fondo era una brava persona, erano certe problematiche familiari che in qualche modo lo rendevano un ragazzino "strano" con poco timore di combinare casini. Ma la sostanza era che di solito prestavo il mio mazzo ad A., e giocavamo contro persone più grandi di noi, che non brillavano di certo per simpatia (il classico snobismo otaku/nerd dei piemontesi). Poi, sempre lì, arrivò anche C., che come noi viveva più o meno dalla stessa zona. C. era il tipico ragazzo che viveva per giocare ai videogiochi e a Magic, e nella sua vita non c'era altro. Passava tutto il giorno in giro per i negozi e quando si comprava un bambolotto colorato dei Pokémon (o robe simili) era felice come una pasqua. Perculava che era una meraviglia, e infatti quando c'era lui il livello generale di perculamento e delirio raggiungeva vette ineguagliabili. Tipo A. che combinava un disastro (che ne so, bloccare una strada a caso con i birilli spartitraffico o un bidone della spazzatura) con il sottofondo di prese in giro di C. mi faceva ridere così tanto che avrei sputato fuori le interiora. Questo era l'inizio della mia "cumpa" giovanile. Cioè Magic, anime su MTV, la strada, qualche lezione di chitarra. Ma il mio vero sogno era quello di avere una ragazza misteriosa e moe(ru) come Ayanami Rei.

Dal punto di vista del giocare a Magic, il vero miglioramento si ebbe quando iniziammo a frequentare il Drago Dormiente di Ivan Curina, quando ancora si trovava in Via Cibrario. Lui era stato il primo campione nazionale di Magic e aveva fatto Top8 (arrivato tra i primi 8) al mondiale. Era come un eroe dei fumetti: palestrato, tatuato, figo. Anzi di andare in moto o in discoteca, giocava a Magic, e lo ribadiva anche ad alcuni vecchietti che portavano lì i nipoti a giocare. Loro non si capacitavano del perché uno figo come lui giocasse a figurine. Nel negozio di Ivan, a parte i ragazzini come me, c'erano giocatori molto "avanzati": il suo collega "Er Pannocchia"; D. B., che diventerà pro-player e poi giocatore di Poker professionista; il poco-simpatico, ma bravissimo, G. M. e tanti altri. E poi c'era la possente musica dei Manowar sempre sparata al massimo, anche durante i tornei; e c'era una ragazza, molto più grande di me, che mi metteva in soggezione: era in qualche modo affine alla dark lady un po' moe(ru) del mio immaginario nerd personale. L'archetipo della "dark lady" - con un po' di dolcezza inside perché in fondo giocavo alle visual novel dell'epoca anche senza capire nulla di giapponese - molto probabilmente deriva da una sublimazione della mia innata negavità (errore di fondo del mio essere) coadiuvata da tutto un archivio di anime, manga e romanzi gotici che consumavo fin dalla tenera età. Capelli corti (ma anche lunghi, possibilmente neri), sguardo penetrante, rossetto, gonna e calze. 

Ciò detto, ero appena entrato in un mondo del quale per la prima volta in vita mia mi sentivo realmente parte, e in cui tutto sommato ero felice. 

Ovviamente, essendo codesta "dark lady" troppo grande per me, non mi ero mai messo con lei, né ci avevo mai provato. Era soltanto una tizia che stava lì, bella e agghiacciante, a crare l'atmosfera giusta. 

 

 Alcune carte avevano dei disegni semplicemente stupendi, delle vere e proprie opere d'arte. Collezionarle era un piacere.

 

Il mio primo mazzo "vero" di Magic, che comprai da Ivan, fu un UB Reanimator. Ossia butti creature grosse grosse dal costo di mana alto nel cimitero (che volgarmente chiamavamo cesso, dato che era la pila degli scarti), e le rianimi con magie molto meno costose.  Durante il primo torneo da Ivan però avevo deciso di dare sfoggio della mia vena creativa portando un mazzo con 4 Phyrexian Negator e 4 Fulmini. In pratica, come mi facevano notare quelli più grandi perculandomi, se qualcuno mi avesse fatto Sviare, una magia che cambiava il target del Fulmine con un target a scelta dell'avversario, il mio bellissimo Negator mi avrebbe fatto sacrificare 3 permanenti (ossia le carte appoggiate sul tavolo) per nulla. Una grandissima sinergia! Eppure, mi piazzai bene con quell'obbrobrio, perché nessuno se lo aspettava.

Il Negator era la mia carta preferita e la mettevo un po' dappertutto peché mi ricordava l'unità Eva-01.

 

 I mesi passavano, di soldi ne giravano e quindi, con i miei intrallazzi (in fondo cercavo di imitare mio padre, che era un volpone dei mercatini dell'usato) , avevo fatto un bel po' di soldi pur essendo un poppante. Potevo quindi comprarmi un Black Lotus, e me ne comprai uno perfetto per pochi soldi da un tizio che tutti chiamavano "Il pagliaccio", che invero era un collezionista di mezza età (ovviamente senza donna) che per qualche ragione ammazzava la noia girando per i tornei con n raccoglitori e un ambiguo furgone con tanto di materasso nel vano merce (!). Bene o male, riuscii a comprarmi cinque o sei pezzi di Power Nine, e se oggi avessi quelle carte, che sono salite di prezzo in modo vertiginoso per via della speculazione (sempre presente in Magic, anche nell'oggidì), a quest'ora avrei una Lamborghini nel garage. Ma purtroppo, quando ci fu la crisi dei subprime, sia io che i miei amici, per paura di svalutazioni, vendemmo tutte le nostre Power Nine a prezzi ridicoli rispetto a ciò che realmente valgono oggi. Erano carte davvero iconiche, e se penso di aver venduto un Time Walk per comprarmi una Play Station 2 NTSC con cui giocare a Xenogears, mi viene un po' male. Ma all'epoca ero malato di Xenogears (e forse lo sono tutt'ora) perché su PSM Magazine (Internet era agli albori, e i nerd reperivano informazioni in edicola) c'era scritto che c'era la storia d'amore più deep mai vista in un videogioco. Avevo bisogno di una roba del genere, simile ad Evangelion, ma con un po' di sentimento vecchio stile.

 Alcuni pezzi di power.  Belle eh? Erano le carte più forti di Magic e all'epoca si giocavano tantissimo, dato che non valevano come valgono oggi.

 

  Quando andavo ad aiutare mio padre per i mercati ad Aosta, anche lì c'era un negozio, e mi sembrava si chiamasse l'Occhio di Rah. In esso uno poteva giocare a Magic e connettersi a internet per guardare le liste degli altri o qualche nuovo anime/videogioco da importare dall'estero. All'Occhio di Rah mi ricordo che mi divertivo molto, e il momento clue era stato quando un tizio che si faceva chiamare "Il Signore delle Nebbie" mi aveva sfidato. Lui giocava un mazzo con Illusionary Mask e Phyrexian Dreadnought, una combo molto vecchia che andava di moda a quei tempi. Ma era stato proprio il fatto che la gente di quel posto lo chiamasse a quel modo, e pure convinta, che mi aveva sopreso.

 

Ricordo davvero con piacere le ore passate a creare nuovi mazzi, i giri con gli amici per i vari negozi di Torino (oltre a Ivan e al Centro Gioco, c'erano anche il Magic Lair, che esiste tutt'ora, il Goblin e un'altro ancora di cui non ricordo il nome), e la mia generale crescita sia come giocatore che come persona in grado di interfacciarsi un minimo con gli altri (molto probabilmente, senza questo gioco, non mi sarei mai aperto veramente al mondo). Questo perché a Magic non giocavano soltanto nerd, ma anche metallari, darkettoni, tamarri, tizi che facevano break dance (l'hip-hop era un po' la colonna sonora di quegli anni), fighetti etc. Si vedevano quindi panorami umani più vasti di quelli di un paesino sperduto in provincia, panorami fatti di amici finiti poi in galera; casi umani di vario tipo; persone che tutt'ora sento ogni tanto (tipo B., uno che aveva tutte le carte più fighe e che chiamavamo con un certo disprezzo "bambino ricco"). Quel "bambino ricco" che poi col tempo si era rivelato un buon amico. Tra l'altro, era stato proprio lui a dirmi che io ero Shinji Ikari (vedi quest'altro post autobiografico). La cosa che accomunava tutti noi, in qualche modo, era la disgregazione del tessuto sociale e familiare. Magic creava una sorta di famiglia sostitutiva, che aveva sì i suoi lati oscuri (come tutte le famiglie), ma anche una certa carica di empatia, comprensione e condivisione.

Il mazzo che ho giocato di più da piccolo. Resuscitavi il drago di cui sopra e innescavi un loop simile ad un ciclo while infinito in C++. Gestire questa cosa con le interazioni dell'avversario non era banale. 

 

 Di episodi peculiari da raccontare ce ne sarebbero a bizzeffe, tipo quello in cui eravamo convinti di avere l'AT FIELD e avevamo attraversato un corso molto pericoloso col rosso. O i numeri da circo dei darkettoni locali, che erano talmente alienati da Vampire da credersi realmente dei vampiri in lotta contro qualcuno o qualcosa (parabole esistenziali ovviamente finite nella droga). 

Ad un certo punto, comunque, questa "comfort zone" verrà poi distrutta dall'impermanenza delle cose nel tempo. Era ora di studiare, perché non potevo permettermi di diventare un buono a nulla, non volevo dare soddisfazioni a chi, anche in famiglia, continuava meccanicamente a sminuirmi (e svilirmi). Le carte vennero vendute, e la mia vita diventò nuovamente ascetica. Da quel momento in poi mi sarei sfogato con la musica, ma non mi trovai mai bene come in quel periodo: l'ambiente musicale non mi era molto congeniale, e secondo me la tendenza  delle persone all'individualismo aumentava col passare degli anni.  Non erano più "cumpe", ma individui soli che facevano qualcosa insieme per i più disparati motivi. Anche in questo caso, comunque, una volta arrivata la chiamata dei libri (la magistrale in fisica teorica non era conciliabile con alcun hobby, a parte guardare un anime ogni tanto), tutte le varie persone incontrate diventarono semplici ricordi.

Carte fondamentali del mio attuale mazzo di Magic, del quale sono diventato una sorta di guru a furia di vincere tornei (ho anche un account Twitter apposta). Una tabernacolo solitario, molto creepy, in una valle simile a quella di Ferriere, dove sono cresciuto. Una persona mi disse che quel posto immaginario mi somigliava molto in quanto a sensazioni. 

Le lande desolate, come il libro di T. S. Eliot. La vita che rinasce dalla Terra.

 

 Le Magic ritorneranno poi durante la mia permanenza a Milano (in cui vivo tutt'ora per motivi lavorativi e per lo scarso amore che provo per Torino) , e devo dire che la cosa della "comfort zone" si è ripetuta, questa volta con persone molto più normali ed equilibrate del passato. Questo forse perché anche io, crescendo, in qualche modo mi sono reso più passabile in quanto individuo, e meno assoluto nel giudizio altrui (per me in passato era tutto o bianco o nero, cosa che ho cercato di correggere). Di certo, ogni volta che vivo in una città, sento il bisogno di qualche cosa di "magico", di qualche cosa per evadere un minimo senza trascurare la possibilità di fare nuove conoscenze. 

2 commenti:

  1. Post molto bello ti faccio i complimenti. Io non ho mai giocato a Magic (al massimo ho visto qualche partita alle fiere) ma deve essere stato veramente bello vivere quei momenti. Un po' ti invidio.

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    1. Sì, Magic a Torino a quei tempi era davvero qualcosa di "magico" a tutti gli effetti. Anche le persone che ho risentito rimpiangono ancora quel periodo.

      Molto probabilmente in futuro pubblicherò altri post autobiografici, dato che ogni tanto mi piace passare dalle recensioni al "romanzo episodico".

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