Piattaforma: PC (Windows, Mac), Nintendo Switch, PS4, Android
Soggetto & Disegni: Conrad Roset
Musica: Berinist
Durata: 4 ore di gioco circa
Anno di uscita: 2018
Regia: Fukasaku Kinji
Soggetto: Basato sull'omonimo romanzo di Takami Koushun
Sceneggiatura: Fukasaku Kenta
Anno di uscita: 2000
L'adattamento del controverso romanzo di Takami Koushun diretto da Fukasaku Kinji, storico regista di yakuza movie, è certamente migliore del manga, fin troppo "shounenesco", splatter e privo di spessore intellettuale. Infatti il Battle Royale cinematografico è un film politico maturo, privo di compromessi, duro come il faccione di Kitano Takeshi che qui, per volontà del regista, interpreta nientepopodimenoche se stesso. La trama di Battle Royale è un archetipo popolare che influenzerà le opere successive: il governo giapponese tramite il BR act ha sancito che gli alunni di una classe presa a caso tra le scuole giapponesi dovranno ammazzarsi a vicenda su un'isola deserta fino a quando non ne sopravviverà soltanto uno. Questo tipo di selezione non è un unicum, ma avviene periodicamente. Con il BR act, in pratica, la fame di ribellione e sovversione giovanile viene contenuta e sfogata in un prodotto per l'enterteinment dei vecchi/sistema, e a monito dei coetanei.
Oblio è un fumetto creato da un "collettivo" di autori e autrici regalatomi in amicizia da una di questi (grazie Diletta). È un'opera mista (ogni capitolo ha un disegnatore differente) basata sul senso di perdita (il protagonista perde la fidanzata in un disastro ferroviario) e la successiva riparazione del vuoto, dell'Oblio per l'appunto, che inevitabilmente segue al trauma. Il fumetto, composto da un unico volume autoconclusivo, è nato come autoproduzione per essere poi definitivamente distribuito dalla casa editrice Double Shot. La qualità generale dei disegni è buona e le tematiche di grande interesse per chi come me apprezza le narrazioni psicologiche e introspettive. Non si tratta tuttavia di un'opera perfetta: in Oblio vi sono troppi alti e bassi, troppa voglia di strafare e di lasciare il segno a tutti i costi, ovviamente a discapito di coerenza e realismo.
In più, si tenga altresì presente che il mio interlocutore dei tempi conosceva tutta la (prima) serie animata quanto me, quindi scordatevi cappelli introduttivi del genere “che cos’è Gunslinger Girl”? Se non lo sapeste (e non sarebbe una colpa) e voleste intendere le righe che seguono (ma sarebbe una colpa?), potreste sempre dare una scorsa alla pagina di Wikipedia sul titolo in questione. In ogni caso, per l'intendimento plenario di molti riferimenti che seguiranno sarebbe necessario aver visto (e aver ben presente) la serie di cui si dice. Mi scuso con gli altri eventuali lettori.
Segue quanto segue.
Ed eccomi qui, nella mia cucina, con il computer sulle gambe. Sto facendo quello che mi piace di più: scrivere. La natura continua il suo corso: il sole brilla, gli alberi fioriscono e gli uccelli intonano le loro melodie. C'è soltanto una differenza rispetto a ieri: Cristian Giorgi, aka Garion-Oh, non è più tra noi. Difficile quantificare il contributo che il traduttore, articolista ed esperto di cultura giapponese di Pavia abbia lasciato presso la comunità anime e manga italiana, quella degli albori, dell'editoria reale, delle notti insonni attaccati al Plusnetwork a sviscerare informazioni su Tomino o quant'altro. Un suo amico mi ha scritto che lui è stato il mentore di tutti, anche di chi non lo conosceva, e ciò è veritiero. I suoi post, nel reale periodo d'oro di questo hobby che ormai sento abbastanza lontano da me, erano illuminanti, intelligenti, documentati. Sono stati manna dal cielo per chiunque volesse realmente approfondire cosa c'era dietro l'animazione e il fumetto giapponese, il contesto, i trascorsi degli autori ecc. Anche al qui presente blog il gentile Garion aveva a suo modo contribuito con consulenze, commenti, consigli e traduzioni dal giapponese, tutte cose spontanee, fatte soltanto per reale amicizia e interesse. L'amico Jacopo, dal canto suo, ha ammesso che neanche i suoi libri sarebbero mai esistiti senza l'apporto di Garion. Sapevo da molti anni della sua malattia, me lo confidò lui stesso, ma sono sempre stato ottimista, perché lo reputavo una persona degna di trascorrere un'esistenza felice. Eppure la natura non guarda in faccia a queste cose: l'esistenza in questo mondo è profondamente ingiusta, anzi, è basata su principi fondamentalmente inumani. La sofferenza e la fortuna vengono distribuite in modo ineguale, senza alcun criterio a parte quello del caso. Ma nonostante ciò, nonostante la realtà della morte, rimangono comunque le cose buone che una persona ha fatto in vita, e infatti siamo qui a ricordare una persona magnifica.
Della Yoshizumi, se devo essere sincero, ho sempre apprezzato il tratto, molto elegante nonché figlio di un'epoca in me sedimentata per ovvie ragioni anagrafiche. Marmalade Boy, essendo un maschio, lo trovavo un po' banalotto, sebbene sia un caposaldo dello shoujo anni novanta. Sul qui presente Kimishika Iranai, nonostante la brevità - che ne rappresenta l'unico difetto -, ho invece un'opinione nettamente diversa. E' un manga che narra della maggiore ferita possibile in una giovane donna: il tradimento da parte del suo Principe Azzurro. Akane, la protagonista, è la tipica loli-malatina giapponese, che viene salvata dal chirurgo Kyo-chan, che nonostante la differenza di età, se ne innamora e la sposa ancora sedicenne (all'epoca in Giappone la cosa era legale). Una sera come tante, dopo aver bevuto troppo, Kyo-chan tradisce la moglie con un'infermiera. Akane pertanto, puntandosi un coltello da cucina sul petto davanti al marito e al padre, chiede il divorzio. Il suo sogno infantile è stato distrutto dalla realtà del mondo degli adulti. Il manga è il percorso interiore che la ragazza compie per liberarsi dal fantasma dell'ex marito, aiutata dal tipico ragazzotto a caso di buon cuore, ovviamente innamorato di lei.
Devo ammettere che Masculin, Féminin di Godard mi ha molto colpito per la sua lucidità sociologica (lo potrei tranquillamente inserire tra i miei dieci film preferiti, sia per la sua estetica impeccabile che per i contenuti a me cari). Liquidato dalla critica del nostro paese perlopiù come un "film su come la gioventù dei late 60's francese praticava il sesso", etichetta risibile quasi quanto l'adattamento italiano del titolo (Il Maschio e la Femmina, scelta compiuta al fine di sessualizzare indebitamente l'opera), esso è in realtà una fotografia in bianco e nero della postmodernità nella Parigi pre-sessantottina. Essendo una nouvelle vague frammentaria e didascalica, la trama è ridotta allo scheletro: Paul, giovanotto comunista incapace di definirsi in un mondo molto confuso, si invaghisce di Madeleine, che lavora con lui nella redazione di una rivista giovanile. La ragazza, così come le sue amiche, è più interessata al consumismo americanizzato dilagante che ad una relazione sentimentale, e infatti si mette insieme a Paul quasi apaticamente, dando la priorità alla sua carriera discografica. La gravidanza lascerà indifferente lei e farà impazzire lui, che pur essendo fissato col socialismo e critico verso l'utilizzo degli anticoncezionali importati dagli States, si dimostrerà troppo immaturo per affrontare l'idea della paternità. Paul cadrà poi misteriosamente dal balcone di una casa comprata con i soldi della madre senza che venga specificato se si sia trattato di suicidio o meno. Chiudono il film l'impassibilità di Madeleine e della sua amica di fronte all'evento. Nel sottotitolo di uno dei capitoli dell'opera, appare l'asserzione: Questo film potrebbe intitolarsi "I figli di Marx e della Coca-Cola"