lunedì 3 novembre 2025

Devilman: La saga demoniaca: Recensione


"Quando metto a confronto Dio e il Diavolo, mi schiero dalla parte di quest'ultimo. Quando penso a Dio, penso a quello del film La Bibbia: è un Dio terribile  che si comporta come un uomo di potere, un dittatore. Odio le persone che esercitano potere, per questo mi schiero col Diavolo che combatte Dio" [Go Nagai]. 

Jacopo è un amico: uno di quelli veri, uno di quei pochi che  mi porto dietro da una vita. Ci siamo quindi visti crescere a vicenda, sia come persone che come "scrittori", senza tuttavia mai risparmiarci vicendevoli critiche e taglienti osservazioni sul nostro reciproco operato (ne avevo tirati di bestemmioni a editare Yoshiyuki Tomino e Gundam, ad esempio, così come lui ne aveva tirati a leggere il  mio primo romanzo, Antropofagia, che tra l'altro, se lo sfoglio con gli occhi di oggi, devo ammettere che mi pare  abbastanza una stronzata). Anni e anni fa, nell'epoca dei forum e dei tempi d'oro di Animeclick, Jacopo era "quello dei real robot", mentre io ero un "nichilista", ossia uno dei disagiati appartenenti a un gruppetto di elitisti dell'animazione che qualche utente, non di certo privo di senso dell'umorismo, aveva battezzato "il club dei piccoli cinici". Jacopo, infatti, contrariamente a me, era ed è un vero e proprio entusiasta e appassionato dell'intrattenimento visivo, l'uomo dei real robot, sì, ma anche un grande estimatore e conoscitore del cinema horror di tutti i tempi, oltre che uno studioso di Storia, scienze politiche e quant'altro. Fatto salvo ciò, a mio parere, con questo libro su Devilman, Jacopo è riuscito a riunificare in qualche modo tutte le sue "anime", distaccandosi dalla sua solita etichetta di esperto di gAndam. Inutile dire che Devilman sia uno dei miei manga preferiti, nonché uno dei grandi capolavori di sempre del media, e che di mio abbia molto apprezzato (data la mia natura, tsk) il nichilismo spietato di una roba esagerata come Violence Jack, o il nonsense narrativo di un tanto malato quanto a suo modo elegante Devillady. Perché di Go Nagai amo l'anima anarchica, sovversiva, truce e viscerale, la mancanza di fronzoli per andare dritti al punto nelle cose, anche le più turpi e sgradevoli, un po' come faceva in letteratura quall'altro matto di Dazai Osamu. Pertanto, quando ho aperto Devilman: La saga demoniaca e mi sono trovato i riassunti di tutti i vari manga, anime e spinoff del cult nagaiano, con tanto di corposi retroscena e addirittura una linea temporale della saga che aiuta a fare i vari collegamenti tra le tappe dello scontro tra il Diavolo e Dio tanto caro all'autore, non ho potuto fare a meno di immergermi nella lettura, finendo il libro in un solo giorno.  

lunedì 13 ottobre 2025

Alla ricerca del tempo perduto: Riflessioni

 

Mi guardo intorno e mi sento al tramonto dell'umanità: un collega felice, quasi come se vivesse in una bolla tutta sua, parla sempre del suo bambino, e io francamente non so proprio cosa dirgli. Non posso di certo dire che l'umanità è sempre meno umana, che le macchine a breve distruggeranno completamente la cultura, l'arte e le emozioni. Che il suo bambino avrà una vita molto difficile, essendo il figlio di un impiegatuccio con un mutuo a carico ed essendo la società italiana ormai un colabrodo. Mi rifugio quindi nella lettura dei classici, una pratica che nell'oggidì mi pare una cosa da selvaggi, da anticonformisti (la scrittrice affermata che tiene il mio corso di scrittura, quando le ho detto che leggevo Proust, mi ha guardato come se fossi stato un alieno). Allora sì, fuggo tra le pagine, fuggo in epoche in cui si respirava ancora quella sensazione di vera "umanità". La recherche du temps perdu, nel mio presente, in particolare in questi ultimi otto/nove mesi di vita, è stata proprio ciò di cui avevo bisogno per sopravvivere alla disumanità del mio, di tempo. Con molto rammarico ne ho quindi raggiunto la parola "FINE" (tutto maiuscolo). Di certo questa è un'opera che il me stesso ventenne non sarebbe mai stato in grado né di comprendere né di completare, quindi a fine lettura mi sono sentito in qualche modo "cresciuto", anche se pur sempre impotente. Forse la crescita è realizzazione di questa impotenza, di questa rassegnazione che mi limita a guardare la tragedia del mondo, delle persone e del tempo con tristezza, senza poter fare nulla dall'alto della consapevolezza acquisita grazie all'invecchiamento. In questo post analizzerò (ovviamente a mio modo) il capolavoro Proustiano: non rientra di certo nelle mie intenzioni scriverne un'inutile recensione pseudocritica o pseudoaccademica, dato che il web e le biblioteche sono pieni di saggi e disquisizioni a tema. 

lunedì 15 settembre 2025

Dieci giorni all'esecuzione (un racconto originale by Molly)

 

 * * * Giorno 1 * * *

 

Mi ci rispecchio a malapena nel riflesso di questa enorme finestra che mi separa dal resto del mondo: da qui, dalla mia prigionia, posso ammirare tutta la città. Ho come l’impressione che i miei capelli non siano mai stati così spenti, né i miei occhi così rossi.

Tra dieci giorni non sarò più qui: in piazza tutti potranno ammirare la mia esecuzione. Così ha stabilito il sovrano, così è scritto nelle leggi. E io le ho violate.

Qui uccidere non è la cosa più grave che si possa fare, o meglio, dipende chi si uccide, dato che il valore delle persone non sempre è lo stesso. Io comunque non ho ucciso nessuno: forse è stata la mia sola presenza a uccidere, il mio respiro affannato, il mio passo incerto e pesante.

Mi accorgo di come si vede bene la città da quassù: si vede il Palazzo Reale, che in tutta la sua magnificenza sembra quasi un gigante intento a guardarti con aria di sfida. Chissà se oltre le mura che la circondano ci sono luoghi più umani, sussurro tra me e me.

Abbassando lo sguardo, sempre più in basso, ci sono le case di noi abitanti. Occorre sapere che vivere qui è un privilegio, questo ci viene detto sin dall'infanzia. Le famiglie più ricche godono di ogni beneficio: noi di sotto possiamo soltanto alzare gli occhi al cielo, apprezzare la loro fortuna e ritenerci graziati dalla loro presenza.

sabato 23 agosto 2025

Letture: Mishima, Gadda e altri


In questo periodo della mia vita così privo di emozioni e particolari turbamenti, una sorta di eterno presente à la Beautiful Dreamer, leggo molto. Quest'anno in particolare ho iniziato la temeraria lettura della Recerche di Proust, un gravoso impegno che tuttavia intervallo con letture più "leggere". Qui "recensisco" alcune di esse, in particolare I racconti della maturità di Checov, Il Maestro di Vigevano di Mastronardi, La Cognizione del Dolore di Gadda,  Lo Stadio di Wimbledon di Roberto del Giudice e infine, gran finale, Confessioni di una Maschera di Mishima Yukio. Ovviamente le edizioni che ho letto sono quelle che ho caricato come immagini di corredo al testo (occhio quindi a non comprare la versione tradotta dall'americano del libro di Mishima). Cover Photo (titolo: un abitacolo vuoto) by me. 

martedì 19 agosto 2025

Jakubisko e la morte dell'illusione (by Molly)

  

  


Uccelli, Orfani e Pazzi, titolo della pellicola di Juraj Jakubisko datata 1969, è un'opera che mette in luce il declino dell'animo umano con la follia intrinseca della corrente cinematografica della Nová Vlna. Una follia incisiva, decisiva, che in questo caso fa da tematica portante a quest’ora e venti di film.
I tre protagonisti sono orfani, non solo di genitori, ma anche di qualsivoglia identità sociale. Difatti vivono in un mondo devastato e privo di punti di riferimento, nel quale sono spronati ad andare avanti unicamente in nome della succitata follia.

Ma cos'è esattamente questa follia tanto nominata nel film? 

La follia è una filosofia di vita, schermo protettivo contro l'annichilimento emotivo, la tristezza e la consapevolezza. Una sorta di strategia di sopravvivenza
Yorick, Ondrej e Martha, infatti, rifuggono costantemente nella follia, salvo brevi attimi di perentoria lucidità.