mercoledì 3 febbraio 2021

Comunque vada non importa: Recensione

 

«Ho messo una maglietta di Emily the Strange. Me l'aveva regalata Miku perché pensava che io fossi come Emily. La scritta dice: "Emily non è pigra, è felice di non far niente". Nel disegno, Emily è sdraiata su una poltrona e fissa il vuoto, circondata dai suoi gatti.» 

 

Il primo libro della Caruso, a differenza de Le Ferite Originali e - almeno credo - degli altri libri della  "maturità artistica" della scrittrice (che non penso di voler leggere, mi fermo qui), è molto meno cliché e certamente non ancora ben polarizzato verso una particolare nicchia di lettrici/fujoshi. Comunque vada non importa (cit. Asuka di Evangelion) è schietto, brutale, talvolta goffo, ridicolo e risibile, tipo la Novel Welcome to the N.H.K. di Takimoto (che rimane comunque di qualità superiore). Siamo sempre lì: vita (o non-vita che dir si voglia) di persone nate negli anni novanta, venute su con Evangelion e MTV, incapaci di vivere, o quantomeno giunte al fondo di una propria pozzanghera esistenziale dalla quale è difficile risalire. Vuoi per la morte della madre, per un padre assente, o per un fratello che si taglia - molto probabilmente di realmente autobiografico c'è poco, ma l'idea di famiglia distrutta viene resa molto bene. 

 

E se forse quella della famiglia problematica, come ammette la stessa protagonista Darla Tomoe (notare la scelta del cognome), fosse soltanto una scusa? Tutto il libro, anche se indirettamente, modulo i – pochi in questo caso – cliché da fanzine yaoi e da anime adolescenziale anni novanta, sembra quasi l'autoanalisi di una persona che si sta chiedendo da dove abbia avuto veramente origine la propria infelicità/apatia. Il vero problema forse è l'assenza della sensazione di futuro, l'essere arrivati tardi alla festa, quando ormai non c'è più niente da fare o da mangiare. Oppure che non si cresce, perché vivendo senza alcuno scossone, nella propria comfort zone post-consumistica di massa, leggendo tonnellate di manga e masturbandosi con i disegnini a ventisei anni (queste sono le due cose che principalmente fa la protagonista, che proprio come i neet giapponesi, non lavora e non studia), si diventa persone deboli e inette, assuefatte dal piacere e incapaci di affrontare il dolore. E quindi si mettono distanze, paletti, menefreghismi artificiosi o meno che vanno ad allontanare dagli altri, a rinchiudersi nel proprio guscio. Ma in fondo, Evangelion, citato ovunque in questo libro, insegna proprio che la disillusione verso i rapporti interpersonali è in realtà la giustificazione alla propria paura di essere feriti.  

 

«La cartella dove tengo i porno è la cosa più ordinata di questa casa.» 

 

Il libro è un vero e proprio campionamento di vari OCD (disturbo ossessivo-compulsivo) e litanie di vuotezza interiore spinta. E vuoi l'omosessuale che tira strisce di cocaina, la cosplayer operaia stile Gothic Lolita, il fratello molto probabilmente affetto da disturbo borderline di personalità, le lamentele su un mondo del lavoro quantomai precario. 

La protagonista analizza la sua inettitudine quasi clinicamente, soprattutto il rapporto col padre, che alla fin fine non è nient'altro che un povero adulto traumatizzato dalla perdita della moglie [cosa che i figli non sono in grado di comprendere, perché accecati dalla loro stessa autoreferenzialità]. Sono quindi questi figuri nati agli inizio dei 90s (mi ci metto pure io, classe 1990) persone disgustose, venute su in un tempo storico orribile e privo di domani? Credo di sì. La cosa preoccupante, e forse molto realistica per il nostro tempo, è che da parte loro non vi è alcuno sforzo attivo per migliorare le cose, per far del bene a loro stessi e agli altri. Volendo citare Evangelion : "malattia mortale, e poi?"

At least, in Welcome to the N.H.K., in qualche modo c'era un abbozzo di rapporto tra ragazzo e ragazza, un tentativo di salvataggio reciproco. Il che ai miei occhi lo nobilita.


Importante infine notare come la protagonista si lamenti del fatto che Sailor Moon le abbia dato troppe aspettative sui rapporti umani: se la realtà non rispecchia la metanarrazione adolescenziale, allora tanto vale rifugiarvisi completamente, stile Anno Hideaki. Di nuovo, Evangelion: questo libro non esce dal perimetro della magnum opus di Anno, e non aggiunge nulla di nuovo a tutto quello a cui eravamo già abituati, ma anzi, lo toglie (il finale di Evangelion serie TV era un invito a diventare persone decenti). In definitiva, questo è un buon esordio, ben scritto, che ha il surplus di una volgare lucidità nel bel mezzo di uno spleen esistenzialistico generazionale. Un libro non veramente necessario, sicuramente sgradevole, ma quantomeno onesto, e in linea col suo tempo. Di mio, penso che al momento sia più necessario cercare di costruire qualcosa, piuttosto che ammettere la disfatta analizzandola clinicamente. Ma queste sono solo mere opinioni personali. Forse, nell'oggidì, cercare di lanciare messaggi positivi può sembrare una sorta di trasgressione.

8 commenti:

  1. "assuefatte dal piacere"

    Ci ho pensato tanto, sai? Qualcosa non mi tornava. Dopo averci pensato, ti rispondo con la celeberrima commedia dell'arte "Pulcinella e il Diavolo". Il Diavolo seduce Pulcinella a vendergli l'anima, in cambio di ciò che Pulcinella chiederà. Pulcinella chiede, per lo sgomento del Diavolo, fame, sete, stanchezza e tutto questo genere di mancanze. Quando alla fine il Diavolo gli chiede come mai abbia chiesto quelle piaghe anziché ricchezze, Pulcinella risponde "perché senza fame come faccio a godermi un pranzo? Senza sete come faccio a godermi il vino? Senza stanchezza come faccio a godermi il riposo? Eccetera, eccetera. Al ché il Diavolo gli lascia pure l'anima, perché "ormai che ti sei ripreso tutte quelle cose, la tua anima che mi avevi dato è rimasta vuota".

    Forse il piacere non è tanto nella mancanza, ma nell'appagamento di quella mancanza – che comunque necessita, dunque. Forse è questo moto ciclico tra privazione e soddisfazione. Né avere tutto, né avere niente, ma avere qualcosa, non sempre. Pensavo questo. Quindi tornando al tuo:

    "assuefatte dal piacere"

    direi piuttosto:


    "sedate dalla sazietà" (del consumo diffusamente fornito)

    A me pare un leit-motif che parte sin dai classici veri. Penso a Catone il Censore, alla corruzione dell'agiatezza, a digiuni rituali in tante religioni diverse, all'autodisciplina marziale, al controllo della mente lucida sulla crapula laida, all'imposizione della forma sulla materia. Alla volontà che domina la voglia nella sua rigida, e dico rigida, rappresentazione. Forse è per questo che la resa di "wille" come "volontà" in un certo titolo non mi era mai tornata.

    Che ne dici? :-)

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    1. Ci stavo pensando anch'io, invero.

      Tipo la solitudine di Ayanami Rei, che sta in copertina.

      Sedate dalla sazietà > solitudine > autosedazione?

      Gran commento comunque. :)

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  2. Volevo ricordare che i filosofi, quelli veri, erano "monaci laici", asceti predicatori con discepoli al seguito, tanto quanto Gesù e Giovanni (che avevano ognuno la propria setta di apostoli, non solo il primo, cfr. il versetto da cui il "Padre nostro"), come anche Héloïse ebbe a ricordare al suo evirato ex-amante, e quando non poteva più chiedergli amore sensuale, ancora gli chiedeva amore intellettuale, e una "regola" persino. Ma era l'ancienne Héloïse, pas la nouvelle. La fine della storia era ancora ben al di là a venire.

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  3. [ Mi si è davvero fatto riascoltare vari brani di Bello Figo perché non mi ricordavo da quale venisse il termine "pornobebè"? Lui sì che è un genio. :-) ]

    Poscia: grazie per avermi dato idee più chiare su questo libro - ero fermo a vaghi ricordi e mezze citazioni trovate qua e là. In generale queste ultime me ne avevano lasciato un'impressione negativa: mi sembrava fosse un'opera che perdeva il suo valore tentando di "scioccare" in maniera esagerata/compiaciuta, ma da quanto dici probabilmente il risultato è abbastanza bilanciato.




    (Nota personale e sfogatoio sulla discussione con l'altro anonimo - IO sono facilmente impressionabile... Penso che al momento "trattare le donne come oggetti comprabili" sia tra i pochissimi difetti che, almeno a livello conscio, mi mancano. Anche se riconosco di soffrire di una certa penosa insensibilità verso "l'altro sesso". Non so se "colmerò la mia lacuna". Mi sembra facile concepire una donna che non sopporta il sesso per vari motivi, resta il fatto che presumibilmente avrei sentimenti misti quando la conoscessi.)

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    1. "Mi si è davvero fatto riascoltare vari brani di Bello Figo perché non mi ricordavo da quale venisse il termine "pornobebè"?"

      Viene da qui: https://www.youtube.com/watch?v=k7tQKBrA3Ao

      Nel nostro caso, o meglio nel caso dell'altro anonimo, si potrebbe aggiungere al titolo un "con" e un nome di quattro lettere che ci fa la rima.

      "ma da quanto dici probabilmente il risultato è abbastanza bilanciato"

      Sì, sostanzialmente dentro c'è Evangelion. Anche se in versione piemontese/femminile.

      "Penso che al momento "trattare le donne come oggetti comprabili" sia tra i pochissimi difetti che, almeno a livello conscio, mi mancano. "

      Meno male, perché è una merda. Ma non tanto per il maschio, ma per le poverette che si abbassano a ciò. Ma è anche un po' la nevrosi del nostro tempo. Troppi siti sconci in cui sfogare la propria frustrazione esistenziale, sia per i pornobebè che per le povere ragazze che si vendono al migliore offerente come bambole in vetrina.

      Mi sembra tutto un grosso OCD di massa. Compulsioni post-industrialistiche prive di senso.

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  4. @ *lui*

    "Anche se riconosco di soffrire di una certa penosa insensibilità verso "l'altro sesso". Non so se "colmerò la mia lacuna"."

    All my bets on "yes". :-)

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  5. Ho riletto questo articolo. Cito: "pozzanghera esistenziale", "utoanalisi di una persona che si sta chiedendo da dove abbia avuto veramente origine la propria infelicità", "assenza della sensazione di futuro", "leggendo tonnellate di manga e masturbandosi con i disegnini a ventisei anni", "si diventa persone deboli e inette, assuefatte dal piacere e incapaci di affrontare il dolore", " la disillusione verso i rapporti interpersonali è in realtà la giustificazione alla propria paura di essere feriti".

    Distillando il distillato, non trovo altro da aggiungere.

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    1. Forse l'origine dell'infelicità è l'appartenere a questa epoca, come leggo di traverso in certi articoli scritti da incel che lamentano di come i loro genitori classe baby boom fossero così affiatati mentre loro, al contrario, trovano solo psicotiche borderline o approfittatrici incapaci di amare. Non so se l'autrice abbia questo tipo di coscienza sociologica: di mio me la sono costruita anno dopo anno, lettura dopo lettura, riflessione dopo riflessione, e sicuramente mi dà un margine di comprensione e sopportazione maggiore.

      Il leit motiv dei genitori anziani felici insieme stile Famiglia del Mulino Bianco, posto fisso, figli, e della nostra generazione (+ quelle successive) nel tritacarne sociale post crisi/social media è un leit motiv anche a sentire parlare molti ragazzi della mia età.

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