Titolo originale: Ninpuu Kamui Gaiden
Regia: Hio Kobayashi
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Sampei Shirato
Sceneggiatura: Junji Tashiro
Character Design: Shuichi Seki
Musiche: Ryoichi Mizutani
Studio: Tele-Cartoon Japan, Eiken studio
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Sampei Shirato
Sceneggiatura: Junji Tashiro
Character Design: Shuichi Seki
Musiche: Ryoichi Mizutani
Studio: Tele-Cartoon Japan, Eiken studio
Formato: serie televisiva di 26 episodi
Anno di trasmissione: 1969
Anno di trasmissione: 1969
In un periodo Edo cupo, senza luce, pieno di povertà e ingiustizie, il Ninja disertore Kamui vaga senza meta, con il solo scopo di sopravvivere agli attacchi dei sicari inviati dal clan Iga, dal quale è stato allevato fin da bambino come killer professionista. La solitudine del guerriero è totale: egli può solamente continuare a fuggire, non può fidarsi di nessuno, pena la morte.
Salta subito all'occhio il fatto che questo anime sia uscito nel lontano
1969. All'epoca in Giappone erano in corso rivolte studentesche,
agitazioni sociali di vario tipo, la povertà ed il caos derivanti dalla
perdita della guerra, uniti al frenetico climax
dell'industrializzazione, avevano temprato la generazione di giovani
giapponesi del periodo, che richiedeva per il suo intrattenimento
prodotti socialmente impegnati, nei quali fosse presente una ribellione
contro la società e l'ordine costituito. Il gekiga di Sampei Shirato,
autore del qui presente "Ninpuu Kamui gaiden ", nasce proprio per
rispondere alle esigenze tipiche dei giovani dell'epoca: si tratta di
storie adulte, impegnate, in cui la ribellione e la denuncia sociale
fanno da padroni. Kamui è il giovane giapponese dell'epoca, che si
ribella alla società di vecchio stampo tradizionalista legata al
profitto - in questo caso rappresentata dal clan Iga, vero e proprio
servo degli interessi dei ricchi proprietari terrieri - e che, nella sua
fuga continua e senza speranza, incontra l'atroce indifferenza dei
contadini, dei taglialegna, delle persone "non rivoluzionarie" che con
la loro apatia e la loro cattiveria mantengono la società in stallo,
privandola del cambiamento necessario ad una sua evoluzione.
Il periodo Edo di "Ninpuu Kamui gaiden" è un'evidente metafora del
Giappone in crisi, appena uscito dalla guerra e travagliato dalle
disparità sociali. Non ci sono regole, non ci sono valori, solamente
frenesia, incomprensione, dolore e morte. Queste sono le cose che il
giovane Ninja Kamui incontrerà lungo il suo cammino. La sua condizione
ontologica di fuggitivo braccato ad eternum, in base alle numerose scene
naturalistiche dell'anime - che raffigurano predatori e prede, mentre
il sole si erge in alto come un disco monolitico ed impersonale,
incurante del dramma umano - suggerisce il profondo pessimismo cosmico
dell'opera: per Kamui la libertà è impossibile, in quanto la natura, con
le sue leggi, ha decretato che ogni preda finirà immancabilmente nelle
fauci del predatore. Non resta quindi che fuggire sottostando alle sue
regole, uccidendo per sopravvivere e aspettando, nella più completa
solitudine, la venuta della morte.
Valutata come anime Ninja in sé, la cupa epopea nichilista del Ninja
Kamui eccelle sotto tutti i punti di vista: i combattimenti, nonostante
siano stati animati più di quarant'anni fa, sono comunque spettacolari;
il dramma è crudo, senza sconti per lo spettatore: l'umanizzazione di
alcuni antagonisti - tra i quali sono presenti anche numerose donne -
spesso renderà la loro dipartita un'evento tragico e drammatico; la
storia d'amore presente nell'anime è anch'essa tragica, virile e senza
speranza, ben lontana dal solito happy ending che va tanto di moda ai
giorni nostri. La continuity degli episodi è serrata, anche se il solito
canovaccio del Ninja che vuole ammazzare Kamui puntualmente fatto a
pezzi - anche con l'ausilio di cavalli selvatici e tartarughe che
spuntano fuori dal nulla al momento più opportuno (!) - in alcune
puntate si dimostra leggermente ridondante. Quello che rimane comunque
impresso è il messaggio di fondo dell'opera, la sua atmosfera scarna e
cupa, la sua profonda "giapponesità"; infatti, " Ninpuu Kamui gaiden" è
l'anime giapponese più "giapponese stricto sensu" che abbia mai visto.
Siamo ben lontani dagli eroi perfetti ed immortali creati negli anni '80
prendendo ad esempio quelli dei comics americani: Kamui è un antieroe
tragico che prova paura, smarrimento, che uccide donne e bambini
innocenti temendo che siano sicari inviati dal clan Iga per ucciderlo.
Non c'è alcun filtro inibitore nel mostrare personaggi che muiono,
situazioni tragiche e nichilismo accompagnato da carneficine varie - il
tutto senza musiche epiche, solamente con il rumore del vento che
squarcia la quiete della notte sinistra e silenziosa; oppure il fruscio
inquietante di un serpente che stritola la sua preda; gli angoscianti
latrati dei cani selvatici. Si respira quella situazione di
"annullamento" tipica della cultura orientale, in cui, a differenza del
pensiero occidentale, la morte non è concepita come una cosa negativa,
ma sfocia in un nulla che in questo caso ha valenza positiva e
liberatoria. Anche il character design è tipicamente giapponese: i
tratti dei personaggi, sopratutto quelli feminili, sono estremamente
fedeli all'antica cultura artistica del sol levante, allo stesso modo
del mare, che sembra appena uscito da un dipinto di Hokusai.
In conclusione, prendendo la maggiorparte degli anime shonen da
combattimento odierni, pieni di fanservice otaku ed ipocrite ruffianate
allo spettatore, e confrontandoli con opere come il suddetto "Ninpuu
Kamui gaiden", personalmente ho notato l'abisso tra i giapponesi di
adesso e i giapponesi di allora. Sembra quasi che essi abbiano perso la
loro identità, le loro radici, oppure che non sappiano più trasmettere
la loro cultura in modo soddisfacente attraverso gli anime (a parte
poche eccezioni, sia inteso). Il continuo processo di
occidentalizzazione in qualche modo ha snaturato l'antico carisma del
paese del sol levante, che emerge senza eccessive contaminazioni dalle
opere di animazione degli anni '60 e '70. Il ragazzo giapponese del
dopoguerra che consumava opere gekiga era esattamente l'opposto
dell'otaku rintanato in casa ad ammirare le capziosità degli
interminabili shonen commerciali "alla Naruto", dove la patologica
assenza di contenuti, di spessore delle vicende trattate, l'alienazione
dai problemi dell'esistenza e della vita hanno avuto la meglio sul
triste passato di un popolo orientale fiero, affascinante, segnato
indelebilmente dalla tragedia del dopoguerra e dalla durezza della sua
stessa tradizione. Evidentemente i tempi sono cambiati.
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