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mercoledì 6 ottobre 2021

L'orologio di S.

 

Di rencente mi è capitato di reincontrare S., l'amico d'infanzia di cui avevo parlato in questo post. L'ho incontrato a Torino, dopo circa un anno che chattavamo in merito ad un suo orologio, un Universal Geneve automatico che alla fine mi ha svenduto a buon prezzo nonostante il suo elevato valore. A S. non penso interessassero neanche i soldi per quell'orologio di lusso, dato che avendo ereditato, aveva un Omega Speedmaster al polso e un Rolex in banca (mio padre era un grande appassionato di orologi, pertanto, di riflesso, me ne intendo molto). Questo mio conoscente di lunga data era ancora a dare gli esami universitari a trent'anni, uno dei tanti eterni adolescenti bloccati nella moratoria universitaria, che alla fin fine è un prolungamento indebito di una giovinezza che ormai non è più tale. Tutto ciò è normale nella nostra società, che essendo ormai re- infantilizzata, come narrava con grande lucidità il film di Shin Chan intitolato Il Contrattacco dell'Impero degli Adulti (non vogliamo scomodare Kojève dato che siamo in un blog di cartoni animati), fa molta fatica a produrre persone in grado di affrontare lo scorrere del tempo (si pensi all'abuso di photoshop e alla chirurgia plastica, per rimanere vaghi con gli esempi). Il povero S. è rimasto comunque bloccato per qualche anno a causa di un grave problema di salute: il suo pertanto non è un caso di fancazzismo, ma di moratoria obbligata (non aveva senso per lui lasciare l'università, dato che non aveva una compagna con la serietà necessaria per stargli vicino nel periodo post-operatorio e costruire con lui una famiglia). 

martedì 19 gennaio 2021

La scienza postmoderna

 

Ora che ho formalmente ottenuto il mio PhD in Fisica, proprio nel bel mezzo di una pandemia che sembra non finire mai, penso sia arrivato il momento di affrontare l'argomento "scienza" nel contesto consumistico di massa in cui viviamo. Perché sì, neanche l'accademia si è sottratta alle leggi della società liquida dei consumi. Anzi, vuoi forse per certi motivi ideologici (vedasi l'età anagrafica sessantottina dei professori ordinari), ne è stata addirittura l'avanguardia, una sorta di laboratorio sperimentale sia della precarietà esistenziale che della simulacrizzazione della cultura. 

La cosa che più mi ha stupito quando ho iniziato il dottorato è stata che gli articoli scientifici che producevo dovevano essere registrati in un archivio online nel quale venivano etichettati come "prodotti".  Pertanto la scienza, che nel passato era considerata cosa nobile, così come la filosofia, diventava un "prodotto", come quelli dei supermercati. In questo grande archivio di dati, i lettori avrebbero potuto "consumare" tutta la scienza che volevano, così come si scelgono i prosciutti al bancone frigo del Carrefour. Ma per arrivare su di uno scaffale, un prodotto deve essere lavorato in un'industria:  in una catena di montaggio fordista. Infatti la scienza attuale, che amo definire "postmoderna", è fatta a questo modo: per la maggior parte, si produce una fitta quantità di articoli (scritti molto frettolosamente) che vanno a perfezionare modelli già esistenti. Almeno per quanto riguarda la fisica, il mio campo, la ricerca fondamentale (quella che vorrebbe sviluppare nuove teorie formali tipo la relatività di Einstein), anche se molti non lo dicono perché devono intercettare finanziamenti, è in un vicolo cieco. In pratica, anche qui vedo una sorta di fine della Storia.

sabato 1 ottobre 2016

Mind Game: Recensione

Titolo Originale: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa
Soggetto: Robin Nishi
Character Design: Yūichiro Sueyoshi
Direzione dell'animazione: Yūichiro Sueyoshi
Produzione: Eiko Tanaka
Musiche: Seiichi Yamamoto
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 2004


Era il 2004 quando un titolo passato quasi in sordina in patria, diretto da un regista di mezz'età sconosciuto ai più, fece le sue prime apparizioni nei festival nazionali. Come un vero e proprio pugno in faccia, il film sconvolse fin nelle fondamenta il cinema d'animazione giapponese: distanziandosi dagli ormai abusati tòpoi che monopolizzavano il mercato, l'allora trentanovenne Masaaki Yuasa (questo il nome del regista) e i produttori del vulcanico Studio 4°C decisero di calcare con forza il pedale dell'originalità, mettendo totalmente da parte la logica delle vendite per consegnare alla storia un prodotto quantomai anarchico, unico e irripetibile, fondamentalmente diverso da qualsiasi altra opera fosse stata concepita in precedenza. Trasposizione dell'omonimo manga semi-autobiografico di Robin Nishi, serializzato sulle pagine di "Comic Are!" di Magazine House, "Mind Game" si dimostra fin dai primi fotogrammi un vero e proprio esperimento visionario e anticonvenzionale, capace di amalgamare codici e correnti artistiche differenti – tra cui psichedelia, pop art, surrealismo, avant-garde e materiale live action – come nessun altro lungometraggio cinematografico aveva mai osato prima. Il risultato è un'opera che al momento dell'uscita fu ovviamente ignorata dalle masse, ma che pervenne quasi subito allo status di cult movie celebrato parimenti da critica nazionale e internazionale, persino nei circuiti che fino ad allora avevano bellamente ignorato l'animazione giapponese: il film fu lodato apertamente da mostri sacri dell'industria occidentale come Bill Plympton ("Idiots and Angels") e ottenne diverse candidature a rassegne di grande prestigio, arrivando a vincere il Grand Prize al Japan Media Arts Festival (superando, tra gli altri concorrenti, "Il castello errante di Howl") e ben cinque premi al Fantasia International Film Festival di Montréal, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura. La stessa Madhouse, del tutto estranea alla produzione dell'opera, fu colta da un tale entusiasmo nei suoi confronti che si mise a promuovere la pellicola a spese proprie; difatti non è un caso che quasi tutti i lavori successivi del regista – tra cui i celebratissimi "Kaiba" e "The Tatami Galaxy" – saranno prodotti e realizzati dal noto studio d'animazione fondato da Masao Maruyama.

martedì 17 febbraio 2015

Barefoot Gen (Gen di Hiroshima): Recensione

  Titolo originale: Hadashi no Gen
Regia: Mori Masaki
Soggetto: basato sull'omonimo manga di Keiji Nakazawa
Sceneggiatura: Keiji Nakazawa
Character Design: Kazuo Tomisawa
Musiche: Kentarou Aneda
Studio: Madhouse
Formato: film cinematografico
Anno di uscita: 1983 


Anche se spesso guardando anime recenti ho la vaga impressione che i giapponesi l'abbiano dimenticato, la tragedia di Hiroshima e Nagasaki è stata una delle più grandi ferite ricevute dal loro popolo. Tale nefasto evento è stato ricordato nella maggiorparte degli anime e manga che vanno dagli anni '60 fino agli inizi del ventunesimo secolo - tra i più recenti mi torna subito in mente l'apocalittico e validissimo "Saikano" -. Sopratutto durante il periodo della guerra fredda, in cui la minaccia atomica era temuta in tutto il mondo, nell'animazione giapponese fiorivano molte opere apocalittiche e impegnate sull'argomento. "Barefoot Gen"si colloca perfettamente in questo tipo di opere (non a caso è uscito nel 1983, lo stesso anno di "Dunbine", l'anime di Tomino in cui è presente uno dei più grandi moniti autorali nei confronti della guerra e delle armi nucleari). Siamo di fronte ad un lungometraggio tratto dall'omonimo manga autobiografico di Keiji Nakazawa. Autobiografico, è questa la parola che sconvolge: quello che vedremo in "Barefoot Gen" è la vera e propria testimonianza di un bambino riuscito a sopravvivere alla tragedia nucleare di Hiroshima.