"Tutti quei colori caldi, estivi, come quelli di Kimagure Orange Road e Sailor Moon, sono parte di me" - MikiMoz
Penso che la nostalgia sia una cosa tutta umana: si vive quasi sempre nella mancanza di qualcosa, perché si nasce come piccoli animali incompleti in perenne conflitto con lo scorrere del tempo. Questo, dopotutto, è uno dei principali crucci dell'umanità sin da quando si disegnavano idoli nelle caverne, o ci si inchinava con una falce in mano a mietere il raccolto seguendo le fasi lunari. Il presente è lì: è ciò che stiamo vivendo, ma immediatamente è già diventato passato. Della sua importanza, uno se ne accorge soltanto a posteriori, perché sul momento, nell'attimo fuggente, lo si dà per scontato. Il futuro invece, la cosa più vicina al presente, era tutto da scoprire, e se faceva paura, c'erano delle soluzioni per credere nella sua buona riuscita (mi vengono in mente i rituali propiziatori, certi aspetti delle religioni, l'astrologia e quant'altro). Quando vidi per la prima volta il Ghost in the Shell di Oshii Mamoru, rimasi impressionato da una scena in particolare: una persona aveva dei ricordi che non le appartenevano. Passando poi a UruseiYatsura, che visionai successivamente, il protagonista era bloccato in un'eterna estate: l'estate della sua giovinezza, un'estate dai colori accesi: ma questa volta il futuro non esisteva proprio. La poetica del regista, così come quella di altre numerose opere simili alle sue, sia cinematografiche che letterarie, sono fotografie della fenomenologia di un'epoca, del nostro (eterno) presente. Qualcuno parlava di "Fine della Storia", qualcun altro di "fine delle grandi narrazioni", qualcun altro ancora di "morte di Dio". Ma questa volta non voglio dilungarmi in tecnicismi sociologici, ma fornire degli spunti di riflessione molto personali.
Ad un certo punto aveva iniziato a circolare per internet, specialmente su YouTube, quella cosa chiamata "vaporwave", ossia dei sampling rallentati di classici pop del passato, specialmente degli anni ottanta e novanta (il City Pop d'altro canto diventerà noto ai più quando l'algoritmo di YouTube, in preda ad un bug, proporrà a tutto il mondo l'allorprima misconosciuta canzone Plastic Love di Takeuchi Mariya). Abbiamo poi l'immancabile SailorWave, in cui le musichette di Sailor Moon miste al City Pop generano un qualcosa di veramente nostalgico e fuori dal mondo; il remix "vaporizzato" del suono del Machintosh ecc. Il tutto è l'estetica (A E S T H E T I C, con gli spazi dispersivi tra una lettera e l'altra) consumistica del passato elevata a un qualcosa di trascendente, indefinito e superflat, un po' come le opere della mostra di Murakami Takahashi di cui il Little Boy, libro di cui avevo parlato in questo post. I colori dei video vaporwave sono caldi, sfumati come i meandri della memoria; il sole al tramonto illumina la città proiettata verso il futuro. Non sono i colori di anime e media sui generis che vedremo poi nei primi anni del duemila: se prendiamo ad esempio Evangelion, opera certamente soggetta a "vaporizzazione", le due cose convivono. La prima parte sembra un anime anni ottanta (e infatti la serie era ispirata agli OVA di quel periodo per quanto riguarda la scelta delle colorazioni e del design); la seconda, con colori molto più cupi, è già un qualcosa d'altro. Volendo aprire una parentesi generazionale, il blogger MikiMoz, che ad esempio è più vecchio di me, in un certo senso sente suoi i colori della prima parte, i colori di Sailor Moon e così via; i miei colori, invece, sono quelli della seconda: sono quelli degli anime che poi diventeranno comuni all'inizio del duemila, come ad esempio serial experiments lain. Per una persona che ha vissuto quell'epoca di "happy consumerism", vero o finto che fosse, la vaporwave forse è lo spettro della nostalgia di un passato felice; per uno come me, invece, e la cosa è molto comune tra i creatori di questo genere musicale "nato morto", è una sorta di metabolizzazione inconscia delle cose di un'epoca in cui il futuro sembrava ancora un qualcosa di possibile ("rimarremo per sempre dei consumatori felici in questi summer days").
nidoto modora nai no
omoide mo ima nami ga arainagasu wa
Non torneranno una seconda volta
Anche i ricordi, adesso, saranno lavati via dalle onde]
Ma cosa sono realmente questi "summer days"? Quando ascolto Anri, mi sento un po' come il tizio di Ghost in the Shell con i ricordi fasulli. La società giapponese degli anni ottanta era deprecabile, e tutta rivolta a edonismo e consumismo estremi; i testi delle canzoni City Pop, nonostante il mood nostalgico, parlano molto spesso di solitudine e alienazione. In fondo, è un po' la stessa cosa di cui Macross : sì certo, viviamo nell'SDF-1, nella migliore epoca possibile, ma Minmei, la idol, alla fine rimane sola come un cane. Lei è un po' come Matsubara Miki, che cadde in una violenta depressione, e tante altre regine tristi di quell'epoca. Cosa c'è realmente di bello quindi? Il fatto è che in quel periodo, almeno sulla carta, c'era una "sensazione di futuro". Si credeva che sarebbero successe grandi cose. Cosa c'è di più "vaporwave", per un lettore odierno come il sottoscritto, del contesto in cui è ambientato Touch di Adachi Mitsuru? L'amore della vita tra i compagni di banco, il sogno del Koushien, la famiglia felice che si fa le coccole, la casetta tutta colorata... La verità però è che quella nostalgia di un'epoca con un futuro, un'epoca tra l'altro mai veramente vissuta, è mera illusione, perché il futuro di quel passato altro non è che il nostro miserabile presente. Oggi non si sente più la "sensazione di futuro", questo è palese, ma proiettandosi con la nostalgia indietro nel tempo, non si fa altro che ritornare al proprio mesto stato di moratoria indefinita, dacché noi stiamo proprio vivendo il reale futuro di quel tempo di vacche grasse. E non è bello come sperato. Poi in generale a parer mio la condizione umana è sempre quella del desiderare, del non accontentarsi mai, ma non c'è bisogno di scomodare Schopenauer o Leopardi per far quadrare il cerchio. Perché in fondo vaporwave e City Pop sono gli ennesimi veli di Maya che l'uomo, nella sua disperazione, costruisce per la sua sopravvivenza.
Negli anni ottanta giapponesi, non c'era quindi un vero "happy consumerism": ciò è quanto arrivato (illusoriamente) a noi. Ritornando a Touch, che dato il suo essere un inno alla giovinezza era una delle ossessioni degli otaku di quell'epoca, le ragazze non mandavano le letterine d'amore a Tacchan, che veniva percepito come ragazzo di serie B per via della sua pigrizia, ma al fratello con lo status di fenomeno del baseball. Questo è per fare un esempio, e dire che anche dal punto di vista sentimentale, non si era messi poi così meglio rispetto ad oggi (con buona pace dei ridicoli "maestri del rimorchio odierni" e di tutto il carrozzone incel ). I perdenti erano perdenti anche in passato, forse erano di meno perché l'economia e la società funzionavano meglio, ma tutti avrebbero comunque pagato le loro carenze e latenze, giuste o ingiuste che fossero (alla natura poco importa degli esseri umani), con l'infelicità. A mio parere, tolta la mitizzazione scientista di cui l'uomo sulla Luna e Osaka '70, la "sensazione di futuro" c'era per chi poteva permettersela, modulo le sfighe connesse alla propria condizione di esseri transitori e/o alla noia solitaria di un mondo di consumatori passivi. Per non parlare poi delle strade infestate dalle siringhe degli eroinomani, che quando ero piccolino, a metà anni novanta, mi facevano venire gli incubi. Anche se lì eravamo già nel periodo "di transizione" dei colori: prima ho preso Evangelion per fare un esempio, ora prenderò Sailor Moon. Essendo Hotaru Tomoe un mio chiodo fisso da circa una vita, la sua stanzetta, con tutte quelle strane lampade, non era cosa da Touch, né da acquarello sgargiante né da superpotere benevolo à la Kimagure Orange Road. Un po' come la cameretta di lain e di Ayanami Rei, la stanza di Hotaru era dai colori cupi, e per di più con dei mobili vintage quasi inquietanti. C'era già un passato simulacro nella cupezza del presente: qualcosa si stava rompendo. Come dicevo, i colori si faranno sempre più cupi col passare del tempo, sino ad essere poi cancellati da opere nuovamente "accese": una sorta di passaggio da "sad consumerism" a "omni consumerism", giusto il tempo di riassorbire la crisi globale in una globalizzazione ora davvero superflat, anche a livello esistenziale. In cui però rimane quella "nostalgia del futuro" che, come abbiamo concluso, è pura sublimazione riparativa di ciò che ormai è molto difficile provare.
Grazie per avermi fatto "aprire" questo post (stupendo come al solito).
RispondiEliminaAmo questi argomenti, perché sono profondamente legato all'estetica che mi ha formato (e che è, e sarà, sempre parte di me).
Non solo Giappone, a mio avviso.
Io adoro i colori delle pubblicità cartacee di He-Man anni '80, o quei pastelli (oggi li classificheremmo gay-friendly) dei cartoon (anche anime) come She-Ra, Jem, Maple Town... e quindi Fabuland Lego, Popples e Transformers.
Il futuro era possibile, e lo fu fino al 1997-98, l'ultima estetica netta: quella dei colori acidi (rappresentata al 100% dagli spot televisivi, come quello di Swatch con Breathe di Midge Ure).
Poi? Dal 1999 il futuro era già lì: il 2000 alle porte portò tutti a proiettarsi in avanti, ma senza più sognare o immaginare. Era lì.
Ma non era come lo avevamo sperato.
Io sono ancora nel sogno di una vita alla Touch (le mie scuole medie sono state così, ma anche come i Power Rangers americani e la vita delle Sailor).
Io sono ancora nell'eterna estate di Ataru, dopotutto ho involontariamente creato un blog sospeso nel tempo.
Come ti dicevo per messaggio, la nostalgia non è tanto la mancanza di qualcosa di concreto, ma la cristallizzazione di ciò che abbiamo amato. E che poi idealizziamo.
Moz-
La tua frasetta sui colori mi era piaciuta, quindi l'ho messa. :)
EliminaNei primi anni del duemila tra Torri Gemelle e crisi dei Subprime direi che il futuro, o meglio, la "sensazione di futuro" si fermò definitivamente. Poi oggi c'è stato anche il Corona Virus, in futuro ci saranno problemi climatici ecc. La stessa umanità fa fatica a crescere, ad evolversi. La fotografia del nostro tempo è un po' come l'arca di Tenshi no Tamago.
Esattamente.
EliminaOra qui però sorge la domanda: dato che anche in passato c'erano problemi vari, non è che davvero c'è stato un decennio (magari anche qualche anno in più) davvero magico, con la consapevolezza che fosse tale?
Moz-
Il browser per qualche motivo mi ha portato a questa pagina nel 2022 sull'orlo di una guerra mondiale.
RispondiEliminaHo letto tutto fino in fondo e lo rileggerò.
L'ho trovata un'analisi molto valida.
Nell'immondizia da avrai formazione che c'è questi pensieri sono perle.
Grazie per l'apprezzamento, sono lieto di quello che hai scritto. Questo blog in effetti è un'anomalia, un po' come me.
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