Titolo originale: Princess Tutu
Regia: Jun'ichi Satō/Shōgo Kōmoto
Soggetto: Chiaki J. Konaka/Mamiko Ikeda/Michiko Yokote/Rika Nakase/Takuya Sato
Sceneggiatura: Jun'ichi Satō/Kiyoko Sayama/Shougo Kawamoto/Tatsufumi Tamagawa/Yū Kō
Character Design: Ikuko Itō
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2002
Sceneggiatura: Jun'ichi Satō/Kiyoko Sayama/Shougo Kawamoto/Tatsufumi Tamagawa/Yū Kō
Character Design: Ikuko Itō
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 2002
Spesso si può essere portati erroneamente a credere che le fiabe siano un genere
di racconti adatti solamente ai bambini, solite propinare una
qualche morale costruita a puntino senza riuscire ad addentrarsi in
riflessioni dotate di una certa maturità e profondità. Ritengo che
questo sia uno dei più gravi errori e pregiudizi in cui si possa
incorrere. "Princess Tutu" è la prova inoppugnabile di come una
fiaba possa rivelarsi incredibilmente significativa, tragica e dolce.
Questa serie non è altro, infatti, se non una bellissima fiaba, anzi, a
voler essere precisi, la si dovrebbe considerare la fiaba delle fiabe,
la storia per antonomasia, poiché la riflessione che propone va a
incidere sul significato stesso della costruzione di una storia, del
ruolo dei suoi personaggi e della funzione del suo autore.
Per capire a cosa mi riferisco si deve però fare qualche passo indietro e
andare a scoprire qualcosa di più circa le peculiari caratteristiche di
quest'opera.
Non si è trattato certo di un nostro capriccio il voler definire
"Princess Tutu" una fiaba; essa presenta infatti i personaggi
tradizionalmente propri di questo genere: il principe, la
principessa, il corvo, il cavaliere, accompagnati da un insieme
pittoresco di animali antropomorfizzati e parlanti, dei quali illustre
esempio viene fornito dal Neko-sensei. Anche la struttura è
apparentemente quella di una semplice fiaba, vi si può comodamente
notare la classica contrapposizione tra il bene (il principe) e il male (il corvo) e la strenua battaglia tra i due, che porterà prima o poi al
prevalere dell'uno sull'altro. Tale battaglia all'iniziare della serie è
però interrotta, perché il principe, per non soccombere al corvo, ha
spezzato in molti frammenti il suo cuore in modo da sigillare il suo
atavico nemico sotto la città, perdendo così la sua personalità, ma
riuscendo a fermare la storia, uscendo dalla stessa. Per aggirare tale
ostacolo l'autore decide d'intervenire direttamente e qui iniziano le
vicende della nostra eroina Ahiru, aka Princess Tutu.
Ora, per comprendere quest'opera è necessario fare uno sforzo di volontà
e cercare di cogliere più di quello che si palesa allo spettatore
durante la visione, andando ad analizzare in profondità ciò che viene
celato all'occhio disattento. Si tratta dunque di una serie suscettibile
a più livelli di comprensione e interpretazione, che lascia ampio
spazio alla rielaborazione personale dello spettatore.
Se visto superficialmente, "Princess Tutu" potrebbe apparire come una
dolce storia che parla d'amore. Non l'amore giocondo e frivolo comune a
molte favole, ma un amore sofferto e tragico, un sentimento che scuote
le passioni e i desideri dell'uomo e che contemporaneamente lo affligge,
in una stringente morsa di autocommiserazione e di pessimismo. A cosa
si anela veramente? Ad amare o a essere amati? Il desiderio che in
realtà si cela nei più profondi anfratti dell'animo umano è quello di
ricevere gratuitamente l'amore dagli altri, possedere l'oggetto di tale
brama solo per se stessi, per soddisfare il proprio egoismo e lenire la
propria solitudine. Questo è ciò che pensiamo possa renderci felici.
Infatti quale orribile destino, segnato dalla sofferenza, attende chi
invece ama senza però essere ricambiato, senza poter godere di
quell'amore che in cuor suo offrirebbe incondizionatamente, poiché il
crudele fato glielo impedisce? La medesima domanda affligge anche i
personaggi, in particolare Rue, principessa destinata a non venire amata
da alcuno, la stessa Tutu, il cui fato è quello di svanire per sempre
nel momento in qui svelerà il suo intimo sentimento all'amato. Questi e
tanti altrispunti emergono dal complicato intrico narrativo
che si viene a creare; ad esempio la volontà di fermare lo scorrere
degli eventi, di fermare la storia, gettando via i propri sentimenti,
dimenticando la realtà per costruirsene una fittizia, sicura per se
stessi, dove guadagnare una felicità fasulla, confortevole, ma tanto
fragile da crollare inevitabilmente innanzi al mutare degli avvenimenti.
La soluzione non è fuggire, rimandando inutilmente la propria sorte per
paura di soffrire, ma affrontare faccia a faccia il proprio destino per
cercare di cambiarlo.
Interessante notare, poi, come venga reso ambiguo il rapporto tra ciò
che è reale e ciò che è fantasia, questi due aspetti si fondono in una
confusa e onirica amalgama, sottolineando come la loro differenza sia
indefinitamente sottile. Con questo passaggio si arriva a un'analisi più approfondita della
serie, quale tentativo di decostruzione del processo che porta alla
formazione di una storia. Cos'altro determina le vicende di una
narrazione se non la volontà del suo autore? I personaggi all'interno
della fiaba non sono che mere pedine di un crudele gioco, marionette che
credono d'agire secondo la propria volontà senza sapere che dietro vi è
la mano di qualcun altro: dell'autore appunto, il quale determina il
tragico fato delle sue comparse, giocando a fare la divinità.
Cosa accadrebbe, tuttavia, se i personaggi, piano piano, si accorgessero
di essere manipolati, ottenendo così coscienza della loro condizione?
Anche se sapessero che ogni loro atto è già stato deciso, come
potrebbero agire di conseguenza, in modo da liberarsi? Come poter essere
sicuri che il loro comportamento li porti davvero a realizzare ciò che
desiderano e non contribuisca invece allo sviluppo della storia, i cui
binari sono già predeterminati dal suo creatore? Una storia che diventa realtà, la realtà che diventa una storia: qual è
la differenza tra questi due processi di creazione? La risposta è che
essa è molto labile, ambigua, e ciò comporta il dubbio di essere anche
noi, senza saperlo, parte della storia scritta da qualcun altro, poiché
non possiamo sapere se le nostre azioni e vicende siano state o meno già
premeditate in un progetto più grande di noi, da una mente superiore. Pure l'autore stesso della storia non è esente da questo dilemma, arrivando
nelle battute finali a porsi anche lui questo quesito, la cui risposta è
ironicamente positiva, poiché egli non è altro che un personaggio
dell'anime stesso, una trovata davvero brillante e a mio parere geniale.
Nell'ultima parte della storia i personaggi tentano di liberarsi dall'infausto destino che li accomuna, cercando di evitare la triste conclusione che li attende, imposta dalla sadica mente di Drosselmeyer. Ciò non è tuttavia facile, perché essi non sono altro che i suoi personaggi, all'interno della sua storia, sebbene questa spesso gli sfugga di mano, come del resto può accadere anche al migliore scrittore; per questo egli necessita di una pedina da utilizzare come motore di tutto, e questa sarà proprio la nostra eroina, inizialmente estranea alle vicende e introdotta nella narrazione per farla procedere come previsto. Tutu, inconsapevole del suo vero ruolo, accetta questo compito con determinazione, diventando la "mano" dell'autore all'interno della storia.
Il susseguirsi degli avvenimenti, dunque, si costruisce in parte grazie all'improvvisazione dei personaggi, che cercando di ribelllarsi al loro stesso mondo, in parte a seguito delle direttive dell'autore, che
interverrà quando di dovere per aggiustare e reindirizzare le vicende
sui binari da lui scelti. Egli ha già deciso infatti che l'opera sarà
una tragedia, ed essendo questa la sua volontà, arduo sarà cercare di
svincolarsi da tali catene. Solamente nel finale si riuscirà a superare
l'autore stesso e i personaggi, tornando ai loro ruoli, completeranno da
soli la fine della fiaba.
Seguendo questa ribellione, portata avanti dai personaggi della serie, non si potrà che rimanere impressionati dalla grande delicatezza con cui vengono trattati i temi, per non parlare della credibile umanità che i protagonisti dimostrano, il tutto reso impeccabilmente da una regia davvero buona.
Il lato tecnic è spettacolare, pochi anime meritano un elogio
così sentito per la loro realizzazione a livello visivo e a livello
sonoro. Le animazioni sono molto fluide e ben realizzate, gli sfondi curati e il
character design originale e adatto per una serie di stampo fiabesco.
Le atmosfere sono cupe e tristi, la città in cui tutto si ambienta è
infatti misteriosa e profondamente incoerente; nessun personaggio però
sembra inizialmente accorgersene (se non Ahiru, essendo a esso esterna)
poiché, naturalmente, nessun personaggio di una storia si stupirebbe
dell'ambiente in cui è calato, nonostante le lapalissiane incongruenze
che lo caratterizzano.
Il maggior pregio, dal lato tecnico, consiste nell'incredibile comparto
sonoro, il quale fa proprie le musiche composte dal genio di Pëtr Il'ič
Čajkovskij.
Esse si adattano alla perfezione con la regia, tanto da lasciare a bocca
aperta in più di qualche occasione, risultando oltremodo azzeccate con
il contesto, la scuola di ballo, ed entrando in perfetta sinergia con
l'intrinseca eleganza ed effimera leggerezza delle movenze dei
personaggi, i quali sembrano danzare anche nel mentre della più
furibonda lotta.
Purtroppo in questa recensione sono stato costretto, per motivi di spazio, a spietati funambolismi sinottici, riducendo al minimo le considerazioni da me tratte in seguito alla visione di questa splendida opera. Tanto ancora ci sarebbe da scrivere e di cui discutere, ma credo sia ora di pervenire a una conclusione per non tediare il lettore. Porgo i più sentiti ringraziamenti a quanti hanno avuto la pazienza di leggere fino a qui e immancabilmente non potrò che suggerire loro la visione di quest'opera.
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