martedì 24 giugno 2014

Princess Tutu: Recensione

 Titolo originale: Princess Tutu
Regia: Jun'ichi Satō/Shōgo Kōmoto
Soggetto: Chiaki J. Konaka/Mamiko Ikeda/Michiko Yokote/Rika Nakase/Takuya Sato
Sceneggiatura: Jun'ichi Satō/Kiyoko Sayama/Shougo Kawamoto/Tatsufumi Tamagawa/Yū Kō
Character Design: Ikuko Itō
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2002


Spesso si può essere portati erroneamente a credere che le fiabe siano un genere di racconti adatti solamente ai bambini, solite propinare una qualche morale costruita a puntino senza riuscire ad addentrarsi in riflessioni dotate di una certa maturità e profondità. Ritengo che questo sia uno dei più gravi errori e pregiudizi in cui si possa incorrere. "Princess Tutu" è la prova inoppugnabile di come una fiaba possa rivelarsi incredibilmente significativa, tragica e dolce. Questa serie non è altro, infatti, se non una bellissima fiaba, anzi, a voler essere precisi, la si dovrebbe considerare la fiaba delle fiabe, la storia per antonomasia, poiché la riflessione che propone va a incidere sul significato stesso della costruzione di una storia, del ruolo dei suoi personaggi e della funzione del suo autore.


Per capire a cosa mi riferisco si deve però fare qualche passo indietro e andare a scoprire qualcosa di più circa le peculiari caratteristiche di quest'opera.
Non si è trattato certo di un nostro capriccio il voler definire "Princess Tutu" una fiaba; essa presenta infatti i personaggi tradizionalmente propri di questo genere: il principe, la principessa, il corvo, il cavaliere, accompagnati da un insieme pittoresco di animali antropomorfizzati e parlanti, dei quali illustre esempio viene fornito dal Neko-sensei. Anche la struttura è apparentemente quella di una semplice fiaba, vi si può comodamente notare la classica contrapposizione tra il bene (il principe) e il male (il corvo) e la strenua battaglia tra i due, che porterà prima o poi al prevalere dell'uno sull'altro. Tale battaglia all'iniziare della serie è però interrotta, perché il principe, per non soccombere al corvo, ha spezzato in molti frammenti il suo cuore in modo da sigillare il suo atavico nemico sotto la città, perdendo così la sua personalità, ma riuscendo a fermare la storia, uscendo dalla stessa. Per aggirare tale ostacolo l'autore decide d'intervenire direttamente e qui iniziano le vicende della nostra eroina Ahiru, aka Princess Tutu.


Ora, per comprendere quest'opera è necessario fare uno sforzo di volontà e cercare di cogliere più di quello che si palesa allo spettatore durante la visione, andando ad analizzare in profondità ciò che viene celato all'occhio disattento. Si tratta dunque di una serie suscettibile a più livelli di comprensione e interpretazione, che lascia ampio spazio alla rielaborazione personale dello spettatore.
Se visto superficialmente, "Princess Tutu" potrebbe apparire come una dolce storia che parla d'amore. Non l'amore giocondo e frivolo comune a molte favole, ma un amore sofferto e tragico, un sentimento che scuote le passioni e i desideri dell'uomo e che contemporaneamente lo affligge, in una stringente morsa di autocommiserazione e di pessimismo. A cosa si anela veramente? Ad amare o a essere amati? Il desiderio che in realtà si cela nei più profondi anfratti dell'animo umano è quello di ricevere gratuitamente l'amore dagli altri, possedere l'oggetto di tale brama solo per se stessi, per soddisfare il proprio egoismo e lenire la propria solitudine. Questo è ciò che pensiamo possa renderci felici. Infatti quale orribile destino, segnato dalla sofferenza, attende chi invece ama senza però essere ricambiato, senza poter godere di quell'amore che in cuor suo offrirebbe incondizionatamente, poiché il crudele fato glielo impedisce? La medesima domanda affligge anche i personaggi, in particolare Rue, principessa destinata a non venire amata da alcuno, la stessa Tutu, il cui fato è quello di svanire per sempre nel momento in qui svelerà il suo intimo sentimento all'amato. Questi e tanti altrispunti emergono dal complicato intrico narrativo che si viene a creare; ad esempio la volontà di fermare lo scorrere degli eventi, di fermare la storia, gettando via i propri sentimenti, dimenticando la realtà per costruirsene una fittizia, sicura per se stessi, dove guadagnare una felicità fasulla, confortevole, ma tanto fragile da crollare inevitabilmente innanzi al mutare degli avvenimenti. La soluzione non è fuggire, rimandando inutilmente la propria sorte per paura di soffrire, ma affrontare faccia a faccia il proprio destino per cercare di cambiarlo.


 Interessante notare, poi, come venga reso ambiguo il rapporto tra ciò che è reale e ciò che è fantasia, questi due aspetti si fondono in una confusa e onirica amalgama, sottolineando come la loro differenza sia indefinitamente sottile. Con questo passaggio si arriva a un'analisi più approfondita della serie, quale tentativo di decostruzione del processo che porta alla formazione di una storia. Cos'altro determina le vicende di una narrazione se non la volontà del suo autore? I personaggi all'interno della fiaba non sono che mere pedine di un crudele gioco, marionette che credono d'agire secondo la propria volontà senza sapere che dietro vi è la mano di qualcun altro: dell'autore appunto, il quale determina il tragico fato delle sue comparse, giocando a fare la divinità.
Cosa accadrebbe, tuttavia, se i personaggi, piano piano, si accorgessero di essere manipolati, ottenendo così coscienza della loro condizione? Anche se sapessero che ogni loro atto è già stato deciso, come potrebbero agire di conseguenza, in modo da liberarsi? Come poter essere sicuri che il loro comportamento li porti davvero a realizzare ciò che desiderano e non contribuisca invece allo sviluppo della storia, i cui binari sono già predeterminati dal suo creatore? Una storia che diventa realtà, la realtà che diventa una storia: qual è la differenza tra questi due processi di creazione? La risposta è che essa è molto labile, ambigua, e ciò comporta il dubbio di essere anche noi, senza saperlo, parte della storia scritta da qualcun altro, poiché non possiamo sapere se le nostre azioni e vicende siano state o meno già premeditate in un progetto più grande di noi, da una mente superiore. Pure l'autore stesso della storia non è esente da questo dilemma, arrivando nelle battute finali a porsi anche lui questo quesito, la cui risposta è ironicamente positiva, poiché egli non è altro che un personaggio dell'anime stesso, una trovata davvero brillante e a mio parere geniale.


Nell'ultima parte della storia i personaggi tentano di liberarsi dall'infausto destino che li accomuna, cercando di evitare la triste conclusione che li attende, imposta dalla sadica mente di Drosselmeyer. Ciò non è tuttavia facile, perché essi non sono altro che i suoi personaggi, all'interno della sua storia, sebbene questa spesso gli sfugga di mano, come del resto può accadere anche al migliore scrittore; per questo egli necessita di una pedina da utilizzare come motore di tutto, e questa sarà proprio la nostra eroina, inizialmente estranea alle vicende e introdotta nella narrazione per farla procedere come previsto. Tutu, inconsapevole del suo vero ruolo, accetta questo compito con determinazione, diventando la "mano" dell'autore all'interno della storia.
Il susseguirsi degli avvenimenti, dunque, si costruisce in parte grazie all'improvvisazione dei personaggi, che cercando di ribelllarsi al loro stesso mondo, in parte a seguito delle direttive dell'autore, che interverrà quando di dovere per aggiustare e reindirizzare le vicende sui binari da lui scelti. Egli ha già deciso infatti che l'opera sarà una tragedia, ed essendo questa la sua volontà, arduo sarà cercare di svincolarsi da tali catene. Solamente nel finale si riuscirà a superare l'autore stesso e i personaggi, tornando ai loro ruoli, completeranno da soli la fine della fiaba.


Seguendo questa ribellione, portata avanti dai personaggi della serie, non si potrà che rimanere impressionati dalla grande delicatezza con cui vengono trattati i temi, per non parlare della credibile umanità che i protagonisti dimostrano, il tutto reso impeccabilmente da una regia davvero buona.
Il lato tecnic è spettacolare, pochi anime meritano un elogio così sentito per la loro realizzazione a livello visivo e a livello sonoro. Le animazioni sono molto fluide e ben realizzate, gli sfondi curati e il character design originale e adatto per una serie di stampo fiabesco. Le atmosfere sono cupe e tristi, la città in cui tutto si ambienta è infatti misteriosa e profondamente incoerente; nessun personaggio però sembra inizialmente accorgersene (se non Ahiru, essendo a esso esterna) poiché, naturalmente, nessun personaggio di una storia si stupirebbe dell'ambiente in cui è calato, nonostante le lapalissiane incongruenze che lo caratterizzano.
Il maggior pregio, dal lato tecnico, consiste nell'incredibile comparto sonoro, il quale fa proprie le musiche composte dal genio di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
Esse si adattano alla perfezione con la regia, tanto da lasciare a bocca aperta in più di qualche occasione, risultando oltremodo azzeccate con il contesto, la scuola di ballo, ed entrando in perfetta sinergia con l'intrinseca eleganza ed effimera leggerezza delle movenze dei personaggi, i quali sembrano danzare anche nel mentre della più furibonda lotta.


Purtroppo in questa recensione sono stato costretto, per motivi di spazio, a spietati funambolismi sinottici, riducendo al minimo le considerazioni da me tratte in seguito alla visione di questa splendida opera. Tanto ancora ci sarebbe da scrivere e di cui discutere, ma credo sia ora di pervenire a una conclusione per non tediare il lettore. Porgo i più sentiti ringraziamenti a quanti hanno avuto la pazienza di leggere fino a qui e immancabilmente non potrò che suggerire loro la visione di quest'opera.






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